Nonluoghi Archivio L’etica e la politica

L’etica e la politica

[ da www.carta.org ]

di Pierluigi Sullo

Paolo Cacciari è, oltre che deputato di Rifondazione comunista, uno degli undici soci della cooperativa Carta. Lo è da quando Carta esiste. Non fosse che per questa ragione, il suo no nel voto con cui la Camera dei deputati ha approvato il rifinanziamento alle missioni militari all’estero, tra le quali quella in Afghanistan, ci riguarda da vicino. Paolo è uno di noi, con lui ci siamo inerpicati per i sentieri della non violenza e della decrescita [il suo libro sull’argomento, pubblicato da Carta e Intra Moenia, ha quasi esaurito la prima edizione], dell’indagine sul fenomeno leghista e sul modello produttivo del nord est, tra molte altre cose. Ora il suo no alla guerra è per noi, e pensiamo per molta altra gente, il segnale che qualcosa sta cambiando, molto in profondo, nel rapporto tra il sistema politico e la società civile. Insieme a Paolo ha votato no a quel decreto anche Salvatore Cannavò, della corrente di Sinistra critica di Rifondazione, un altro amico con il quale abbiamo condiviso il primo Forum sociale mondiale di Porto Alegre e le giornate di Genova, nel 2001. Ma le loro ragioni sono diverse. Quelle di Paolo si fondano sul rifiuto della guerra e sulla scelta non violenta: non esistono guerre giuste, il mondo che dovremmo cercare di costruire deve liberarsi della violenza in ogni sua forma. Questo comportamento non può piegarsi alle esigenze della tattica politica, ad esempio quella di tenere compatta una maggioranza: non è lecito – dice Paolo – dicidere di mandare qualcuno ad uccidere o a farsi uccidere. Qualcuno sostiene che questa è una scelta antipolitica, solitaria e improduttiva. Eppure, è stato Fausto Bertinotti ad aprire, dentro e attorno a Rifondazione, una breccia nella cultura politica della sinistra, adottando appunto gli argomenti della non violenza. Quel dibattito nacque grazie a una lettera aperta, a Bertinotti, di Marco Revelli che fu pubblicata da Carta, e trovò il suo compimento in un convegno di Rifondazione organizzato a Venezia da Paolo Cacciari, Bertinotti ha scritto, nel suo ultimo libro, “La città degli uomini”: “La questione etica nella politica può affermarsi solo in quanto si mantenga una relazione dialogica tra l’etica e la politica, in quanto la prima non si trasformi in un corpo separato, con la pretesa di dominare la seconda, né, al contrario, si dissolva, uscendo di scena”. La domanda è: nel caso di un voto parlamentare che sancisce la partecipazione del nostro paese a quella che è indubbiamente una guerra, come tenere insieme etica [non violenta] e politica? Non è per caso la seconda a dominare la prima? La risposta di Paolo [nel suo intervento alla camera, che Carta pubblica nel settimanale in uscita sabato] si affida a una citazione di Hannah Arendt, da “La disubbidienza civile”: “La coscienza è apolitica, ma non c’è dubbio che una obiezione fondata sulla coscienza possa assumere un significato politico quando i suoi scrupoli si trovino in un certo numero di coscienze e quando questi obiettori decidano di farsi ascoltare sulla pubblica piazza”.
Negli ultimi anni, e fino alla manifestazione di Vicenza, il mese scorso, abbiamo ascoltato non un certo numero, ma milioni di coscienze, sulle pubbliche piazze. A noi pare che il rifiuto della guerra in ogni sua forma, che fra molte altre cose si fonda sull’articolo 11 della Costituzione, non sia un atteggiamento isolato ma all’opposto – come raccontiamo da anni – una delle molle più potenti tra quelle che hanno dato vita all’onda dei nuovi movimenti sociali, all’esordio di questo secolo. I movimenti da cui Rifondazione ha ricavato i tratti di una sua nuova fisionomia, oltre il modello e la cultura dei partiti comunisti novecenteschi. Si potrebbe dire, con apparente paradosso, che il voto di Paolo Cacciari rappresenta questi lineamenti del suo partito. Se si mettessero sui piatti di una bilancia la sopravvivenza del governo Prodi e il rifiuto della guerra sarebbero molti, nella società civile attiva e nella stessa sinistra, in grande imbarazzo.
Ma nel voto sull’Afghanistan non era nemmeno in questione la vita del governo. Lo stesso Cacciari ha qualche giorno fa votato sì alla fiducia, giudicando l’intervento di Prodi in aula più promettente dei “dodici punti” ormai celebri. E ancora oggi sostiene di condividere con i suoi compagni sia il giudizio negativo sulla partecipazione alla guerra afghana, sia di considerare tutto sommato promettente il modo in cui il ministro D’Alema ha tratteggiato la politica estera italiana. Allora, dov’è il problema? Il problema è il caso Turigliatto, il senatore messo alla berlina da tutti i grandi media come il responsabile del voto da cui è nata, qualche settimana fa, la crisi di governo. Non era vero, gli autori erano altri. Ma la pressione è stata tale da spingere Rifondazione a un atto del tutto inedito, nella sua storia: “allontanare”, cioè espellere il “dissidente”. Con il corredo di accuse, a Turigliatto, di individualismo sfrenato, di violazione del patto tra lui e “la comunità del partito” [la parola comunità è qui del tutto impropria, basta leggere l’introduzione al libro di Rifondazione su questo tema curato da Paolo Cacciari e introdotto da Fausto Bertinotti].
“Allontanare” Turgliatto è stato un atto grave, anche perché rischia di costituire precedente, una regola da cui non si può più derogare, una sanzione che non può ora non colpire anche Cacciari. Ed errore dopo errore, Rifondazione e i suoi dirigenti potrebbero sancire la definitiva separazione tra politica [quale essa è] ed etica [ossia l’altra possibile politica dei movimenti sociali e delle comunità che resistono], la scissione tra quel che si fa perché è opportuno farlo e quel che si fa semplicemente perché è giusto.
Noi, in ogni caso, saremo al fianco del nostro amico, del nostro compagno Paolo.

Perché ho votato contro…

di Paolo Cacciari

La contrarietà alla missione militare in Afghanistan è condivisa da tutto il gruppo di Rifondazione Comunista – Sinistra Europea. Le motivazioni sono stete ripetute puntualmente da Elettra Deiana, da Ramon Mantovani e da altri deputati in aula. L’intero movimento pacifista concorda con noi sul fallimento della missione e sulla necessità di una svolta nelle politiche estere degli stati occidentali in Asia centrale e mediorientale. Il decreto di rifinaziamento delle misi soni militari predisposto dal Governo e approvato dal Parlamento contiene delle importanti novità (Conferenza di pace, maggior peso e indipendenza alla componente umanitaria, maggior coinvolgimento dell’Onu) ma non rappresenta certo ancora la svolta auspicata e necessaria per impedire l’allargamento della spirale di guerra e terrore che sta insanguinando la regione. Sono anche convinto che la mediazione raggiunta tra il nostro gruppo e l’insieme delle forze politiche che compongono la maggioranza sia in discontinuità con le politiche dei governi precedenti e che la relazione del mministro D’Alema sulle politiche internazionali contenga un giusta rivendicazione di autonomia dell’Italia dall”‘unilateralismo” degli Stati Uniti d’America.
Quindi, non è qui il punto del dissenso tra me e il mio partito.
Ho sostenuto, intervenendo in aula e nelle riunioni del gruppo parlamentare, che nelle materie che investono questioni di rilevanza eccezionale, come la pace e la guerra, possa essere lasciata libertà di scelta in capo ai singoli parlamentari di tutti i partiti. Separando nettamente le questioni di potere nei rapporti tra le forze politiche da quello dei principi etici-politici. Esistono infatti, a mio vedere, delle materie su cui nemmeno la politica può disporre. E queste sono, per l’appunto, mandare qualcuno in nome e per conto mio ad uccidere o ad essere ucciso. Questa decisione io non la potrò prendere mai.
Partendo da queste convinzioni, che riguardano la coscienza che io ho maturato delle cose, ma che penso comuni anche ad altre persone, non mi hanno convinto le argomentazioni secondo cui avrei dovuto far prevalere le ragioni positive contenute nel decreto. Dal mio punto di vista è accettabile solo il ritorno ad una situazione di sicurezza, di treguia almento, nel teatro afgano oppure il ritiro in sicurezza delle truppe. Né l’una, né l’altra di queste condizioni sono oggi presenti.
Non ho compreso nemmeno la preoccupazione secondo cui un voto motivato con le mie argomentazioni potesse in alcun modo indebolire il Governo. Primo perché il decreto ha avuto un consenso molto più ampio della stessa sua maggiornaza, secondo perché non veniva messa in discussione la fiducia al governo.
In altri termini ho valutato che il mio voto non avrebbe nociuto né al Partito, né al Governo. Per contro continuo a ritenere che l’opzione pacifista e nonviolenta (che mi permetto di ricordare va oltre la stessa opzione pacifista) possa e debba avere diritto di espressione anche nelle aule del Parlamento.
Paolo Cacciari
Roma 8 marzo 2007

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