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La laicità secondo l’Unione

[ Da Confronti – www.confronti.net ]

di Adriano Gizzi

«Noi affermiamo la laicità dello Stato». A scanso di equivoci, lo hanno voluto mettere nero su bianco, a pagina 9 del programma. I leader del centrosinistra – «da Mastella a Bertinotti», come si usa dire per sottolineare l’eterogeneità della coalizione («da Luxuria a Fisichella», rincarano la dose i più maliziosi) – hanno posizioni diverse su molte questioni. Certo, le diversità costituiranno pure una ricchezza da valorizzare (di solito si dice così per darsi coraggio), però uno straccio di regole e valori condivisi ci vuole, se si ha l’ambizione di governare insieme il paese per i prossimi cinque anni. E infatti l’Unione qualche punto fermo lo ha messo, anche nella delicata e spinosissima materia che va sotto la definizione generica e ambigua (in quanto interpretabile in molti modi differenti) di «laicità dello Stato». Nel capitolo del programma dedicato all’istruzione, infatti, si afferma che «nella scuola si gettano le fondamenta di un’etica pubblica laica e condivisa, rispettosa delle scelte, delle fedi, delle convinzioni di ognuna e ognuno».
Dal partito di ispirazione cristiana al partito della Cei

In altri tempi, quando i principi affermati nella Costituzione repubblicana erano condivisi e difesi dal 90% dei partiti (il cosiddetto arco costituzionale, che comprendeva le forze politiche che avevano collaborato all’elaborazione di quello che gli storici hanno definito un compromesso alto fra culture politiche diverse, ma unite dai valori della Resistenza al nazifascismo), ribadire il principio della laicità dello Stato sarebbe suonato addirittura superfluo. Del resto, per decenni, è stata la stessa Democrazia cristiana a svolgere la funzione di mediazione e – in una certa misura – di «argine» alle pressioni delle gerarchie ecclesiastiche. Ma poi, in seguito al «crollo del muro di piazza del Gesù», il Vaticano ha cominciato a giocare sempre più in prima persona, a tutto campo, trattando di volta in volta con il miglior offerente.

«Un tempo era proprio la Dc a fare da “garante” della laicità – ci dice la senatrice dei Verdi Tana De Zulueta – ma oggi la politica italiana è indebolita e la frantumazione ha portato a questa disponibilità da parte dei partiti ad assecondare delle spinte che giudico “infelici”. La laicità fa parte del patrimonio di maturità di un paese, ma l’Italia non è al passo con il resto d’Europa: da noi c’è stata una regressione. Essere laici o cattolici è diventato un discrimine, cosa che un tempo non era. Mi piacerebbe che la laicità tornasse ad essere un patrimonio comune e trasversale».

Oggi, quindi, con il trionfo della strategia del cardinale Ruini, la Chiesa cattolica si rivolge direttamente agli elettori, dando addirittura indicazioni di voto (o di «non voto», come nel caso dei referendum sulla procreazione medicalmente assistita del giugno 2005) e lasciando intendere che un buon cristiano può votare solo i politici che rispondono a determinati criteri di fedeltà alle gerarchie cattoliche. Politici che comunque non stanno tutti nel centrodestra (quella coalizione che va «da Tabacci a Rauti», per intenderci): ce ne sono infatti molti anche nel centrosinistra. Basti pensare, solo per fare un esempio, alla candidatura di Paola Binetti, presidente del comitato Scienza e vita (il braccio politico della Cei nella campagna per l’astensione ai referendum), voluta con forza da Francesco Rutelli con il chiaro intento di accreditare definitivamente il suo partito come punto di riferimento del Vaticano all’interno dell’Unione. «La Margherita, da prototipo dell’Ulivo (cioè un soggetto che metteva insieme differenti riformismi), è passata ormai a diventare un partito a prevalenza confessionale, che segue gli orientamenti della gerarchia ecclesiastica», afferma Roberto Villetti, vicesegretario dei socialisti dello Sdi (che con i radicali hanno dato vita alla nuova aggregazione della Rosa nel pugno).

«Lo abbiamo visto – prosegue Villetti – non solo su temi come i Pacs, ma ancora di più sulla scuola. Noi ci siamo sempre battuti contro il finanziamento della scuola privata, non solo perché lo dice la nostra Costituzione, ma anche perché finanziando le scuole private si mina l’architettura del nostro sistema di istruzione, in quanto si incentivano scuole confessionali, che in qualche modo sono riconducibili agli orientamenti della gerarchia ecclesiastica, piuttosto che aiutare la scuola pubblica. Questo è uno degli elementi che guardiamo con maggiore preoccupazione. E il guaio è che siamo rimasti soli nel centrosinistra a sostenere queste cose».

Una critica dura a Rutelli viene anche dall’altro petalo della Rosa nel pugno. «Bisognerà davvero impegnarsi molto – dichiara a Confronti Daniele Capezzone, segretario del Radicali italiani – per contrastare la mutazione genetica di una forza politica che nasceva come incontro liberale tra laici e cattolici ed è invece diventata un partito con una chiara connotazione confessionale. C’è poi il problema dei Ds, che con la Margherita hanno scelto di fare non solo una lista alla Camera, ma i gruppi parlamentari uniti e in prospettiva un partito unico».
Una laicità da ricostruire?

Ma come si difendono in modo efficace i valori della laicità? Per qualcuno occorre una vera e propria «ricostruzione della laicità». In un manifesto lanciato all’inizio di febbraio e firmato da decine di uomini di cultura (Enzo Marzo, Giulio Giorello, Claudio Magris, Gustavo Zagrebelski, Tullia Zevi, Daniele Garrone, Claudio Pavone e tanti altri), la fondazione Critica liberale ha indicato «quattro priorità per il governo dell’Unione». Al quarto punto si legge: «Chiediamo un impegno solenne e iniziative concrete volte a instaurare piena libertà di opinione, religiosa, di scienza e di coscienza. In regime di separazione tutte le istituzioni pubbliche devono essere neutrali, garantire pari dignità ad ogni convinzione in materia di fede, sopprimere ogni privilegio. Devono tutelare, contro ogni tentazione oscurantista, la libertà della ricerca scientifica, primo motore dello sviluppo. Chiediamo l’abolizione di tutti i divieti e di tutte le discriminazioni giuridiche contro identità, comportamenti o stili di vita basati su pregiudiziali di carattere religioso. In una società sempre più secolarizzata e multireligiosa una politica di integrazione fondata sulla laicità (oltre che ovviamente su adeguate politiche sociali) è la sola garanzia contro la minaccia di trasformare il paese in un assemblaggio di comunità fondamentaliste e settarie, ostili fra loro e unite soltanto nella pretesa di limitare le libertà».

Se la Chiesa cattolica non perde occasione per intervenire nella vita politica, il mondo laico si sta comunque organizzando, pur nella evidente disparità di mezzi. Delle manifestazioni del 14 gennaio scorso a favore dei Patti civili di solidarietà e contro l’attacco alla legge 194 sull’interruzione di gravidanza, Confronti ha già parlato nello scorso numero. L’11 febbraio, poi, nell’anniversario della firma dei Patti Lateranensi, si è tenuta a Roma una manifestazione organizzata dal coordinamento Facciamo breccia, con la parola d’ordine «No Vat: più autodeterminazione, meno Vaticano». Un’ironica e voluta assonanza con la sigla «No Tav» dei manifestanti contro l’alta velocità in Val di Susa (appena un po’ meno diretto – ma altrettanto polemico – dello slogan «no Vatican, no Taliban», coniato dai radicali). Alcune migliaia di persone hanno sfilato per le vie della capitale per chiedere nuovi diritti e per difendere quelli sotto attacco. E in un paese dove – almeno allo stadio – si possono tranquillamente ostentare svastiche, saluti romani a brutto muso e scritte antisemite, la Digos ha pensato bene di sequestrare lo striscione dei Cobas dove era scritto un quasi bonario «Ratzinger e Ruini pericolosi impiccioni». Quasi nessuno, tra i prestigiosi e liberi commentatori liberali della nostra stampa libera, ha avuto niente da dire. Dov’erano tutti coloro che – non senza una certa spocchia – si erano appena prodigati nel dare lezioni al mondo islamico in materia di libertà d’espressione e di satira?
Per una laicità che faccia rima con libertà (e pluralismo)

Solo un anno fa, in pochi avrebbero scommesso sul fatto che certi temi come i Pacs, la procreazione assistita, l’aborto, i finanziamenti alla scuola privata o il Concordato potessero finire per così tanto tempo ai primi posti dell’agenda politica del paese. Si tratta di temi «laici»? Occorre fare attenzione, perché – ci spiega il responsabile Diritti civili dei Ds, Luigi Manconi – il termine «laico» si presta a troppi equivoci. «Un’interpretazione molto angusta e regressiva dell’identità cattolica “costringe” a leggere la sua presenza come in primo luogo negatrice di diritti, dunque ciò che si può e si deve valorizzare è non tanto una componente laica, quanto un’ispirazione profondamente fondata sulla tutela dei diritti, che può essere sia di matrice cattolica che non cattolica. Per laicità intendo solo ed esclusivamente la realizzazione di uno spazio pubblico dove, su una base essenziale di valori condivisi, vi sia piena possibilità di espressione per tutte le identità e dunque anche per tutte le confessioni religiose».

Per Villetti, la contrapposizione non è tra laici e cattolici (o appartenenti ad altre confessioni), ma tra laici (credenti o meno) e integralisti, tra laici e confessionalisti. «Del resto, anche noi socialisti abbiamo militanti e dirigenti che sono credenti. E Romano Prodi si è dimostrato un cattolico laico e liberale, andando a votare in occasione dei referendum sulla procreazione assistita».

In materie delicate come i cosiddetti temi eticamente sensibili, i partiti tendono solitamente a fare appello alla libertà di coscienza. Una formula «furba e ipocrita», secondo Capezzone, che fa una proposta: chiedere a tutti i candidati di dichiarare, prima delle elezioni, come voteranno in Parlamento su eutanasia, fecondazione assistita, contraccezione, divorzio breve, droga e così via.

E allora, se andrà al governo, cosa farà il centrosinistra su questioni quali il varo di una legge sulla libertà religiosa e la firma delle Intese con le confessioni che ancora ne sono prive? «Sono l’estensore materiale della parte del programma dell’Unione dove si parla esattamente di “legge generale sulle libertà religiose” e di “firma delle Intese”. Questa parte è stata approvata e sottoscritta da Prodi e da tutti i leader del centrosinistra», assicura Manconi. Tutti d’accordo, quindi. «Su questo tema massima è l’apertura in termini di facoltà e diritti, purché, come sempre, ai diritti si associno i doveri e quindi non ci sia nessun contrasto con l’ordinamento italiano», precisa a Confronti il segretario dell’Udeur Clemente Mastella.

Per De Zulueta, «gli eventi degli ultimi anni, nel mondo e nella nostra società, hanno fatto diventare una evidente priorità ciò che prima poteva sembrare un interesse di pochi: lo Stato che sia davvero garante delle libertà religiose. Il contesto mondiale sta cambiando, il timore dello scontro di civiltà a sfondo religioso è come un veleno che rischia di inquinare i rapporti con le comunità non italiane. E questo veleno va neutralizzato con questi strumenti, che sono strumenti di garanzia».

Secondo Capezzone, invece, «occorrerebbe superare lo schema italiano, che è quello per cui l’elemento religioso, anziché appartenere alla coscienza individuale, deve divenire oggetto di “negoziazione”, di contrattazione tra comunità di fede e Stato, con una sorta di “tavolo di concertazione” dei culti ammessi. Alla Chiesa cattolica viene garantita la botte piena e la moglie ubriaca, cioè un complesso spaventoso di privilegi (il Concordato, l’otto per mille, gli insegnanti di religione scelti dal vescovo e pagati dallo Stato, le esenzioni Ici…) e, allo stesso tempo, il diritto di poter entrare a gamba tesa nell’arena politica. Alle altre confessioni non resta che accontentarsi delle briciole e accettare questo stato di cose. Io credo alla linearità e alla chiarezza del modello americano e delle cose – ancora così attuali – che scriveva Tocqueville. Resto convinto che ciascuno debba essere libero di dire e di fare quel che crede, che si debbano addirittura superare i limiti previsti per esempio nell’attuale Concordato sulla non candidabilità dei religiosi: che ciascuno parli, si candidi, faccia politica… ma tutti senza privilegi, senza Concordati e senza otto per mille».

Manconi non considera sbagliato il fatto che la Chiesa cattolica intervenga su alcune questioni, ma considera «sbagliatissimo che una parte consistente della classe politica dimostri sudditanza a quegli interventi».

Di vere e proprie interferenze parla De Zulueta: «Naturalmente dipende dai punti di vista, perché quello che può apparire a me come un’interferenza a un altro appare come una semplice indicazione. Ma credo che esista un “Rubicone” che è stato varcato di recente in alcune occasioni. Per esempio nell’indicazione di astensione ai referendum sulla procreazione medicalmente assistita. E io, come del resto è stato scritto anche in un editoriale del New York Times, l’ho vista come qualcosa di diverso, qualitativamente, da una semplice indicazione morale. Un altro esempio di ingerenza è quando la Chiesa cattolica indica in che modo debba avvenire una scelta di pratica medica (l’interruzione di gravidanza), dicendo che la RU486 non si può utilizzare».

Non è d’accordo, però, Mastella, secondo cui «la Chiesa cattolica in Italia si è sempre contraddistinta per una presenza attiva nella società. Dico società e non politica perché credo che sia compito della Chiesa cattolica, attraverso la sua pastorale, preoccuparsi dei problemi sociali del paese, sapendo, evidentemente, che tali problemi hanno un risvolto politico che la Chiesa ha sempre messo in evidenza, ma mai forzatamente spinto per influenzare o incalzare la politica. Questo lo dico perché purtroppo la Chiesa viene sempre vista come quella che parla di politica o di morale sessuale, senza approfondire la ricchezza delle riflessioni e delle tesi che riguardano problemi gravi e scottanti della società italiana, sui quali molti tacciono, a partire – spesso – proprio dalla politica e dai mezzi di comunicazione».
Adriano Gizzi
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