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Gli 8 nani, la farsa crudele del G8, i morti di Londra

di Salvo Vaccaro *

Se non ci fossero decine di morti e centinaia di feriti, la tentazione di ricavare la trama di un film visto troppe volte sarebbe forte. Come ogni buon film di rispetto, lo spettacolo è connaturato alla finzione, mentre la realtà si svolge fuori scena, invisibile agli occhi di tutti. Partiamo da quest’ultima.
A differenza di Bob Geldorf – sì, quello che organizza i mega concerti mondiali con le majors che fanno pagare 20 euro un cd che costa qualche decina di centesimi, quello che riunisce i Pink Floyd a sessant’anni e fa cantare l’ex moglie del boss della Sony, nota fan dell’Africa e degli africani, quello che coerentemente, da baronetto, bolla da idioti tutti coloro che non organizzano concerti per far conoscere quello che tutto il mondo vede da decenni: l’Africa sta morendo e tutti se ne sbattono, eccetto Bob Geldorf e i suoi amici, come l’ex segretario al Tesoro di Bush, tale O’Neill che l’ha visitata rigorosamente dopo le dimissioni, con Bono come guida… – a differenza di Geldorf, gli 8 Nani sanno che non possono risolvere alcunché, loro otto, chiusi in una stanza, come auspicava lo slogan più gettonato dell’Live8, questo sì veramente stupido e idiota, a rafforzare la delega mondiale al G8.
Lo sanno perché si sentono e si parlano ogni giorno, a differenza dei vari no global e black bloc che ormai si fanno vivi solo quando sono invitati; e sanno che sul clima non intendono recedere dal loro stile di vita – il loro way of life, dispendioso, dissipante, straripante, depredante energia altrui – mentre sull’Africa i saldi di fine stagione, i 40 mld $ di cancellazione del debito estero di alcuni dei paesi più poveri e più ossequiosi alla Banca Mondiale, stanno già per essere rimessi in discussione, primo da Berlusconi che non sa dove prendere i mld necessari per portare l’Italia allo 0,70% del pil in APS, senza toglierli o a se stesso, o alla difesa per le operazioni umanitarie di pace, o dalle tasche già svuotate dei cittadini.
Come rimediare allora alla insignificanza di un vertice agli occhi del mondo che si aspetta fiducioso un gesto solenne, un atto importante, tali da giustificare la delega perenne e l’attesa messianica verso gli 8 Nani? Quale trovata spettacolare inventarsi per spostare l’attenzione dal fallimento, ossia dal successo di una politica reale che deve dissimularsi dietro la politica spettacolare dei concerti, dei comunicati sintetici di fine summit, delle vetrine rotte nelle manifestazioni di massa, guastate da pochi facinorosi, come puntualmente registrano i media servili?

Sete di potere: se al Qa’da non ci fosse la inventerebbero

Se non ci fossero decine di morti e centinaia di feriti, l’attentato di Londra cadrebbe a fagiolo, non a ostacolare gli 8 Nani, quanto a rinforzarli, colmando il loro vuoto politico – e il loro pieno militare – di ulteriori motivi emotivi e ragionevoli per militarizzare oltremodo le nostre società e tutelare quel way of life responsabile del terrore e del controterrore, nonché della povertà della stragrande maggioranza del pianeta: che senso ha rimediare all’inquinamento prodotto dall’energia petrolifera che buca lo strato di ozono creando l’effetto serra, l’innalzamento climatico, riparandosi sotto l’ala del nucleare, dato che ogni centrale, tra l’altro potenziale bersaglio di terroristi e fanatici vari, andrebbe sottoposta a controlli militari ad ampio raggio? E come giustificare ancora l’introduzione di sempre più sofisticati apparati di controllo a distanza, di individuazione elettronica e biometria, di passaporti sempre più sensibili a diavolerie computerizzate e individualizzate, addirittura della carta di identità inglese da poco varata dal Parlamento inglese con l’opposizione di parte dei conservatori, perbacco, gelosi della tradizionale privacy british, se non dietro l’ondata che spazza via vite umane, come sacrificate sull’altare della sete di potere, democratico o fondamentalista poco importa, vista ormai la sottile distinzione accademica, ma uniti nel loro illiberalismo tout court.
Se non ci fosse al Qa’ida occorrerebbe inventarla, del resto la sua esistenza è virtuale, reticolare, federalista, a quanto dicono gli esperti di invenzione di massa. Certo, nel nostro piccolo, la federazione informale può essere un giochetto nostrano che a stento funziona, a meno che non ci scappi prima o poi il morto anche qui. Tuttavia pochi si farebbero infinocchiare, meglio puntare sul terrorismo internazionale, sul nuovo Carlos degli anni ’70, oggi patetica figura in galera su cui nessuno giocherebbe un dollaro bucato sul tavolino della georoulette planetaria. Eppure Carlos era l’antesignano di Osama bin Ladin, onesto artigiano nelle mani di intelligence varie aduse a seminare morte (possibilmente altrui) pur di raggiungere i propri obiettivi politici senza scrupoli moralistici. E in questo, alla politica come chiave del terrore dell’era del bipolarismo, oggi corrisponde la religione come cifra della globalizzazione, potente leva di fanatismo (nemmeno la politica est/ovest di ieri scherzava, però) e di reclutamento a buon mercato, tanto poveri e disperati sono prodotti intimamente legati al modo di produzione geopolitico del capitalismo finanziario e mediatico.

Patto di sangue

Ecco allora l’unilateralismo neocon, il multilateralismo neolab, la complicità teocon, stretti in un patto implicito e indicibile di sangue umano, quello necessario a tenere buoni i popoli, ricchi e poveri, belli e brutti, sottomessi ai rispettivi leader nazionali nonché agli equilibri mondiali del terrore permanente.
Del resto, pandemie, povertà, sottonutrizione, conflitti genocidari e guerre preventive, producono morte dappertutto e con cifre mostruose, al cui confronto, ammesso che sia lecito, i 4mila delle twin towers sono effetti collaterali – non si dice così, è vero? – di una guerra mondiale duratura ormai da decenni, se non da oltre cinque secoli… Beninteso, guai a far vedere e toccare con mano, tutto ciò, l’autocensura dei media dei padroni è coerente e così nell’epoca del grande fratello (non Orwell, il reality show!) in cui mettono le telecamere pure nel cesso, figurati se ne trovi una a Falluja a contare i morti del terrore a stelle e strisce – le democrazie non fanno guerre, ammoniscono gli intellettuali da sempre organici al potere del più forte – o a far vedere i corpi dilaniati dai bombardamenti a distanza dai cieli, o a mostrare i cadaveri straziati nel metro londinese. Nulla di tutto questo, se non la spiata su chi c’era al matrimonio di Totti…

Terrore e oppressione

Come guerra chiama guerra, così bombe chiamano bombe, dopo Madrid e Londra, tocca a Copenhagen e Roma, a sentire la grancassa delle cassandre cointeressate a bilanciare terrore e controterrore, tanto sempre di élite in cerca di potere si tratta. L’unico disegno politico del controterrore è far avvicinare il fronte militare nei pressi se non all’interno della società civile dei paesi, visto che il terrore statuale ha già di fatto annichilito le società civili di paesi spazzati da guerre endemiche (si veda il conflitto mediorientale, dove Palestina e Israele sono ormai da decenni nelle mani di élite corrotte, sanguinarie, incivili, illiberali, secondo uno standard da manuale accademico, tanto ormai non ci credono nemmeno gli studenti di primo anno alle favole dei manuali di scienza politica). Così la politica ha globalizzato il pianeta, all’insegna della soggezione intimorita come nemmeno avrebbe saputo immaginare il buon Hobbes con il suo bellum omnium contra omnes, da cui nasceva la cessione di libertà in cambio di sicurezza, esattamente come predicano oggi i difensori della esigenza sicuritaria, tanto a destra quanto a sinistra di ogni emiciclo parlamentare. Del resto, come fare a perpetuare i privilegi del 20% dell’umanità che depreda l’80% delle risorse se non spegnendo le coscienze al loro sorgere, con l’ottundimento mediatico, con la repressione, con il ricatto della guerra?
Beninteso, facile è ragionare criticamente senza essere bombardati da cinquemila o all’improvviso in un vagone di metro, e la stretta mortale proprio l’impossibilità della critica ha per obiettivo politico di lungo termine, seminando quel terrore anticamera di ogni oppressione salda perché invocata dalle masse terrorizzate.

* Articolo tratto dal settimanale anarchico Umanità Nova, numero 26 del 17 luglio 2005, anno 85.

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