ALBERTO CASTELLI
Molti esperti, in questi giorni, stanno spiegando le ragioni di ciò che accade in Ucraina. Io non conosco bene l’Europa dell’est e la sua storia, quindi non mi permetto di intervenire in questo dibattito. Vorrei invece, in poche righe, esprimere qualche pensiero “a caldo” sul modo in cui noi dovremmo leggere gli avvenimenti in corso.
Innanzi tutto, credo che si dovrebbe evitare l’errore di credere che il male sia dovuto a un soggetto unico, intrinsecamente malvagio che, per una specie di svista, è stato lasciato libero di agire e la cui eliminazione porterà al ritorno della pace e della giustizia.
La Russia di Putin non sta compiendo un’azione strana, assurda, inedita; sta compiendo un’azione che anche i Paesi della Nato hanno compiuto con cadenza quasi periodica negli ultimi trent’anni.
L’esempio più eclatante è la guerra per il Kosovo del 1999, quando la Nato ha devastato la Serbia facendo finta di difendere i diritti umani dei kosovari, a loro volta oppressi dal governo di Milosevic.
Poi gli Stati Uniti, assecondati dai loro alleati fedeli, si sono inventati le armi di distruzione di massa per prendersi il petrolio dell’Iraq; sono seguite le scellerate politiche in Libia, Afghanistan eccetera.
Insomma, la tragedia che si sta consumando in Ucraina non è niente di strano, la novità – al netto delle ragioni specifiche di ogni guerra – è che non siamo noi occidentali a gettare le bombe.
Quindi, un primo punto da mettere a fuoco è che la guerra in Ucraina non è dovuta alla malvagità di Putin, né a una qualche caratteristica specifica della politica russa; è un fatto normale nella vita delle potenze militari.
Putin non è né più malvagio né più folle di quanto lo siano molti governanti, non è un mostro, non è il nemico assoluto. È un normale capo di uno Stato poco democratico, ma con un esercito ben armato, che persegue normali scopi di potenza anche con mezzi molto spregiudicati (si pensi alla Cecenia).
Stabilito questo punto, di fronte all’invasione dell’Ucraina, cosa dovremmo fare?
Non certo imbarcarci in una guerra per rimandare l’esercito russo a casa sua. Questo significherebbe trasformare l’Ucraina in un cumulo di macerie, provocare milioni di morti e rischiare l’allargamento del conflitto a tutta l’Europa. Sarebbe una follia.
L’alternativa sono le sanzioni che, però, a sentire gli esperti, sono armi molto spuntate, per il semplice fatto che l’economia russa è profondamente integrata con la nostra e che la sua rovina sarebbe anche la nostra rovina. Secondo alcuni studiosi, alcune misure economiche ritorsive sono possibili e in qualche misura efficaci; ma non possiamo certo aspettarci che spingano Putin a tornare sui suoi passi e, magari, a chiedere scusa.
Alcuni propongono di chiedere con forza a Putin il cessate il fuoco immediato, e di avviare un’azione diplomatica da condurre in buona fede da tutte le parti.
Certo, questo sarebbe meraviglioso: una decina di persone importanti e di buona volontà che si mettono intorno a un tavolo per risolvere i problemi, per farla finalmente finita con il flagello della guerra e per rischiarare le menti oscurate dalla violenza. Si tratta, con ogni evidenza, di un bel sogno, di qualche cosa che non c’è. Sia chiaro, io non disprezzo affatto chi fa queste proposte: rinunciare a instaurare un dialogo onesto significa ammettere che il mondo è consegnato alla violenza: una cosa che nessuna persona civile può accettare senza perdere il senso dell’esistenza.
L’importante è non credere troppo a simili proposte: la realtà è che il governo russo (ed è in buona compagnia) non è sensibile alle ragioni dell’umanità.
Che fare allora? Bisogna evitare di peggiorare la situazione, impedire che la violenza si allarghi o si intensifichi a causa delle nostre scelte. Non molto di più, credo.
L’invasione dell’Ucraina è già la sconfitta di ogni pacifismo, di ogni dialogo, di ogni politica distensiva e lungimirante. Io penso che, invece di chiederci, con una certa ipocrisia, cosa fare adesso, dovremmo chiederci cosa potevamo fare, e non abbiamo fatto, per costruire un mondo davvero pacifico.
Perché quando avremo finito di assistere impotenti al disastro in Ucraina, ci si dovrà rimboccare le maniche e fare tutto quello che avremmo già dovuto costruire: un diritto internazionale rinnovato, un dialogo aperto e costante con tutti i nostri vicini (russi, asiatici e africani), una lotta efficace alle disuguaglianze (che dovrà comprendere anche un ridimensionamento di certe dinamiche capitaliste), una riforma delle istituzioni democratiche all’interno degli Stati (per renderle maggiormente rappresentative e trasparenti), un rafforzamento dell’Unione europea in senso federale e responsabile nei confronti dei suoi cittadini.
Che la tragedia ucraina serva almeno a convincerci che la via per la pace è questa e nessun’altra.
Alberto Castelli, insegna storia delle dottrine politiche all’Università di Ferrara
La guerra in Kosovo: il dossier di Nonluoghi pubblicato nel marzo 2000