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L’addio a Howard Zinn

[b]Zenone Sovilla[/b]

Gli Stati Uniti hanno perso una delle loro principali voci intellettuali, con la morte di Howard Zinn, fra i più singificativi studiosi della storia americana nonché fervente attivista culturale nel nome della democrazia sostanziale e delle libertà civili. Nonostante larga parte dei mass media italiani – impegnati nei consueti e tristi polveroni e polverini da cortile – non si siano accorti del tragico evento, Zinn era un autore piuttosto frequentato anche dagli editori e dai lettori nazionali, specie da quelli più curiosi e desiderosi di scoprire un punto di vista originale e intellettualmente profondo e onesto. L’autore, che era nato a Brooklyn nel 1922 e aveva a lungo insegnato scienze politiche (alla Boston University il periodo più lungo, dal 1964 al 1988), è noto in particolare per la sua rilettura della storia americana con gli occhi degli umili, un tentativo riuscito di rovesciare la prospettiva del potere che con mille stratagemmi impone la sua «visione» delle cose.
Zinn ha offerto una prova decisiva di questa sua ricchezza nell’opera «Storia del popolo americano dal 1492 a oggi» (in Italia edita da Net/Saggiatore), nata negli annni Settanta dalla constatazione che «la storiografia ufficiale ometteva da sempre numerosi elementi cruciali del passato».
A cominciare dal vero senso e dalle conseguenze delle guerre: Zinn, che fu in Europa come aviere nel Secondo conflitto mondiale ma poi tra i primi intellettuali a contestare da nonviolento l’attacco Usa al Vietnam nel 1959, voleva rimarcare il costo umano delle decisioni comodamente prese da politici e uomini d’affari nelle loro torri d’avorio: l’idea era scrivere un libro di storia nazionale che desse voce ai «vinti», alle donne, alle minoranze etniche e ai lavoratori.
Zinn, la cui visione per molti tratti si può associare a quello di pensatori come Noam Chomsky, sottolineava che dopo tre secoli di guerre coloniali e genocidi, furono «cinquantacinque uomini, tutti bianchi, ricchi e decisi a difendere i propri interessi» a partorire nel 1787 la Costituzione americana. Erano le fondamenta di una «democrazia» nata a sostegno dei potenti che si autolegittima via via grazie alla retorica nazionalista e alle falsificazioni storiche.
Lo studioso americano pretendeva di più dall’architettura della convivenza di liberi e eguali: una democrazia aperta, compiuta, in cui veramente ogni essere umano avesse pari dignità e peso.
Un afflato nel quale traspariva che Zinn anche come accademico sapeva far tesoro delle sue umili origini: era figlio di immigrati, la mamma veniva dalla Siberia, il papà dalla Mitteleuropa asburgica, entrambi ebrei. «Se la storia – scriveva – vuole essere creativa e suggerire un futuro possibile, occorre valorizzare possibilità nuove e rivelare gli episodi misconosciuti in cui la gente comune ha mostrato la propria capacità di resistere e lottare».

Un altro articolo su Howard Zinn nel mio blog nel sito del quotidiano l’Adige [url=http://www.ladige.it/news/2008_lay_notizia_01.php?id_cat=80&id_news=55664]La foresta di Sherwood[/url]

Sito dedicato a Zinn: www.howardzinn.org

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