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Il precariato come forma di controllo sociale

di Giuseppina Salvemini *

Tutto il lavoro di distruzione dei diritti acquisiti, avutosi dalla fine degli anni 70 e con la concertazione sindacale in seguito, è andato verso il crollo dell’unità lavorativa e verso lo schiacciamento dei diritti e delle retribuzioni. L’introduzione a tappeto, con la conseguente istituzionalizzazione, del precariato ha portato all’arretramento del lavoro come variante dipendente delle esigenze capitaliste del mercato. Di fatto la legge della riforma del lavoro, nominata legge Biagi, ha favorito la ristrutturazione del mercato del lavoro con le caratteristiche proprie del lavoro nero e del caporalato tipiche dei secoli scorsi.
In vero l’obiettivo pare lo stesso. Due secoli e oltre di lotte e di conquiste si sono trasformati, oggi, in sconfitte “riformate” a vantaggio di una società di ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri. Là dove s’istituisce la globalizzazione dei mercati (esterni ed interni) dei paesi maggiormente industrializzati e potenti come i famigerati G7, G8, e le istituzioni afferiscono al controllo del profitto dell’imprenditoria.
Il lavoratore perde completamente ogni diritto. Ha solo il dovere di lavorare, come, quando e quanto dice il padrone. Ha l’obbligo di non aver esigenze contrapposte al padrone, all’azienda. Egli vive in virtù delle decisioni dell’azienda.

Una volta i limiti alle decisioni dei padroni molto spesso erano sinonimo di democrazia, poiché al datore di lavoro venivano imposti dei limiti “umani” alle leggi del mercato. Ora la liberalizzazione del mercato del lavoro offre un limite per ogni lavoratore. Ed ecco che non esiste più l’uguaglianza dei profili, delle mansioni. Ogni lavoratore è costretto a stipulare un accordo personale con il padrone. Non potrà, ovviamente, solidarizzare con nessun altro lavoratore. Così la solitudine del lavoratore diventa un’arma micidiale per il suo annientamento e/o la sua espulsione dall’azienda.
È solo una questione personale. Molti singoli non creano una moltitudine solidale.

Interesse unitario tra padroni e sindacati

La politica dei sindacati maggioritari ha fatto proprio l’obiettivo dei padroni, sottraendo i diritti sindacali conquistati negli anni Settanta, e ha contribuito a fare accettare le sempre giustificate strategie di produzione della globalizzazione: dalla più piccola unità produttiva alle grandi lobby e multinazionali che ballano ubriache nella cascata di denari e privilegi della razza padrona. Proprio loro hanno portato la coscienza dei lavoratori sul terreno del senso di colpa fino a riconoscere vere le ragioni dei padroni.
Esempio è la riforma sulla scala mobile o sul trattamento di fine rapporto, obiettivo ottimale sia per le grandi finanziarie a loro volta gestite dai grandi gruppi industriali sia dai sindacati che diventano imprenditori con i soldi detratti dalle retribuzioni, dando nuova linfa al mercato azionario e all’ampliamento e burocratizzazione dei sindacati stessi che si troveranno così a richiedere le stesse leggi dei padroni.

Questa politica sindacale non è incauta ma ha bene un obiettivo, cioè quello di far guadagnare ai sindacati, con le loro burocrazie, ruoli istituzionali e organizzativi capaci di frenare, chiudere il cerchio sociale dei lavoratori. Ricacciare i lavoratori nel fondo della società, carne da macello, individui da sfruttare, buttarli nei gironi infernali di sempre nuove forme di sfruttamento per attivare l’ espansione del capitale e del profitto.

Il consenso della coscienza

Oggi assistiamo quasi inermi alla riorganizzazione del capitale che attacca i lavoratori con leggi, che ironicamente vengono chiamate riforme, ma che di fatto sono delle controriforme che scaraventano nel passato, in maniera sempre più brutale, la qualità della vita dei lavoratori.
Non a caso questa legge porta il nome di un personaggio che proviene dalla sinistra. Nessuna meraviglia. La sinistra ha lavorato per costituire un gregge compatto ed addormentato. Ha dovuto usare spesso i cani mastini dei padroni: repressione, isolamento, ridicolarizzazione, bombardamento comunicativo, assenza assoluta di solidarietà lavorativa e sociale finendo per assomigliarli. E collabora con il sistema che oggi costruisce l’alienazione del lavoro e dei suoi prodotti su piani sociali esistenti ai tempi del caporalato. Tutto diretto a costruire un’immagine della società immutabile. Le coscienze dei mutamenti sono esclusivamente nelle desolanti fotocopie della società dello sfruttamento. Cosa c’è di più meraviglioso di un gregge felice e capace di fare quello che vuole il padrone? Non avrà problemi il padrone, non avrà problemi il gregge. Ogni individuo percepirà le leggi, le regole che portano alla felicità dell’adesione sociale.

Inserire nel pensiero di ogni lavoratore che le regole sono immutabili, i padroni sono i padroni per legge divina e avranno la capacità di sapere direzionare le esigenze sociali produttive nel più grande disegno delle finalità dell’umanità e al lavoratore non resta che riconoscere queste grandi doti e sapere che collaborando si sentirà chiamato a partecipare al grande disegno capitalista. Lo sfruttamento diviene inesistente, il nesso salario-mansioni cade di fronte alla subordinazione necessaria del lavoro.

La fine del lavoro stabile

I fondamenti di questa riforma non sfuggono ai balletti di sfruttamento e di alienazione e purtroppo molti percorsi educativi e di studio dei giovani non sono altro che premesse di appianamento della stessa legge. Molti giovani si sottopongono ai ricatti endemici del sistema produttivo e ancor di più accettano la singolarità del proprio contratto, ma eludono che altri, tanti giovani affianco a loro svolgono le stesse mansioni e sono sottoposti agli stessi ricatti.

Molti giovani agognano un posto a tempo indeterminato che viene prospettato ad ogni accenno di rimostranza. E molto spesso al momento dell’inserimento in pianta stabile viene beffato, semplicemente perché il padrone può sfruttare un altro lavoratore ed estromettere il precedente. Molti lavori sono a giornata. A poche ore, coperti da effimere condizioni di lavoro subordinato. Cosa c’è di più astuto che far lavorare il lavoratore come lavoratore autonomo? Egli stesso sarà il suo sfruttatore. Non avrà nessuna regola da rispettare. Lui sarà sfruttatore e sfruttato. Fatti suoi, solo il lavoro porterà guadagni al padrone e briciole al lavoratore.

Vogliamo parlare dei lavoratori in affitto? Anche questi hanno, come dire, il bollino blu. Non dipendono dalla ditta per cui stanno lavorando, ma sono ingaggiati da una anonima ditta che l’affitta: così il lavoratore non potrà mai solidarizzare con altri lavoratori. Fra di loro, nonostante svolgano lo stesso lavoro, non c’è confronto.
La diversità peserà come un macigno. I contratti diversificati faranno in modo che fra questi lavoratori si aprirà astio e non solidarietà. Molte sono le formule inventate da questa controriforma, fantasiose ed inventive come solo chi conosce le debolezze dei lavoratori e le aspettative dei padroni poteva inventare.

Il lavoratore al servizio del capitale

L’attacco al lavoro, la volontà di porlo esclusivamente subordinato alle esigenze del capitale e dello sfruttamento dei lavoratori ha fatto fare alla lotta, in questo momento unidirezionale, dei lavoratori, in direzione della costrizione di una vita scioccata, senza libertà altro che forse quella di cambiare i canali alla televisione, di spogliare nell’essenza di persona pensante e libera ogni individuo che sappiamo costretto al lavoro, costretto alle condizioni imposte, ma anche capace di lottare ogni volta con altri individui per ribadire i propri diritti che non sono quelli delle leggi, ma quelli della dignità e dell’abbattimento di ogni sfruttamento.

Ma i “nostri politici” sono stati eletti dal popolo caprone e degnamente alle loro promesse elettorali, la sinistra come la destra, hanno lavorato e lavorano per “una riforma” che soddisfi qualsiasi esigenza padronale e tenga presente che al proletariato, agli individui in generale, in questo oscuro momento storico, bastano le briciole, spesso molto sporche, per far finta di essere ancora inseriti nel sistema economico trainante dell’umanità fino al benessere per tutti.
In quel ”tutti” chiaramente esiste una scala gerarchica che riguarda l’economia mondiale in toto. Ogni rapporto passa per una legge e una soltanto: lo sfruttamento di uomini, natura, di materie prime e territorio. In Italia nel giugno del 2003 si glorificava l’avvenuta delegificazione della legge Biagi, che altro non era, e tuttora è in senso sempre più peggiorativo, che l’applicazione delle richieste della classe padronale di liberalizzazione della forme e tempo per l’utilizzo della mano d’opera. Questa, già debole, per specificità della propria posizione di offerta, si vede comprata, affittata, assegnata, a guisa del caporalato.

La lingua del padrone

Parole strane, lontane, staff leasing (affitto di mano d’opera) job sharing (lavoro ripartito) ma di facile appannaggio della classe imprenditoriale che si trova agevolmente e regalato su un piatto d’argento tutte le casistiche per meglio sfruttare i lavoratori. Questi ultimi d’altra parte si devono rendere conto che siamo in piena crisi.
Avvengono mega chiusure di fabbriche, che però, come per miracolo, rinascono in altre holding o altre multinazionali. Oppure semplicemente spostano, nel mondo globalizzato ai loro piedi, interi settori produttivi, dove le condizioni di sfruttamento garantiscono ancora più profitti. Nomi fantasiosi, come si addice ad una società in evoluzione. Per loro è così o semplicemente giocano al gatto con il topo: Flessibilità a trecento sessanta gradi.
Così avviene la dipendenza alle esigenze dell’azienda, così la conformazione dei bisogni in subordinazione alla propria posizione nel mondo del lavoro. Un mondo che si struttura con pochi e fortunati lavoratori, già in via d’estinzione, e le moltitudini mendicanti un lavoro: basta che sia!

Secondo me, siamo di fronte ad un passaggio epocale come lo fu la rivoluzione industriale. Ogni stadio della vita diventa terra di conquista per il capitalismo che conforma la vita in maniera totalizzante alle sue leggi.

Somministrazione di lavoro (lavoro in affitto)

Sembra di stare ad espletare una ricetta medica. Al lavoratore viene propinata una dose medicina. E come tutte le medicine prese in dosi massicce può far male. In questo caso la somministrazione è del tutto vantaggiosa per il somministratore .

Lavoro intermittente

Ora si, ora no, ora si, ora no, così il lavoratore dona la sua vita ad intermittenza. Prestazioni occasionali, si dice che il ciuco di Totò imparò a non mangiare, ma si racconta anche che poco dopo morì. Il nostro lavoratore in teoria potrebbe lavorare per dodici o più padroni l’anno. Diventando come il povero ciuco o diventando un plurimo schizofrenico con dodici o più profili professionali o semplicemente farsi sfruttare e spremere ogni mese da chi gli offrirà sempre meno.
Il lavoro occasionale di tipo accessorio: c’è una voce che rincuora il lavoratore che è a rischio uscita dal mondo produttivo e che si deve accontentare di lavoro occasionale, appunto.

Lavoro a progetto, cioè i co.co.co

Questi sono autonomi e indipendenti come lo è un detenuto in isolamento, o lo era un servo della gleba reso libero di vendersi per ottenere il solito pezzo di pane.

Apprendistato

Apprendistato come vuole anche il ministro Moratti che è a un passo dall’introdurre le differenziali per i figli dei lavoratori dei livelli più bassi, salvo i meritevoli che si cospargono il capo della polvere magica della vita borghese ed offrono il loro naturale talento al sistema scolastico, prima, ed al settore produttivo, dopo, la propria capacità intellettiva dirottando sui licei, notoriamente aperti solo ai figli di…
Apprendistato per un contratto professionale, forse la voglia di tornare al medioevale rapporto di garzone di bottega, quando erano i parenti del ragazzo a pagare, ma i tempi si diceva sono cambiati…..

Lavoro a chiamata (job on call)

Il lavoratore deve avere le orecchie più lunghe di una lepre, perché dovrà rispondere, e sull’attenti, alla chiamata del datore di lavoro. Un fischio come ad un cane.

Contratto di inserimento

Sostituisce il vecchio contratto di formazione e lavoro, ancora più chiaro nel suo intento di maneggiare il lavoratore come un pezzo della produzione, adattandolo alla produzione, per come e quanto tempo aggrada al padrone.

Part-time

Il già famigerato part-time, che nascondeva già bene pezzi di lavoro nero gestiti dall’ impresario con la copertura del contratto di meno ore, si spoglia dei pochi limiti che si frapponevano all’appiattimento totale delle volontà del lavoratore, costretto ad accettare il part-time. Sblocco totale degli straordinari e flessibilità nella distribuzione oraria del lavoro e sempre per adeguamento alle esigenze di sfruttamento del datore di lavoro il tempo si restringe o si allunga.

Lavoro ripartito, (job sharing)

L’idea geniale che sembra fatta a favore dei lavoratori coinvolti, due o più, che si dividono il lavoro fra loro.
Ai margini, sempre più ai margini di un lavoro che rende dignità. Al profitto ci pensa il padrone, all’autosfruttamento ci pensano i lavoratori sottoposti a dare le prestazioni lavorative al meglio di se stessi, così da dimostrare tutte le capacità che deve avere un buon lavoratore.
Ogni lavoratore darà alla produzione, in maniera esponenziale più freschezza, maggiore velocità, energie che si sommano creando una plusvalenza di capacità produttiva. Two meglio che one. I padroni ed i sindacati ci arrivano sempre prima.

E il lavoratore? È lì che aspetta, come un cavallo imbrigliato che attende il comando del padrone. Sembra non abbia più parola. Accettare, subire, modellare la propria vita sull’entrata e rimanenza nel mondo del lavoro: competizione, farsi largo, sbranarsi con altri muti lavoratori come i gladiatori a Roma che dovevano solo sceglier se essere sbranati dalle bestie feroci o mandati a morire da un pubblico estasiato dal versamento del sangue.

Bene tutte queste forme creative che si presentano, come va di moda oggi, con definizioni straniere o paroloni strani, ballano intorno al lavoratore che viene considerato alla pari di una energia che il padrone può chiamare e sfruttare quel tanto l’abbisogna.
Niente più contratti nazionali, niente più Statuto dei lavoratori, niente più garanzia costituzionali, e non piangiamo i diritti legali, ma siamo di certo in una situazione di feroce attacco alla vita ed ai progetti sociali dei lavoratori.
Con trenta anni e più di cogestione dei conflitti del mondo del lavoro e sociali, fra i padroni ed i sindacati maggioritari e le forze politiche “di sinistra” siamo di fronte ad una frammentazione suicida dei lavoratori. Questo lo sa bene lo Stato, lo sanno bene padroni e sindacati, ma sembra che i lavoratori abbiano abdicato tutte le realtà sociali costruite con secoli di lotta.

Il potere di acquisto delle retribuzioni è crollato, il mercato si insinua in sfere che altrimenti rimanevano fuori, e tutto è passibile di essere sfruttato o comunque confacente ad imprese ed imprenditori. Ai lavoratori non restano che le batterie di allevamento o quelli che se lo meritano un allevamento a terra sotto fari accecanti e spazi ristretti. Facciamo conto che siano i lavoratori che hanno diritto alle ferie, alla copertura delle malattie, alla pensione. Gli ultimi rimasti, che con il tempo diventeranno solo un ricordo di quando anche i padroni avevano dei limiti. Oggi stretti nella morsa del bisogno lavorativo i lavoratori stentano a riconoscere la indissolubile verità: lo sfruttamento del lavoro porta sempre e comunque ad uno sfruttamento dell’individuo e di tutte le capacità ed espressioni sociali.

Giuseppina Salvemini

* Intervento pubblicato su www.lottadiclasse.it sito dell’Usi, Unione sindacale italiana.

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