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Perché la destra fa paura

di Antonio Cardella
[ Da A Rivista anarchica – www.arivista.org ]

Non mi pare che i mezzi d’informazione italiani su carta o in video abbiano frequentato con la dovuta attenzione le ultime vicende che hanno caratterizzato la vita politica polacca. Eppure nelle recenti elezioni politiche che si sono svolte in quel paese, a settembre per il rinnovo del Parlamento e ad ottobre per la presidenza della repubblica, si sono prepotentemente affermati due gemelli, Jaroslaw e Lech Kaczynski, dell’ultra destra reazionaria e xenofoba, con fortissime componenti antieuropee ed una propensione notevole verso l’America di Bush. Dei 466 seggi del nuovo Parlamento ben 288 andranno alla destra (una coalizione tra Diritto e Giustizia, il partito dei Kaczynski e la Piattaforma civica del candidato liberale Donald Tusk, anch’egli della destra, che ha sino all’ultimo contrastato la vittoria alle presidenziali di Lech Kaczynski).
La sinistra dell’ex comunista Alexander Kwasniewski, che aveva vinto le elezioni del 2001, ha subito un tracollo verticale, incapace di avviare a soluzione i molteplici problemi di un paese non in grado di produrre per soddisfare i fabbisogni interni, con una industria tecnologicamente arretrata e una rete di comunicazioni interne assai carente. Un paese, quindi, dipendente dall’estero, con un alto grado di indebitamento e di disavanzo dei conti pubblici.
Cosa cambierà adesso? In politica interna, tutti gli osservatori concordano nel prefigurare una svolta nella politica economica nel senso di un capitalismo più aggressivo, privo di regole, con una riduzione drastica del costo del lavoro ed un altrettanto drastico ridimensionamento dei diritti che tutelano i lavoratori. Ed è singolare, perciò, che i due Kaczynski siano riusciti ad ottenere il consenso della parte più umile dell’elettorato, promettendo sostegni alle famiglie, ai pensionati e al mondo agricolo senza spiegare dove troveranno le risorse per mantenere queste promesse. Anche in latitudini lontane dalle nostre, il berlusconismo ha fatto scuola.

Una sinistra assente

Ed è questa destra che attualmente, in Europa, alimenta il dibattito su problemi che, nella sostanza, sono gli stessi che si presentano al nuovo governo polacco: come conciliare la permanenza di uno stato sociale che garantisca pensioni, assistenza sanitaria, sostegni alla disoccupazione in contesti in cui le risorse sono scarse, l’inflazione è sempre dietro l’angolo, i fattori della produzione sono in crisi ed espellono mano d’opera dalle imprese.
In assenza di una sinistra vera, che elabori modelli alternativi ai percorsi consueti del capitalismo maturo, è la destra a dettare le cadenze di un dibattito che pone soluzioni obbligate, ed è un dibattito che vede la sinistra, quella che così si qualifica nello schieramento politico delle singole realtà nazionali, irretita in una dialettica che non dovrebbe appartenerle: quando mai una sinistra autentica ha barattato le esigenze della stragrande maggioranza degli uomini e delle donne, quelli/e che lavorano e con fatica sopravvivono, con le compatibilità imposte dal modello di sviluppo capitalistico? Quando mai una sinistra vera ha accettato le logiche del mercato, che pianificano lo sfruttamento e condannano all’indigenza (quando non addirittura alla morte) miliardi di esseri viventi sparsi in ogni plaga del pianeta?
Ebbene sono queste compatibilità che condizionano il dibattito sul nostro continente.
Guardate la Germania: la Grande Coalizione, che è scaturita come strada obbligata dalle recenti elezioni per il rinnovo del Bundestag, vede le sue due grandi componenti, la CDU/CSU di Angela Merkel e la Spd di Helmut Schröder, condizionarsi a vicenda nel tentativo di elaborare un programma che fornisca soluzioni agli stessi problemi che insistono nella realtà polacca. Solo che, per effetto delle compatibilità, è Schröder a uscirne più snaturato, a dover annacquare il vino della sua tradizione socialdemocratica con l’acqua dell’ineludibile stabilità del sistema
E la stessa cosa avviene in Francia, in cui il dibattito si svolge tra due esponenti della destra, il primo ministro Dominique de Villepin e il suo Ministro dell’Interno Nicolas Sarkozy (nei ruoli dei loro omologhi polacchi Tusk e Kaczynski): il primo, de Villepin, erede spirituale di De Gaulle, vede nella continuità, nello sviluppo compatibile con la sopravvivenza di norme che garantiscono il lavoro e i più deboli, l’avvenire di una Francia capace di riconquistare un posto preminente nel consesso dei popoli; il secondo, Sarkozy, è invece votato ad un liberismo senza condizionamenti, capace di rilanciare la grandeur francese, privilegiando il rapporto con gli USA ed egemonizzando la politica europea con la forza di un’economia interna in espansione ed un assetto statale autorevole (per non dire, come si dovrebbe, autoritario).
Manco a dirlo, anche la Francia è attraversata dalle stesse difficoltà che abbiamo rilevato in Polonia e in Germania, e non sembra che disponga di strumenti inediti per affrontarle.

Selezione ed esclusione

Per concludere questo sintetico affresco, a me pare che, per la natura dei problemi, per la scarsità crescente delle risorse, per la sclerosi della razionalità occidentale – almeno della razionalità che concretizza gli assetti politico-economico-sociali dei suoi contesti – il ruolo dissolutorio della destra, comunque manifesta o mascherata, sia destinato a crescere ed a disarticolare ulteriormente il tessuto dei popoli.
Seguire la sinistra nelle sue istanze riformiste, mi pare pura follia: non esiste meccanismo riformistico che possa trasferire al proletariato, agli anziani, ai diseredati della terra una ricchezza la cui produzione e redistribuzione avviene secondo logiche di selezione e di esclusione: il mercato premia sempre chi più può offrire in denaro o in potere; premia chi può produrre a minor costo e il minor costo grava sempre su chi è costretto comunque a lavorare.
I meccanismi sono questi e non sono emendabili. Occorrerebbe una rivoluzione del modo di produzione delle idee, senza la quale è impossibile creare il necessario distacco con l’esistente e aggredire i problemi degli uomini, partendo da una corretta analisi delle relazioni che è naturale e necessario intercorrano tra gli uomini stessi, tra gli uomini e il pianeta che occupano e che debbono salvaguardare e da cui possa scaturire un nuovo, egualitario concetto di giustizia che tuteli la pace e consenta uno sviluppo compatibile.

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Questo sito nacque alla fine del 1999 con l'obiettivo di offrire un contributo alla riflessione sulla crisi della democrazia rappresentativa e sul ruolo dei mass media nei processi di emancipazione culturale, economica e sociale. Per alcuni anni Nonluoghi è stato anche una piccola casa editrice sulla cui attività, conclusasi nel 2006, si trovano informazioni e materiali in queste pagine Web.

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