Fu l´alleanza stretta dalla Cia con gli estremisti islamici e in particolare
con lo spietato Osama Bin Laden contro l´invasione sovietica dell´Afghanistan
a spianare la via al terrorismo degli integralisti musulmani che, ironia
della storia, ora colpisce tragicamente al cuore gli Stati Uniti?
Fu
l´alleanza stretta dalla Cia con gli estremisti islamici e in particolare
con lo spietato Osama Bin Laden contro l´invasione sovietica dell´Afghanistan
a spianare la via al terrorismo degli integralisti musulmani che, ironia
della storia, ora colpisce tragicamente al cuore gli Stati Uniti?
John K. Cooley,
giornalista e scrittore attualmente corrispondente da Atene di Abc News,
non ha dubbi e nel suo volume di stampa «Una guerra empia. La Cia
e l´estremismo islamico» (Elèuthera, luglio 2000, pp.
399, lire 35 mila) documenta in modo dettagliato i vari passaggi di questa
pagina di storia cominciandone la ricostruzione ben prima di quel 1979
che vide gli Stati Uniti avviare un rapporto stretto con i terroristi in
funzione anti-sovietica. Cooley, tra l´altro, spiega che gli Usa,
per mano della Cia e con la collaborazione fattiva di Pakistan, Arabia
Saudita e Cina, armarono, addestrarono e finanziarono 250 mila mercenari
islamici di ogni parte del mondo. Stretto in questa fase anche il rapporto
con Bin Laden. «Gli analisti occidentali, nei loro pensatoi, e i
servizi di controspionaggio di Washington, Londra, Parigi e Roma si chiedevano:
chi è il principale nemico del nostro nemico, il comunismo? In che
modo potrebbe aiutarci?
E, nello stesso
tempo, come possiamo contrastare i leader del terzo mondo e le loro dottrine,
che consideriamo al servizio del comunismo?», osserva l´autore.
E poi spiega come si avviarono i contatti con personalità degli
stati islamici e arabi più conservatori. «Fu così –
scrive Cooley – che ebbe inizio quello che in un primo tempo era un semplice
flirt tra gli Usa e l´Islam e che si esprimeva con un sostegno moderato
e prudente, in genere
occulto, agli attivisti
politici “islamisti”». Cooley sostiene che sulla scorta di questi
nuovi contatti, gli Usa e alcuni alleati finanziarono «una serie
di guerre per procura» in Africa e in Asia, contro i propri avversari,
spesso alleati veri o supposti di Mosca. Quando il Cremlino guidato da
Breznev decise l´invasione dell´Afghanistan nel 1979, la Casa
Bianca di Carter vide nell´iniziativa una minaccia all´equilibrio
mondiale ma anche una buona occasione per «assestare un colpo decisivo
al già vacillante impero sovietico».
Fu così
che quella che Cooley definisce «love story» fra gli Usa e
l´islamismo ebbe un
nuovo «sussulto di passione» con l´alleanza tra la dittatura
militare pakistana, d´ispirazione islamica, e gli americani. Dieci
anni dopo l´armata rossa sarà sconfitta e le vicende afghane
daranno un colpo duro all´Urss.
Nel frattempo, in Afghanistan
il movimento dei talebani, favorito da Pakistan e Arabia Saudita, conquisterà
il potere e lo gestirà in modo liberticida terrorizzando la popolazione
nel nome di un´interpretazione severa dell´islamismo sunnita.
Ma il grande movimento mercenario messo in moto dagli Usa avrà effetti
anche fuori dei confini afghani. I talebani e l´orrore che seminano
è solo una delle conseguenza. Le altre faranno anche vittime americane,
fino alla tragedia incredibile di ieri: alle tensioni destabilizzanti in
Egitto (attacchi ai turisti e agli autoctoni), Cecenia, Algeria e altri
paesi si affiancano gli attentati sanguinosi al World Trade Center e alle
ambasciate americane di Nairobi (1998, 247 morti, 12 cittadini Usa) e di
Dar-es-Salaam (dieci morti, cento feriti).
E così
il terrorismo islamico e la sua eminenza grigia, Osama bin Laden, da alleati
degli Stati Uniti diventano il grande nemico che, purtroppo, non si è
stati in grado di neutralizzare.
Sovilla)
Relazioni pericolose
USA e integralismo islamico: l’analisi
di Cooley
Da “Umanità
Nova” n. 38 del 4 novembre 2001
Comincia con una citazione
dal secondo capitolo de Il Principe di Machiavelli l’affollatissima conferenza
di John K. Cooley organizzata a Imola dal Social Forum locale. Una citazione
che non può essere più attuale, là dove il grande
politico fiorentino mette in guardia il “principe” dal servirsi con troppa
fiducia delle milizie mercenarie, ché se oggi sono preziose per
combattere il nemico del momento, domani saranno assolutamente imprevedibili
e infide allorché potranno imporre la loro minacciosa presenza all’avventuriero
di turno.
Profondo conoscitore delle
strette e inconfessabili “relazioni pericolose” intercorse fra i governi
americani degli ultimi decenni e il mondo del fondamentalismo islamico,
John Cooley (per quarant’anni corrispondente dal Medio oriente e autore
dell’attualissimo Una guerra empia. La Cia e l’estremismo islamico, Milano,
Eleuthera, 2000) ha recentemente compiuto un intenso ciclo di conferenze
e dibattiti in giro per l’Italia, per illustrare, con la dovizia di fonti
e di notizie tipica del giornalismo d’inchiesta anglosassone, la oggettiva
correità del sistema di potere statunitense con i tragici fatti
dell’11 settembre.
L’assunto è semplice,
talmente semplice da far esclamare, una volta che sia stato esposto con
simile ricchezza di particolari, che il re è nudo. Gli Stati Uniti,
nella loro lotta decennale contro l’impero del Male, detta anche Guerra
Fredda, non hanno lesinato mezzi ed energie per assoldare una congerie
di comparse disposte a svolgere il prezioso ruolo di spalla nel reciproco
gioco delle parti. Naturalmente guardandosi bene dal fare questioni di
etica o di morale, e senza andare tanto per il sottile – ci mancherebbe
altro – nella scelta dei compagni di strada. Indifferenti o disattenti
rispetto alle prevedibili future catastrofi, hanno infatti stimolato, ovunque
possibile, la nascita di gruppi, movimenti e organizzazioni che, in nome
dell’Islam e della lotta alla emergente secolarizzazione marxista delle
società arabe, combattessero per procura, localmente, quelle piccole
o grandi battaglie che le loro istituzioni, per motivi comprensibili, non
potevano combattere.
Cooley, da bravo giornalista,
non si ferma naturalmente all’esposizione di una tesi, ma con pignoleria
quanto mai efficace documenta, fonti alla mano, tutti gli interventi della
Cia e dei governi americani finalizzati a questo scopo. A differenza di
quanto si crede, l’appoggio dato dagli Stati Uniti al fondamentalismo e
all’integralismo islamico non nasce in concomitanza e in contrapposizione
all’invasione sovietica dell’Afganistan (si veda al proposito il bell’articolo
di Pietro Stara sull’ultimo numero di “Umanità Nova”), ma parte
da più lontano, ancora dai tempi dell’amicizia fra il presidente
egiziano Sadat e i Fratelli Musulmani, prima forma embrionale e ancora
moderata della rinascita di un islamismo protagonista sul piano politico
e sociale. Partendo da questo cuneo infiltratosi in uno schieramento sostanzialmente
filosovietico, la Cia comincia a finanziare e addestrare, sul finire del
1979, una Internazionale di volontari musulmani che parta a combattere
i russi, agevolando al tempo stesso la rinascita di una forte identità
islamica capace di contrastare le tendenze socialiste e nazionaliste proprie
delle classi dirigenti degli stati petroliferi emergenti in quegli anni.
Con l’appoggio dei servizi
segreti di alcuni paesi islamici di rito sunnita, in primo luogo di quelli
pakistani, prende corpo, nella minuziosa analisi del giornalista americano,
il proliferare di gruppi ideologicamente fanatizzati e tesi a restituire
credibilità e centralità a un dettato coranico messo apparentemente
in sordina dalla crescente secolarizzazione delle società arabe.
La guerra contro i russi è la prova del fuoco di questo progetto,
la cartina di tornasole di una strategia apparentemente lungimirante ma
alla prova dei fatti di cortissimo respiro. Infatti, una volta finita quella
guerra che ha praticamente dato il colpo di grazia a una Unione Sovietica
già agonizzante, tutti i combattenti islamici, ormai ricchi di esperienza,
riportano nei loro paesi d’origine i valori e gli assunti per i quali hanno
combattuto, riassumibili in una visione del mondo ispirata ad una interpretazione
irriducibilmente integralista e reazionaria delle parole di Maometto.
È chiaro che, una
volta distrutto l’impero sovietico, all’America non serve più questo
universo di guerrieri reclutati nelle carceri comuni o allevati nelle madrase
pakistane, e ben volentieri se ne sbarazzerebbe, ma ormai la trottola si
è messa in moto e nessuno sa più come fermarla. Organizzata
con gli efficaci metodi della Cia, impadronitasi della migliore tecnologia
occidentale, finanziata dagli oscurantisti miliardari sauditi, la nuova
jihad non è più disposta a ritirarsi per tornare a obbedire
a un qualche padrone, ma, consapevole della sua importanza e del ruolo
centrale che potrà avere nella storia politica di questo secolo,
mette con l’orgoglio e la tracotanza del fanatico la questione islamica
al centro dell’attenzione mondiale. Orgoglio e tracotanza che si appoggiano,
tragicamente, sull’oggettività di una criminale e insostenibile
condizione di subalternità dei paesi poveri nei confronti dell’opulento
e rapace occidente. I passaggi di questo processo, indicati con precisione
e preveggenza da Cooley, passano dall’Egitto all’Algeria, dalla Cecenia
al Sudan, dalla Libia all’Iraq e alla Palestina, via via attraverso tutto
il mondo islamico per finire, e non poteva essere altrimenti, a questo
sempre più fantomatico ed evanescente emiro saudita che sembrerebbe
chiamarsi bin Laden. È un destino ineluttabile quello degli americani,
di dover “sconfiggere” un nemico con l’aiuto di chi sarà il suo
nemico di domani, è la parabola del potere e dell’imperialismo,
che potendo conservarsi e prosperare solo nella repressione e nell’oppressione
non potranno mai avere la pace del giusto.
E così siamo alla
storia di oggi, alla cronaca drammatica di questi giorni che vede ancora
una volta l’impero americano impegnato in una delle sue ormai tradizionali
guerre umanitarie, guerre fatte di bombe intelligenti e di missili pensanti,
di pacchi dono e di eroici marine. Ma anche di ospedali, di autobus, di
case, di scuole, di asili, di ospizi, di croci rosse, di carovane di nomadi,
di convogli di carburante, di civili ignari, inermi e inconsapevoli, di
donne e bambini bombardati e uccisi con la anonima ferocia di sempre.
Con buona pace dell’ingenuo
popolo americano sempre più spinto a credere di combattere la definitiva
battaglia contro il Male. Un male con la M maiuscola, maiuscola come non
mai.
Massimo Ortalli
(Umanità Nova)
Cooley, giornalista e scrittore,
lavora attualmente ad Atene per la ABC News ed è stato per oltre
40 anni corrispondente dal Medio Oriente e dall’Africa del Nord. Ha scritto
vari libri, tra cui Libyan Sandstorm: Qaddafi’s Revolution (1981) e Payback:
America’s Long War in the
Middle East (1991).
il 18-8-2000
rivisto
il 7-11-2001)