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L'approccio folle. Globalizzatori, distrazioni e catene di bugie
L'inchiesta di Paolo Barnard per Report che svela le manovre sulla pelle dei cittadini
 

di PAOLO BARNARD

   Quando si pronuncia la parola Globalizzazione gli animi si scaldano subito. 
Oggi infatti si assiste a  un dibattito sempre più acceso fra i contestatori dei mercati globalizzati da una parte e dall'altra i sostenitori dell'idea che il benessere economico mondiale richieda liberi scambi senza troppe regole politiche o sociali. L'apice di questa diatriba la si è vista nel novembre del '99 con la grande contestazione di Seattle, la città americana che ospitava il massimo vertice di Globalizzazione, sulla quale discesero "sciami" di contestatori da ogni parte del mondo.

        Ma la Globalizzazione cos'è esattamente? E quali sono le sue ricadute
        sulla società civile? Questa inchiesta mostra solo i lati controversi dei
        processi globalizzanti, e lo fa intenzionalmente, poiché le ricadute
        positive ci vengono illustrate ogni giorno, su ogni media, nella pubblicità,
        e persino dai nostri politici. Ma i pericoli e le zone d'ombra ci sono, e
        sono proprio quelle su cui si tenta di stendere un velo interessato di
        silenzio. Iniziamo proprio da alcuni degli esempi più noti.

Carne agli ormoni e guerre commerciali

        L'Europa ha decretato che la carne americana trattata con ormoni
        artificiali, al contrario della nostra, è pericolosa per la nostra salute e ha
        deciso di non importarla. Una precauzione che però ci costa molto cara:
        340 miliardi di sanzioni americane contro il Vecchio Continente. Una
        ritorsione decisa all'Organizzazione Mondiale del Commercio nel nome
        delle regole della Globalizzazione.

        In Toscana e in Piemonte, nel mezzo delle terre più belle e fertili d'Italia
        la Globalizzazione ha colpito duro. Il tartufo è uno dei nostri prodotti più
        pregiati e lo esportavamo in grandi quantità negli Stati Uniti d'America;
        ciò creava reddito per le aziende e i lavoratori italiani. Ma dall'anno
        scorso gli Stati Uniti hanno deciso di tassare il tartufo del 100%,
        sbarrandogli la strada. Chi l'ha deciso? L'Organizzazione Mondiale del
        Commercio nel nome della globalizzazione.

        L'Unione Europea, per proteggere la salute dei nostri bambini, ha detto
        di no all'importazione di giocattoli che contengono un ammorbidente
        tossico. Ma anche questa precauzione è oggi nel mirino
        dell'Organizzazione Mondiale del Commercio e dei suoi accordi di
        globalizzazione.

"La Wto ovvero tutto diventa merce"

        L'Organizzazione Mondiale del Commercio, più nota come WTO, è
        dunque il grande motore della globalizzazione. Ma cosa c'è che non va
        nel suo lavoro? L'ho chiesto alla professoressa Susan George, direttrice
        del Transnational Institute di Amsterdam e considerata oggi il critico più
        autorevole del sistema globalizzato: "La Globalizzazione dei mercati"
        inizia la George, "nasce, nella sua forma più spinta, sei anni fa quando
        135 nazioni sancirono la nascita del WTO, con i suoi potentissimi
        accordi. Il problema è che praticamente tutto ciò che compone la nostra
        esistenza viene trasformato in merce di scambio: dall'istruzione, alla
        sanità, dalla cultura ai servizi bancari, dalle pensioni ai diritti
        fondamentali dei lavoratori; e poi la gestione degli asili, l'alimentazione
        umana, quella animale... In sintesi, siamo come in vendita, sugli scaffali
        del supermercato globale."

        Il WTO ha sede a Ginevra, e rappresenta oggi 136 governi, incluso
        quello italiano. In teoria al timone del WTO ci dovrebbero essere i
        ministri del commercio dei vari paesi, ma nella realtà l'Italia e tutti gli stati
        d'Europa sono rappresentati al WTO dalla Commissione Europea di
        Romano Prodi, che siede per tutti noi al tavolo delle trattative. Da questo
        tavolo sono usciti gli accordi sul commercio planetario; ed è
        precisamente contro questi accordi che è esplosa la protesta a Seattle:
        l'accusa è che si tratta di regole dotate di poteri enormi, spesso
        superiori a qualunque legge degli stati nazionali.

"Le persone comuni non ci capiscono"

        Nella sede ginevrina di questa controversa organizzazione chiedo a
        Keith Rockwell, uno dei direttori, come ha fatto il WTO a diventare così
        impopolare: "E' straordinario, vero?" risponde Rockwell con un cenno di
        assenso, "ma si tratta di un destino che abbiamo in comune con molte
        altre organizzazioni internazionali: la Comissione Europea è impopolare,
        il Fondo Monetario lo è anche più di noi, e così la Banca Mondiale.
        Vede, la gente si sente lontana da questi grandi palazzi di Ginevra o di
        Brussell, le persone comuni non capiscono né chi siamo né quali
        saranno gli effetti sulla loro vita degli accordi che qui nascono. Ma vi
        posso garantire che ogni singolo accordo è passato al vaglio dei vostri
        governi."

        E allora vediamo questi accordi di globalizzazione: hanno nomi difficili
        per noi, Accordo Sanitario e Fitosanitario, Barriere Tecniche al
        Commercio, Diritti di Proprietà Intellettuale e via discorrendo. In tutto
        formano 27.000 pagine di regole e codici, che hanno un potere pari al
        loro incredibile volume. Per capire meglio facciamo un esempio.

        Alla fine degli anni '80 l'Unione Europea decise di vietare l'uso degli
        ormoni nell'allevamento dei manzi da carne e soprattutto proibì le
        importazioni di carne agli ormoni dagli Stati Uniti d'America. I nostri
        scienziati la ritenevano pericolosa per la salute umana. Perché? La
        risposta la trovo alla periferia di Milano, dove incontro Luca Giove, un
        professionista di 31 anni che quando era ragazzino ebbe degli strani
        problemi di salute.

Luca: "La mia malattia per gli estrogeni della mensa scolastica"

        "Luca Giove cosa ti successe?", gli chiedo appena dopo il nostro
        incontro davanti a quella che fu una volta fu la sua scuola media. Giove
        ammicca: "A circa 12 anni mi si era gonfiata l'aureola del capezzolo
        mammario sinistro, e questo era dovuto probabilmente al fatto che
        avevo mangiato della carne estrogenata, nelle mense di questa scuola."

        Luca Giove, suo malgrado, ha un posto nella storia delle guerre
        commerciali, poiché la battaglia dell'Europa contro la carne agli ormoni
        americana inizia proprio dal suo caso, accaduto nel 1981. Il gonfiore del
        suo capezzolo richiese un intervento chirurgico, e i sintomi di crescita
        anormali di altri piccoli alunni scatenarono l'allarme negli scienziati
        europei, fra cui l'italiano Giuseppe Chiumello. I sospetti caddero subito
        sulla carne agli ormoni che allora circolava liberamente.

        "Luca, hai avuto altri problemi di salute nella tua vita adulta che tu possa
        ricondurre a questa vicenda?"

        "Ma, diciamo che ho dei problemi a livello spermatico, il numero è sotto
        la media e anche la motilità. Non so a cosa può essere imputato ma non
        so cosa si possa escludere a priori. Io ho anche avuto problemi di
        varicocele e problemi venosi, e non so quanto si possa ricondurre alla
        carne estrogenata." Giove mi lascia con una raccomandazione: "Guardi,
        io ne ho passate... spero solo che la mia vicenda possa contribuire a
        qualcosa di positivo."

La condanna dell'Europa al Wto

        Quindi, dalla fine degli anni '80 l'Unione Europea, per tutelare la salute
        dei suoi cittadini, decise di vietare le importazioni delle carni agli
        ormoni. Ma negli Stati Uniti questa decisione non fu affatto gradita. Nel
        1996 il governo di Washington, brandendo uno dei potenti accordi di
        globalizzazione, trascinò l'Europa davanti ai giudici del WTO. Tuttavia,
        nel farlo, l'amministrazione Clinton aveva ceduto alle pressioni della più
        potente lobby di allevatori di bestiame statunitense: la National
        Cattleman Association, come dimostra un documento che ho ottenuto in
        via riservata, dove si legge:

        "Al signor Bob Drake della National Cattleman Association: come lei ci
        ha espressamente richiesto, abbiamo iniziato una procedura presso il
        tribunale del WTO contro il divieto europeo di importare la nostra carne."
        Il documento di cui parlo non è altro che una lettera autografa dell'allora
        ministro americano per il commercio Michael Kantor.

        La procedura si concluderà con la condanna dell'Europa, una condanna
        inappellabile ottenuta grazie proprio a uno di quei potentissimi accordi
        del WTO di cui parlavo prima. L'Europa tuttavia non si è piegata e ha
        continuato a tenere la carne agli ormoni fuori dai suoi mercati. Il WTO è
        allora tornato alla carica e nel luglio del '99 i suoi giudici ci hanno
        condannati ancora, condannati a pagare un prezzo altissimo: 340
        miliardi all'anno sotto forma di sanzioni commerciali americane.

        Le sanzioni americane autorizzate dal WTO hanno colpito le
        esportazioni europee più pregiate, e fra le vittime italiane si contano i
        pomodori pelati, i succhi di frutta, il pane e soprattutto il tartufo. Nella
        splendida valle chianina, in Toscana, incontro il titolare di una azienda
        specializzata in tartufi, che aveva trovato un grande sbocco di mercato in
        America. Oggi il sogno è svanito e la sua azienda ha persino vacillato
        per un attimo. "Mi dica sinceramente: prima di questa vicenda lei aveva
        mai sentito parlare di globalizzazione o di WTO?" chiedo
        provocatoriamente. Questo signore di mezza età scuote il capo:
        "Ammetto la mia ignoranza, io ne prendo nota soltanto adesso, e
        francamente non so chi siano questi signori."

"Queste sono le nostre regole"

        Keith Rockwell, al WTO, ammette che è quasi impossibile spiegare a un
        produttore italiano di tartufi o di pomodori in scatola che è giusto che
        oggi il loro mercato estero, costruito in anni di fatiche, sia polverizzato
        da una sentenza di globalizzazione. Rockwell aggiunge: "E' difficile, ed è
        un problema che non avete solo voi in Italia. Io posso offrire a costoro
        tutta la mia comprensione, ma le regole sono queste."

        Abbiamo visto che il WTO è in grado di esercitare un enorme potere. E
        allora c'è una domanda che sorge spontanea: i nostri politici, quando nel
        1994 aderirono a tutti gli accordi del WTO, erano consapevoli di quello
        che stavano accettando? L'On. Domenico Gallo era senatore proprio in
        quel periodo e grande esperto della questione, e a lui giro la domanda.
        "Certamente non c'è stato un dibattito politico pubblico né riservato,"
        inizia Gallo, "le questioni non sono state oggetto di confronto politico in
        Italia. Scarsa fu anche la sensibilità parlamentare. Tutto è stato vissuto
        non come un evento di grande importanza globale, ma come un
        passaggio obbligato, come una festa della modernità, dove non c'era
        niente da dire perché andava tutto per il meglio."

Fassino irritato: "Il suo compito non è indagare sui punti dolenti..."

        Fra i politici italiani, quando si parla di WTO, svetta il nome di Piero
        Fassino, che fino a poche settimane fa era ministro per il commercio
        con l'estero, era cioé il nostro maggior esperto istituzionale di
        globalizzazione. Gli ho sottoposto alcune domande sui punti dolenti che
        abbiamo appena visto, e su altri che vedremo in questa inchiesta, ma le
        cose non sono andate nel migliore dei modi. "No!, no! Il suo compito non
        è di indagare sui punti dolenti.....In questa intervista lei enfatizza i rischi,
        lei fa il protezionista, io cerco di esaltare le opportunità della
        globalizzazione!" Ribatto: "Vediamo però come siamo arrivati a dover
        accettare livelli doppi di diossina nelle nostre carni e sanzioni miliardarie
        per il nostro rifiuto di importare la carne ormonata americana." Fassino:
        "Ma la carne agli ormoni non entra in Europa, e poi non c'entra il
        WTO!..."

        Lo correggo: "Ministro è il WTO che ci ha condannati a pagare miliardi
        solo perché stiamo proteggendo la salute dei cittadini europei."

        "Senta facciamo così, io non voglio concederle questa intervista... è del
        tutto folle... l'approccio è folle!" tronca netto il ministro, "mi dia la
        cassetta, me la consegni".

        Di consegnare la casetta non se ne parla. Lascio Fassino e proseguo
        nell'indagine. Come abbiamo detto, noi cittadini d'Europa abbiamo
        delegato la Commissione Europea a trattare per noi al tavolo della
        globalizzazione. Ma Susan George su questo ha qualcosa da dire: "La
        Commissione Europea è un organo politico che dovrebbe fare gli
        interessi di tutti i cittadini quando siede al tavolo del WTO. E invece, da
        anni la Commissione è al servizio delle multinazionali e delle lobby che
        le rappresentano. Questo è grave, ed è anche il motivo per cui gli
        accordi che vengono firmati al WTO sono così di parte. Io parlo di una
        realtà dimostrata: a lei il compito di indagare."

        E ho indagato girando l'Europa con una domanda fissa nella testa: ci
        possiamo fidare dei globalizzatori, di chi, come la Commissione
        Europea, decide per tutti noi al tavolo della globalizzazione?

Prodi: "La sua è una domanda imbarazzante"

        Romano Prodi, che della Commissione è oggi il Presidente, mi
        risponde con parole semplici: "La sua è una domanda imbarazzante. Io
        penso che l'unico modo è fidarsi di noi."

        E invece in questa indagine ho trovato documenti che sembrerebbero
        minare la nostra fiducia, e mi sono imbattutto in poteri forti di cui, almeno
        io, non sospettavo neppure l'esistenza.

        Siamo infatti abituati a immaginare che il potere abiti in stupefacenti
        palazzi e grattacieli vertiginosi, ma non sempre. In un anomino
        palazzetto di Brussell risiede forse la più potente lobby industriale del
        mondo: il Trans Atlantic Business Dialogue (TABD). Report ha chiesto di
        poter visitare la loro sede, ma come spesso ci accade, non siamo i
        benvenuti. In questa lobby si raggruppano aziende di calibro mondiale,
        con fatturati complessivi pari al prodotto interno lordo di intere nazioni.
        Ed è proprio il TABD che arriva al punto di presentare periodicamente
        sia alla Commissione Europea che al governo americano una lista di
        sue priorità per la globalizzazione, di fronte alle quali la Commissione
        sembra proprio spalancare le porte. Ho ottenuto attraverso contatti a
        Brussell una copia delle liste di priorità del TABD, che hanno un tono
        perentorio. Vi si trovano elencate le richieste delle multinazionali, chi
        deve darsi da fare fra gli organi politici, e ci sono per iscritto tutte le
        migliori intenzioni della Commissione Europea nel soddisfarle. Prima di
        Seattle la Commissione ha addirittura incoraggiato questa grande lobby
        a sottoporle ulteriori richieste, definendole "priorità assolute". Ma è
        giusto tutto ciò? E giro la domanda al presidente Prodi. "Presidente,"
        inizio, mentre lui sfoglia la documentazione che gli ho appena passato,
        "qui la vostra risposta sembra decisamente appiattita sugli interessi di
        questo grande gruppo industriale."

        Prodi scuote il capo: "Fare gli interessi dei gruppi industriali non
        significa non fare gli interessi della povera gente o dei gruppi
        ambientalisti. Se lei mi accusa di proteggere gli interessi industriali io
        dico sì, il problema è di vedere come si armonizzano queste cose."

1997, la commissione Ue alle imprese: "Diteci per tempo che cosa fare"

        Nessuno contesta che la Commissione Europea debba anche pensare
        agli interessi del mondo degli affari, ma gli uomini di Romano Prodi
        sono dei politici, col mandato di tutelare gli interessi di tutti i cittadini. I
        documenti riservati che seguono sembrano invece contraddire in tema
        di globalizzazione le rassicurazioni del Presidente Prodi. Ne riporto qui
        alcuni passaggi preoccupanti, ricordando che si tratta di documenti
        ufficiali che circolavano da tempo fra i burocrati di Brussell: 

        1997: DISCORSO ALLE INDUSTRIE CHIMICHE DEL VICE
        PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE EUROPEA

        "Siate tempisti, e cioé diteci per tempo se pensate che qualcosa debba
        essere fatto, o, ancora meglio, se pensate che qualcosa debba essere
        stroncato sul nascere." 

        1997: COMMISSARIO EUROPEO AL COMMERCIO

        "Il Trans Atlantic Business Dialogue è diventato un meccanismo efficace
        per ancorare le politiche dei governi sugli interessi dei gruppi di affari."
 

        COMMISSIONE EUROPEA, DIRETTORATO GENERALE PER IL
        COMMERCIO

        "Vogliamo trovare un accordo con gli Stati Uniti per stabilire un sistema
        di pre-allarme contro le proposte politiche che potranno avere un impatto
        negativo sulle industrie di servizi."

"Ma guardiamo alle cose serie..."

        Ancorare i governi sugli interessi dei gruppi d'affari? Sistemi di pre
        allarme contro le proposte politiche? Ma per conto di chi lavorate,
        presidente Prodi?

        "Guardiamo alle cose più serie" ribatte il Presidente di fronte a quelle
        carte, "non guariamo a queste frasi che non dicono assolutamente nulla.
        Queste sono dichiarazioni che io condivido."

        Eppure, tutto sarebbe più equlibrato se la Comissione Europea, che ci
        sta globalizzando, ogni tanto chiedesse anche a noi cittadini cosa ne
        pensiamo. Ma lo fa? Una cosa è certa, i grandi gruppi di servizi, come le
        finanziarie, le grandi assicurazioni o le banche vengono consultati in
        tempo reale da un sistema elettronico che si chiama S.I.S., messo in
        opera dalla Commissione Europea, come prova un altro documento
        firmato Direttorato Generale1, che recita: "La Commissione Europea ha
        creato un sistema di consultazione con le industrie dei servizi che
        permette ai negoziatori della Commissione di consultare rapidamente le
        aziende e anche i singoli azionisti."

Wto: filo diretto Ue-imprese. E i cittadini?

        Chiedo spiegazioni al responsabile di questa iniziativa, Dietrich Barth,
        nel suo ufficio al quinto piano della Commissione. Barth candidamente
        conferma: "Quest'anno sono previsti i negoziati del WTO per la
        liberalizzazione dei servizi. La Commissione ha un assoluto bisogno di
        conoscere gli interessi dei grandi gruppi d'affari di questo settore." Ma
        perché Barth, che lavora per i politici, non menziona anche gli interessi
        dei semplici cittadini? Gli chiedo provocatoriamente: "Sono sicuro che
        vorrete conoscere anche gli interessi delle persone comuni, o dei gruppi
        che li rappresentano. Dov'è il sistema elettronico per consultare anche
        loro?" "L'S.I.S è accessibile anche ai sindacati e ai gruppi di attivisti,
        non solo all'industria." Risponde sicuro.

        Non mi rimaneva che chiedere conferma di questo sia ai sindacati che
        agli attivisti. Inizio da Cecilia Brighi, una esperta di globalizzazione
        dell'Ufficio Internazionale della Cisl, che ribatte seccamente: "Purtoppo i
        contatti voluti dalla Commissione con i sindacati sui temi della
        globalizzazione non sono così spinti come quelli che avvengono con le
        muntinazionali; anzi, praticamente non esistono."

        " Signora Brighi, lei ha mai sentito parlare del S.I.S.?", chiedo a
        bruciapelo. "No, mai." "Vi hanno informati dell'esistenza di questo
        sistema?", insisto. "Credo di poter affermare con certezza che le
        organizzazioni sindacali italiane non siano mai state informate di questo
        sistema di consultazione." L'Italia è lontana da Brussell, e allora torno in
        Belgio per chiedere a Friends of the Earth, uno dei più grandi gruppi
        ambientalisti del mondo, se almeno loro, che hanno la sede a due passi
        dalla Commissione Europea, hanno mai sentito pronunciare il fatidico
        nome S.I.S. Mi risponde Alexandra Wandell, e lo fa con grande stupore:
        "Sfortunatamente è la prima volta che sento parlare di questo sistema di
        consultazione, me lo sta dicendo lei, a noi non l'hanno mai comunicato.
        La Commissione Europea dovrebbe smettere di declamare di iniziative
        che in realtà non ha nessuna intenzione di portare avanti."

        La Commissone Europea ha fatto uno sforzo ciclopico per consultare i
        business d'Europa prima di Seattle. Ha fatto un sondaggio sui desideri
        dell'Investment Network, un'altra lobby di giganti industriali che include la
        Fiat e la Pirelli, e un secondo sondaggio su 10.000 aziende. Tutto
        documentato da me, nero su bianco. Fra l'altro ho cercato a Brussell
        anche la sede di questo Investment Network, ma non l'ho trovata. Per
        forza, perché questo gruppo di multinazionali si riunisce proprio nella
        sede della Commissione Europea. E anche di tutto ciò ho discusso con
        Romano Prodi.

Prodi: "Colloquio quotidiano con i sindacati"

        "Vede Presidente, la cosa che preoccupa è che tutto questo sembra
        non esistere poi con le ONG, coi consumatori, coi sindacati" e attendo la
        sua reazione.

        "Coi sindacati io sono in colloquio quotidiano," mi rassicura Prodi, "ma
        se esiste questo Investment Network io francamente non glielo so dire,
        non lo sapevo, non sapevo neanche che esistessero sondaggi per le
        imprese, me lo fa vedere lei adesso. Ma se stesse qui dentro lei
        vedrebbe quanto dialogo c'è con le organizzazioni non governative e con
        i sindacati."

        Cecilia Brighi, a distanza, replica con altrettanta sicurezza: "Non c'è
        ancora nulla, non lo hanno assolutamente ancora fatto, non c'è nulla, noi
        non sappiamo quali sono gli impatti degli accordi già sottoscritti, per
        esempio in tema di agricultura o di occupazione, come per esempio non
        c'è consultazione sui temi sociali nel mondo. Tutto questo va costruito in
        tempi rapidissimi."

        Che ci sia dialogo è dunque tutto da verificare; ma una cosa verificata
        invece c'è: anche quando la Commissione comunica con le
        organizzazioni dei cittadini non sempre c'è da fidarsi. Ho ottenuto due
        documenti sulla globalizzazione scritti dalla Commissione Europea che
        dovevano essere identici, intitolati "Regole internazionali per gli
        investimenti in seno al WTO", stesso protocollo e stessa data: solo che
        uno era destinato ai burocrati, l'altro ai cittadini. A una lettura più attenta
        sono emerse differenze radicali nei testi: la versione per la gente
        comune era tutta un'altra cosa.

Wto: la carne, la salute e chi decide che cosa si mangia

        Ma a proposito di fiducia, ritorniamo alla carne agli ormoni americana.
        Sulla base di quali prove il WTO condannò l'Europa? A rispondere è di
        nuovo Keith Rockwell: "Quello che le posso dire è che il WTO nel caso di
        dispute sulla sicurezza degli alimenti decide in base al parere degli
        scienziati della FAO. A loro fu chiesto di emettere il verdetto sulla carne
        agli ormoni."

        E infatti un gruppo di scienziati cosiddetti super partes si riunirono
        proprio alla FAO a Roma, e più precisamente nella commissione
        chiamata Codex. Dalla FAO partì il verdetto: secondo loro l'Europa
        aveva torto. Ma gli scienziati della Fao erano davvero super partes,
        erano davvero imparziali?

        "Certamente" sentenzia con fermezza Alan Randell, uno dei massimi
        responsabili dei gruppi scientifici della FAO, cui ho rivolto quelle
        domande. Randell spiega: "Siamo una organizzazione intergovernativa
        e il nostro compito è di fissare gli standard internazionali per la sicurezza
        degli alimenti. Abbiamo deciso che gli ormoni nella carne americana
        non pongono problemi alla salute, e potete fidarvi."

Ormoni, ecco chi sono gli esperti "super partes" della Fao

        Pochi giorni dopo aver registrato quelle affermazioni, mi sposto a
        Londra per un incontro cruciale. L'uomo che mi aspetta alla stazione
        Victoria vuole rimanere anonimo, perché è un chimico farmaceutico che
        ha lavorato per 35 anni con la grande industria e che oggi ha deciso di
        raccontare tutto quello che sa sulla cosiddetta indipendenza degli
        scienziati della FAO. Trovarlo è stata veramente un'impresa, attraverso
        una serie infinita di contatti. Gli chiedo prima di tutto: perché vuole
        parlare? "Il mondo sta cambiando, le multinazionali farmaceutiche e
        agroalimentari hanno assorbito ormai tutto....non so...forse perché mi sto
        per ritirare dalla scena...ma guardi, io ho visto troppe cose, e c'è un
        limite per tutti, o forse solo per me." La nostra conversazione continua, e
        lo invito a venire al dunque, e cioé alle prove di quanto mi vorrebbe
        rivelare. Questo scienziato dall'aria aristocratica mi invita a sedermi a un
        tavolo del bar della Royal Albert Hall, e poi inizia: "La documentazione
        che le mostro era in gran parte segreta, e infatti molti fogli portano il
        marchio declassificato. Ora, per dimostrale quanto siano inaffidabili gli
        organi scientifici della FAO è necessario che le racconti una vicenda
        parallela a quella che a lei interessa."

        "Guardi questi documenti. E' il novembre del '97, e la FAO si sta
        preparando a giudicare la sicurezza degli ormoni nel latte, che sono
        prodotti dalla multinazionale Monsanto. Qui si legge che uno scienziato
        della FAO, il dott. Nick Weber, aveva passato al dott. Kowalczyk della
        Monsanto i documenti riservati che solo gli scienziati della FAO
        avrebbero dovuto leggere prima di emettere il verdetto. Fra questi
        documenti c'erano persino gli studi della Commissione Europea, che
        era contraria agli ormoni artificiali. Capisce? La Monsanto poté studiarsi
        con molto anticipo cosa avrebbero sostenuto i suoi critici durante i
        dibattimenti. Ma è normale ciò?"

La Monsanto: gli esperti Fao sono "dei nostri"...

        Non rispondo e lo invito con un cenno del capo a continuare. Lui
        prosegue: "La FAO esaminò gli ormoni nel latte e in un primo tempo
        espresse parere positivo. Un trionfo per la Monsanto, ma c'era una nota
        che stonava. Michael Hansen, un consulente della FAO, non era
        d'accordo e stava per lanciare un allarme. Ed ecco un fax che la
        Monsanto spedisce a un funzionario della sanità pubblica, dove si legge:
        Sembra che Michael Hansen non sia dei nostri. Dei nostri!!, capite che
        razza di mentalità? La Monsanto considerava gli esperti della FAO roba
        propria."

        La mia fonte sosta per il tempo necessario a sorseggiare il bicchiere di
        vino bianco che gli ho offerto, poi estrae dalla borsa altri fogli, altre prove
        inedite. E rincara la dose: "Ma alla FAO ci sono altri scienziati
        gravemente compromessi: sono Margaret Miller e Leonard Ritter. In
        questo documento riservato del Congresso degli Stati Uniti si legge che
        la dottoressa Miller era sotto inchiesta perché, da dipendente pubblico,
        fu sorpresa a lavorare....indovini per chi? Per la Monsanto naturalmente,
        per conto della quale studiava gli ormoni. Veniamo al dottor Ritter: ho
        scoperto dagli archivi del parlamento canadese che Ritter è stato più
        volte pagato del CAHI, una grossa lobby nordamericana di industrie
        veterinare favorevoli agli ormoni. Insomma, Miller e Ritter, due gioielli di
        indipendenza interni alla FAO, non le sembra?"

        E allora ricapitoliamo: la mia fonte inglese ha dimostrato che alcuni
        scienziati consulenti della FAO, e specialmente Nick Weber, Margaret
        Miller e Leonard Ritter, erano da tempo collusi con una lobby e con una
        grande multinazionale interessate a vendere ormoni, e nonostante
        l'evidente conflitto di interessi hanno continuato a decidere della nostra
        salute per conto della FAO.

Ecco chi e "perché" ha giudicato innocui gli ormoni nella carne

        Lo scienziato inglese ora conclude e porta l'affondo decisivo: "E non è
        proprio la FAO che ha giudicato innocui anche gli ormoni della carne,
        permettendo così al WTO di condannare l'Europa. Come ci si può
        fidare? E poi guardi le liste degli scienziati della FAO che nel '99 e nel
        2000 hanno di nuovo esaminato gli ormoni americani nella carne: chi ci
        troviamo? Weber, Miller, Ritter e tutti gli altri. Sono tutti qui, sono sempre
        qui!"

        Lo fisso con un'unica domanda nella testa: la FAO sapeva, ha mai
        sospettato qualcosa? "Certo che sapeva," risponde con un accenno di
        sorriso, "infatti Micheal Hansen, il bastian contrario, scrisse tutto nero su
        bianco e lo spedì persino al direttore generale della FAO. Tutto si
        sapeva... persino nei dettagli. Ma questo non ha impedito a noi europei
        di essere così penalizzati dal verdetto sulla carne agli ormoni."

        Torno a Roma e ricontatto il dirigente della FAO che avevo incontrato
        pochi giorni addietro. Gli passo le prove contro i dottori Weber, Miller e
        Ritter, ma lui non sembra molto interessato ai documenti. Li degna
        appena di un'occhiata e ribatte: "I nostri scienziati sono scelti dalla FAO
        e dall'Organizzazione Mondiale delle Sanità, e sono confermati
        nell'incarico dai governi membri. Sono esperti al di sopra di ogni
        sospetto e le sue affermazioni ci giungono assolutamente nuove."

Il Wto: "Però la Ue poteva evitare le sanzioni Usa"

        Una storia pesantissima questa, nella quale erano in gioco non solo
        interessi multimiliardari, ma soprattutto la nostra salute. E a questo punto
        tutto mi potevo aspettare meno che fosse proprio il WTO a rilanciare alla
        grande, a far esplodere la bomba. E' ancora Rockwell che parla: "Se i
        vostri governi avessero invocato l'articolo 5.7 del nostro accordo
        Sanitario e Fitosanitario la battaglia sulla carne agli ormoni non sarebbe
        mai esistita: niente FAO, niente sanzioni americane, nulla di nulla.
        L'articolo 5.7 del WTO vi dava il diritto di evitare lo scontro, mentre
        l'Europa studiava la sicurezza della carne americana." "E perché
        l'Europa non l'ha usato?" gli chiedo più che sorpreso. Rockwell mi fissa
        pregustando il colpo ad effetto, e con un che di trionfale aggiunge: "Lo
        chieda a loro. Non lo hanno mai invocato quell'articolo!"

        Non mi rimane che girare la scottante questione ai massimi responsabili
        politici, e cioé al ministro Fassino e al Presidente della Commissione
        Europea Romano Prodi. Perché non è stato invocato quell'articolo?

Fassino: "Lo chieda a qualcun altro"

        Fassino risponde che non lo sa, che ci sarà una ragione legale, e
        conclude sbrigativo: "Chieda a qualcun altro" dice scuotendo il capo.
        Romano Prodi invece tenta una battuta ("Non lo so, non sono mica un
        veterinario!") e poi conclude sostenendo che si tratta di aspetti tecnici
        "...e non potete venire a chiedere a me."

        Entrambi si sono difesi aggiungendo che l'importante è che la carne agli
        ormoni non entri in Europa, ma questo francamente non mi basta.
        Abbiamo miliardi di sanzioni che ci penalizzano ogni giorno, e si tratta
        della più pericolosa disputa commerciale degli ultimi 20 anni. Se la si
        poteva evitare appellandosi a un semplice articolo, i nostri massimi
        dirigenti politici lo avrebbero dovuto sapere. Ma tant'è.

Susan George: "Negato il diritto all'informazione"

        Io non chiedo più nulla, e scelgo invece di mostrarvi qualcosa di
        concreto. Parliamo sempre della globalizzazione, del WTO e dei suoi
        potentissimi accordi. La parola a Susan George: "L' arma più tagliente
        del WTO è l'accordo sulle Barriere Tecniche al Commercio, che può
        annullare le leggi degli Stati, quelle delle amministrazioni locali e persino
        le regole delle piccole organizzazioni non governative. Esso colpisce
        particolarmente il diritto dei cittadini di sapere come sono fatte le merci
        che acquistano e da chi sono fatte."

        E infatti questo accordo prende di mira proprio le etichette: le etichette
        che ci dovrebbero dire se nei giocattoli che diamo ai nostri piccoli ci
        sono sostanze tossiche, se nei cibi che mangiamo ci sono ingredienti
        geneticamente modificati, o se i palloni che compriamo sono fatti da
        bambini sfruttati nei paesi poveri. Iniziamo proprio da questo esempio.
        Susan George spiega: "Il calcio è sicuramente un grande sport, anche
        se io sono americana! Ma l'accordo WTO sulle Barriere Tecniche al
        Commercio ci impedisce proprio di rifiutarci di importare palloni da
        calcio cuciti dai bambini sfruttati in Asia. Per i globalizzatori un pallone è
        un prodotto e lo possiamo rifiutare solo se è di cattiva qualità e non se è
        fatto da piccoli schiavi."

        Damiano Tommasi, mediano della Roma, è da tempo impegnato contro
        l'importazione di palloni prodotti col lavoro minorile. Un accordo del
        WTO rischia dunque di vanificare il suo impegno. Lo sapeva? "No, non
        lo sapevo" mi dice Tommasi al termine di un allenamento di fine
        campionato. "E' una brutta notizia. E' un altro segnale che l'economia e
        la globalizzazione prevalgono su qulasiasi altro codice."

I palloni della vergogna, la parola del governo

        Proprio al ministro Fassino ho sottoposto questo punto dolente degli
        accordi del WTO, "lei non sa che l'Italia ha firmato le convenzioni
        dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro che ci danno il diritto di
        rifiutare i palloni prodotti col lavoro minorile!"

        Rispondo: "Ministro, ciò che lei afferma non sembra vero. Io cito accordi
        del WTO sovranazionali che già sono esistenti e che sono già ratificati
        dall'Italia."

        Fassino adesso urla: "Ma l'Italia non ha mai ratificato nessun accordo
        che dice che si possono importare i palloni cuciti dai bambini sfruttati.
        Credo di sapere la materia di cui sono ministro!...non è possibile!"

        Racconto quanto affermato dal ministro Fassino a Susan George, e lei
        sorpresa ribatte: "Ma certo che è possibile. Fu purtroppo scritto nero su
        bianco sia negli accordi del GATT che nell'accordo del WTO, ai punti 2.1
        e 2.8, e i nostri governi lo dovrebbero sapere."

        Interrogo anche Cecilia Brighi, la sindacalista della Cisl esperta di
        questioni internazionali. Le dico: "Signora Brighi, a battuta risposta:
        l'Italia ha firmato le convenzioni dell'Organizzazione Internazionale del
        Lavoro che danno la possibilità di bloccare le importazioni di palloni fatti
        da bambini sfruttati nel terzo mondo..." C'è una pausa, la Brighi ribatte:
        "Chi ha detto questo?" E io: "Fassino." Lei scuote il capo.

Le sostanze tossiche nei giocattoli

        Nel frattempo al WTO qualcuno sta già protestando contro le regole
        europee che vietano nei nostri giocattoli l'uso di ammorbidenti tossici.
        Me ne parla Fabrizio Fabbri, uno dei responsabili di Green Peace Italia:
        "Sta succedendo che Hong Kong e il Brasile stanno invocando
        l'intervento del WTO per annullare il provvedimento europeo che vieta i
        composti chimici pericolosi nei giocattoli per bambini. Il WTO potrebbe
        ritenere questa misura di tutela della salute un ostacolo alle leggi del
        libero commercio, in base a un accordo sottoscritto anche dall'Italia che
        prevede il non utilizzo di ragioni sociali o ambientali come
        discriminazione commerciale." Fabbri apre una borsa e fa cadere sulla
        scrivania una miriade di pupazzetti e bamboline colorati, quelli tossici
        appunto. Ma dovessero tornare questi giocattoli pericolosi, almeno che
        ci sia un'etichetta che ce li fa distinguere. Fabbri scuote il capo:
        "Teoricamente sarebbe la misura minima di tutela dei consumatori, ma
        è quella maggiormente contestata proprio dal WTO."

Wto, nemmeno il diritto all'etichetta

        Guerra dunque persino alle etichette che ci dovrebbero informare su
        quello che acquistiamo, ma non solo. Ciò che veramente stupisce è
        scoprire che chi ha scritto gli accordi di globalizzazione ha voluto che il
        loro potente braccio si estendesse ben oltre i governi nazionali, e che
        raggiungesse persino le piccole organizzazioni volontarie. Persino loro.
        Per capire meglio ciò che ho detto seguiamo la signora Luciana
        Giordano nello shopping. Questa giovane linguista di Bologna fa parte
        della nutrita schiera di italiani che acquistano regolarmente il caffé equo
        & solidale, e questo significa che Luciana sa che il suo caffé è prodotto
        da lavoratori del terzo mondo tutelati nella dignità e nei diritti
        fondamentali. Ma come fa a saperlo? Attraverso la presenza sulla
        confezione dell'etichetta Transfair, oppure comprando il macinato nelle
        cosiddette Botteghe del mondo. Si tratta di piccole organizzazioni non a
        fine di lucro, ma sembra prioprio che sia loro che le loro etichette violino
        i contenuti del solito accordo WTO sulle Barriere tecniche al commercio.

L'attacco contro il commercio equo e solidale

        Proprio a Bologna incontro Giorgio Dal Fiume, uno dei massimi dirigenti
        nazionali della rete equo & solidale e gli chiedo di spiegarmi perché i
        globalizzatori dei commerci temono così tanto persino le loro etichette:
        "Perché quello che noi scriviamo in etichetta rende possibile la libera
        scelta da parte del consumatore" dice Dal Fiume mentre mi fa da guida
        all'interno di una delle Botteghe del Mondo. "E' paradossale, ma in
        questo sistema globalizzato siamo noi a difendere il vero funzionamento
        del mercato, dove a diversa offerta corrisponde una diversa scelta. Ma
        proprio questo è il punto debole del WTO: può condizionare interi stati
        ma non può obbligare i cittadini a consumare quello che loro vogliono."

        Forse Dal Fiume ha ragione, ma il WTO può costringere il governo
        italiano a fare tutto quanto è in suo potere per fermare iniziative come
        quella per cui si è impegnato. E' scritto infatti nero su bianco
        nell'accordo sulle Barriere Tecniche al Commercio. Lui lo sapeva? "Sì,
        ci siamo studiati i testi, ed è per questo che siamo andati a Seattle a
        contestare con ogni mezzo il WTO" conclude.

        Etichettare le merci, così che il cittadino possa rifiutare quelle che
        violano i principi etici, o di protezione dell'ambiente e della propria
        salute è un diritto fondamentale che il WTO sembra volerci togliere. In
        tutto ciò sono chiare le pressioni esercitate dai colossi industriali, e non
        sono illazioni: ho trovato due documenti che non lasciano dubbi. Il primo,
        stilato dalla Camera di Commercio Internazionale (un'altra lobby di
        multinazionali che comprende anche la Pirelli e la nostra Confindustria)
        chiedeva al cancelliere tedesco Schroeder (poco prima della storica
        conferenza del WTO a Seattle) quanto segue: I programmi di
        etichettatura ecologica dei prodotti possono creare barriere al libero
        commercio, e vogliamo su questo una urgente applicazione degli
        accordi del WTO. Nel secondo documento ho trovato un'esplicita
        richiesta del Trans Atlantic Business Dialogue, che recita: Alla
        Commissione Europea chiediamo che un accordo internazionale sugli
        investimenti non sia indebolito da clausole sui diritti dei lavoratori o sulla
        tutela dell'ambiente.

Di guerra in guerra

        Si comprende così come anche la legge europea sull'etichettatura
        obbligatoria dei cibi contenenti geni modificati sia finita nel mirino del
        WTO, e infatti il governo di Washington ha già iniziato a Ginevra una
        procedura legale per costringere Brussell a tornare sui suoi passi.
        Eppure quella legge non è poi così severa: essa infatti dice che se i geni
        modificati sono presenti nei cibi sotto la quantità dell'1%, non vanno
        dichiarati in etichetta. E io ho voluto fare una prova. Ho infatti comprato
        alcuni prodotti contenenti soia: dicono che la soia oggi sia quasi tutta
        geneticamente modificata, ma nelle etichette dei biscotti VitaSystem,
        dei crackers Misura, di quelli della Cereal e del pane a fette della Barilla
        non è segnalato alcunché. E allora sono andato a farli anlizzare. Ecco i
        risultati delle analisi. Pane alla soia della Barilla: nessuna presenza di
        soia transgenica; crackers della Misura, anche qui nulla di
        geneticamente modificato; veniamo alla Cereal: idem come prima, e
        cioé niente geni manipolati; e infine abbiamo i biscotti della VitaSystem,
        e qui la soia transgenica c'era, ma nella percentuale dello 0,6%, e la
        legge europea, come dicevo, non prevede che questa quantità si debba
        segnalare in etichetta. Ciò significa che noi consumatori stiamo
        comunque ingerendo e sperimentando cibo transgenico, anche se in
        piccole quantità, e questo prima che la scienza sappia con certezza
        quali saranno gli effetti sulla nostra salute.


o Parlare di globalizzazione neoliberista e dei suoi effetti maligni implica sempre di più la conoscenza dei meccanismi perversi (venduti per ineluttabile destino dei rapporti umani/economici), delle clientele, della disinformazione e delle bugie che caratterizzano il grande baraccone delle aziende (soprattutto transnazionali, delle istituzioni ai vari livelli e 
dei centri di mediazione che fanno lavoro di lobbing per ottenere per via legislativa mano libera ai cercatori 
di profitto sulla pelle dei cittadini consumatori (che, per esempio, grazie alla idolatrata concorrenza di mercato potranno pagare sempre meno prodotti, però, sempre più schifosi e pericolosi il cui vero prezzo pagheranno in seguito...).

L'inchiesta importante svolta da Paolo Barnard per il programma televisivo Report 
(una voce rara nel panorama nazionale, alla quale sarà utile inviare un e-mail di incoraggiamento, se riteniamo significativo il lavoro che fa) è stata in grado di mettere a nudo - con grave imbarazzo o reazione isterica dei protagonisti - questa situazione di pesante asservimento delle istituzioni politiche alle logiche del profitto d'impresa e di conseguente marginalità di ogni serio discorso di tutela dei cittadini, spesso semplicemente tenuti all'oscuro del losco e tragico mercanteggiare che si fa sopra
le loro teste.
"Ma questo è un approccio folle", ha replicato il ministro Piero Fassino (Ds) al giornalista che cercava di arrivare al nocciolo di uno degli innumerevoli aspetti inquietanti di questo stato di cose sul quale la politica italiana per anni ha sorvolato beatamente.
Inutile dire quale sia, in realtà, l'approccio folle.

Ringraziamo Paolo Barnard per aver passato a Nonluoghi 
il testo dell'inchiesta.

(z. s.)

 

Globalizzazione, fine dell'incontro e necessità di ricostruire la comunicazione
di Pietro
Barcellona
 

I costi sociali
prodotti
dalle imprese
di Pietro Frigato
 

Globalizzazione
e impotenza
dell'alternativa
di Vittorio
Giacopini
 

La fine del
desiderio
e il ritorno
alle origini
in cerca d'identità
di Fabio
Ciaramelli
 

Prove tecniche
di urbanistica
partecipata
di Raymond
Lorenzo
 

Un'alternativa
nelle reti
ricostruite
dal basso
di Alberto
Magnaghi
 
 

Mercato
e sviluppo
sostenibile
 

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