Nonluoghi Archivio Gli adepti della “Asburgo-therapy”

Gli adepti della “Asburgo-therapy”

Il deputato Mauro Ottobre (Patt) oggi invita governo e Parlamento a dar corso ai provvedimenti legislativi “per il ritorno (in Trentino Alto Adige, ndr) dei Comuni facenti parte dell’ex impero asburgico (Pedemonte e Casotto – Vicenza, Valvestino e Magasa – Brescia, solo per citare alcuni dei 26 richiedenti), nel rispetto dei singoli referendum tenutisi nei territori interessati e delle varie ed approvate mozioni regionali”.


Secondo il parlamentare trentino, che interpreta evidentemente il pensiero corrente dei suoi colleghi di partito, questa iniziativa rappresenterebbe “un’ulteriore assunzione di responsabilità per un’autonomia che sappia guardare anche fuori dai propri confini”.

Perciò, Ottobre sollecita i presidenti delle Province autonome Trento e di Bolzano, Ugo Rossi e Arno Kompatscher, a sollevare la questione quando incontreranno il ministro per gli affari regionali e le autonomie, Graziano Delrio, nell’ambito della trattativa Stato-Province autonome, il 28 gennaio.

Ora, è interessante notare che il medesimo ministro Delrio è il grande interprete di un disegno sostanzialmente neocentralista che, al momento, si esplica nella sua riforma cosiddetta “svuota Province” (ordinarie) calata indiscriminatamente su tutti i territori (quelli favorevoli e quelli accesamente contrari a rinunciare all’articolazione intermedia della democrazia, attualmente sospesa d’imperio da Roma che nega il diritto elettorale).

In particolare, Delrio si è segnalato per la sordità nei riguardi delle istanze delle due province interamente alpine di Sondrio e di Belluno, che giustamente si battono non tanto per salvare questo vecchio ente ma per riformarlo davvero in un’ottica autonomistica che affidi a questi territori una disponibilità di potere locale sufficiente a contrastare il declino di quelle aree montane che non godono del regime differenziato assicurato dagli statuti speciali.

L’impianto delle riforme prospettate dal governo e probabilmente anche dall’opposizione parlamentare si caratterizza per l’assenza di una qualsivoglia attenzione per le problematiche delle zone di montagna cui sono negati strumenti di autogoverno e le relative dotazioni finanziarie (poca gente, pochi voti: che emigrino in pianura…).

Dal ddl Delrio esce l’idea di un Paese che accresce lo squilibrio fra i territori montani e periferici (a statuto ordinario) che franano letteralmente oppure si spopolano a vista d’occhio (come nell’alto Bellunese) e le aree metropolitane cui si riserva un sistema istituzionale ipertrofico affidando fra l’altro ai sindaci dei grandi capoluoghi anche il governo dell’area vasta confinante nella quale nessun cittadino li avrà eletti.
Ora si profila all’orizzonte anche un’operazione di depauperamento del ruolo delle Regioni (a quanto pare il neosegretario Pd Matteo Renzi intende sottrarre competenze a questi enti, specie in materia di energia e di grandi opere). Va da sé che le Regioni devono essere ripensate, anzi, se in Italia davvero esistesse un barlume di cultura federalista andrebbero probabilmente ridisegnate (per costruire ambiti territoriali omogenei, secondo le aspirazioni dei territori) e investite di nuove responsabilità, in modo da alleggerire il peso sulla vita quotidiana dei cittadini delle decisioni assunte dal livello nazionale più distante da loro: lo Stato.

Al contrario, i nuovi centralisti, a prescindere dal colore politico, vanno esattamente nella direzione opposta e immaginano un dualismo “collaborativo” (o neufeudale?) fra i municipi e il governo centrale con i suoi prefetti.

Viene il dubbio che questa smania di azzerare i presidi democratici nei territori risponda semplicemente all’ossessione decisionista di imporre alle periferie la volontà dello Stato centrale: l’approccio concertativo forse  è ritenuto troppo dispendioso in termini di tempo e di energie (è la democrazia, bellezza…).

Qui molto si potrebbe dire sulle declinazioni possibili di un sistema nazionale formalmente democratico; di certo si va nella direzione opposta alla responsabilizzazione decentrata e alla redistribuizione del potere (per non farci mancare nulla, a quanto pare si pensa pure a un sistema elettorale in cui chi prende il 35% comanda…).

Un segno di questa corrente di pensiero “metrolitano” mi pare sia l’irritazione con la quale il governo ha affrontato le sacrosante rivendicazioni dei montanari bellunesi (costretti a rincorrere con qualche emendamento-salvagente il pasticcio normativo voluto da Letta, Delrio e Renzi). Montanari, che fra l’altro, rappresentano una terra largamente sfruttata dalle aree metropolitane e di pianura, specie a scopo idroelettrico e irriguo (di fatto senza un ritorno finanziaro ma con danni all’ambiente e all’economia turistica, per non dire dei duemila morti del Vajont).

In questo scenario mi sembra che alla classe dirigente trentina sfuggano alcune connessioni.

La prima è quella fra le battaglie delle popolazioni alpine, soprattutto quelle ai confini provinciali e regionali, e il destino di tutte le terre alte, comprese quelle che oggi probabilmente sopravvalutano lo spessore della corazza difensiva rappresentata dagli statuti speciali e da un governo considerato amico: in tv nei giorni scorsi abbiamo visto solo un embrione di ciò che potrebbe essere una valanga di delegittimazione, irrazionale, certo, ma di sicura presa sull’opinione pubblica nazionale e “metropolitana”. È stato così anche per le Province ordinarie: è partita l’onda, sono state identificate con la casta e malgrado la loro cancellazione, oltre a indebolire la partecipazione democratica, faccia lievitare i costi e mandi in tilt vari servizi (dalle strade alle scuole), il governo e il parlamento vanno avanti a testa bassa, incuranti dei richiami alla razionalità delle riforme.

La seconda connessione è quella fra le ragioni delle aree di montagna e le ragioni delle autonomie speciali: si continua a insistere su un fragilissimo registro retorico di tipo storicistico e nel contempo a sottovalutare la vera questione nodale: la marginalità politica della questione montagna in Italia. Altri, in Sudtirolo, hanno comprensibilmente anche questioni diverse da gestire, cioè la convivenza dei gruppi liguistici (peraltro cristallizzati scientificamente da scelte politiche ultradecennali).

Il valore della questione montagna – anche come incontestabile motivazione di regimi istituzionali differenziati – e l’importanza di nuove relazioni fra le genti alpine, in un quadro nazionale che le minaccia, viene còlto solo da una piccola minoranza della classe politica trentina; può darsi, tuttavia, che la portata di questa tematica sia già stata afferrata dai cittadini e dalle categorie economiche locali.

La classe politica, invece, si dimena sulle poltrone in giunta regionale e pare incapace di produrre una visione seria e profonda sul futuro istituzionale a medio termine. Il Pd trentino, per esempio, mentre sostanzialmente ignora il resto delle Dolomiti e dintorni (che sono proprio qui sull’uscio di casa), prospetta una Regione forte e “identitaria” con il Sudtirolo e sperabilmente con tutto il Tirolo (si sorvola peraltro sul piccolo dettaglio che la gran parte dei bolzanini hanno altre pulsioni).

Non sorprenderà, dunque, se il mese scorso l’onorevole Mauro Ottobre (come il suo collega del Pd Michele Nicoletti e gli altri parlamentari regionali di maggioranza, Svp compresa), hanno sostenuto senza fiatare, con il loro voto favorevole, proprio il disegno governativo che desertifica la rappresentanza democratica nelle vicine Province ordinarie alpine e le condanna a vivere nell’incertezza amministrativa, disarmati mentre procedono inesorabili i fenomeni di degrado economico e sociale.

Tutti senza fiatare, tranne Lorenzo Dellai, che ha eccepito proprio sulla questione montana; ma poi ha assicurato ugualmente il suo voto al governo.

Vien fatto di chiedersi quali siano i valori e i principi per cui spendersi fino in fondo, per un eletto in Trentino Alto Adige, se non quelli delle autonomie negate e delle Alpi calpestate.

Epppure, facendo due più due, l’on. Ottobre potrebbe immaginare che un giorno, di fronte alle sue accalorate rimostranze storicistiche sulle tradizioni dell’autonomia, un ministro potrebbe semplicemente ricordargli che l’Impero asburgico non esiste più. Da circa un secolo.

zenone sovilla

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