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_____________di
Adel Jabbar ____________________________
Gli
angeli, quando faranno morire coloro che furono
ingiusti
nei loro stessi confronti, diranno:
“Quale
era la vostra condizione?”
Risponderanno
“Siamo stati oppressi sulla terra”.
(allora
gli angeli) diranno: “La terra di Allah non
era
abbastanza vasta di permettervi di emigrare?”
Corano,
Sura IV, versetto 97, An – Nisâ (Le donne)
Premessa
Le
migrazioni degli individui che per secoli hanno attraversato il mondo e
la sua storia sono anche state migrazioni di culture, le quali hanno dato
luogo a processi di reciproca contaminazione.
I
popoli arabi, in quanto componente di una popolazione semitica delle aree
meridionali e orientali del Mediterraneo, per lungo tempo hanno assunto
il "viaggio" come concezione dello spazio e modello di vita. Discendenti
di Ismaele figlio di Abramo , egli stesso un pellegrino, abitatori di una
grande terra ma poco generosa di acqua, per molti secoli hanno vissuto
e creato uno spazio in cui si incrociavano uomini e merci, saperi e culture
di Asia, Africa e Europa, in una sorta di "piattaforma girevole". John
Galtung, nella conferenza tenuta nel 1997 all'Università di Trento,
sosteneva che la cultura arabo-islamica è quella che per prima è
riuscita a produrre una concezione umanista e universalista, grazie proprio
a questo ruolo di mediazione e di collegamento fra realtà diverse,
quello che oggi viene definito come ruolo di mediazione interculturale.
E'
proprio in questo contesto - nella città di La Mecca, città
natale del profeta Mohammed (570-632 d.C.), centro commerciale, culturale
e spirituale di primo piano, crocevia di carovane provenienti dai porti
posti sul Mare Arabico e Oceano Indiano da una parte e dai porti del Mediterraneo
dall'altra, cui confluivano viaggiatori da India, Persia, Etiopia, Cina,
Impero Romano, le grandi civiltà della storia - che è
avvenuta la rivelazione delle religione islamica. Essa dà nuovo
vigore e impulso a questa dimensione pluralista attraverso la costituzione
nel 622 d.C. della prima comunità islamica di Medina, città
oasi a Nord-Est di La Mecca, che afferma e sancisce una nuova appartenenza
fondata sul riconoscimento dell'individuo quale creatura di Dio (...)
e non più sui rapporti di sangue come avveniva nelle tribù
pre-islamiche. Ebrei, arabi e altre popolazioni di varia provenienza vengono
a concordarsi su regole civili di convivenza all'interno della nuova comunità.
Questo modello di convivenza, con il diffondersi dell'Islam si propaga
in diverse realtà, dando luogo a città cosmopolite come Bassora,
Baghdad, il Cairo, Kairouan, Rabat, Fez, Granada, Cordoba, consolidando
città come Damasco, Gerusalemme e altre, e che in parte si mantiene
ancora oggi, nonostante l'attraversamento di eventi che l'hanno messo a
dura prova.
Con
le scoperte marittime sostenute dalle potenze europee, le quali hanno potuto
collegarsi direttamente con Africa e Asia, sottraendo così al mondo
arabo opportunità di commercio e di scambi culturali, il ruolo di
primo piano di questa realtà riceve un duro colpo, e la sua natura
universale e cosmopolita viene a perdere vera e propria linfa. Il successivo
svilupparsi di una politica coloniale, a partire dalla calata napoleonica
in Egitto nel 1798, quindi con la penetrazione francese nel 1830 in Algeria,
e via di seguito, viene a incrinare profondamente la coesione su cui poggia
la comunità islamica e quindi a minarne le basi. Lo stato di dipendenza
e di sottomissione che ne deriva, infatti, fa di questi luoghi non più
aree di mediazione culturale ma realtà periferiche, le cui genti
non riescono più a guardare da oriente a occidente, come accadeva
prima, ma solo verso occidente. Di questo rincorrono i modelli di vita,
mitizzando, nel contempo, il proprio passato e non è facile ricomporre
questo dualismo in una sintesi.
Chi
è dunque l'arabo musulmano di oggi, quello che vediamo arrivare,
e la cui identità non può non riassumere in sé queste
due fasi, brevemente tracciate, profondamente antitetiche e ugualmente
significative, che hanno segnato la sua impronta culturale e la sua stessa
esistenza. Questa persona viene sì da altrove, ma di fatto l’altrove
è doppiamente intrecciato con questa realtà, in ragione di
un'ibridazione culturale, prima, e di un assoggettamento pressoché
totale poi. Ma, mentre nell'ibridazione generatasi un tempo egli era soggetto
attivo, assoggettamento odierno lo ha catapultato qui "dal basso". Guardando
alla terra lontana come a una terra promessa, partito alla ricerca di emancipazione,
di un progresso per sé, egli capisce che la subalternità
che gli è stata assegnata nel contesto di appartenenza viene mantenuta
e amplificata nel nuovo mondo, che la terra promessa è la terra
degli altri, e le regole del gioco sono stabilite sempre e comunque dagli
altri. Non solo: la marginalità lo esclude, ma nello stesso tempo
lo legittima e, a dispetto dei pericoli sociali creati intorno alla figura
dell'emarginato, tale condizione si pone paradossalmente quale elemento
di accettazione, meno problematica, nelle sue implicazioni, della partecipazione.
In particolare, l'emarginazione protegge il musulmano, e protegge la società
stessa che lo ha eletto pericolo per antonomasia, e che fatica, nonostante
i principi universali fondanti il pensiero occidentale, e il pluralismo
che esso vanta, a riconoscere e ad accogliere questa diversità culturale,
forse più presunta che reale, senza temerla e senza demonizzarla.
Il
musulmano che ritroviamo qui, in realtà, come andremo ora a vedere,
è lo straniero immigrato che lavora, e che chiede di poter soddisfare
dei bisogni come ogni altro individuo. Per tracciare questa figura, si
può cercare di percorrere due momenti di riflessione.
Il
primo vuole inquadrare l'identità migrante nel suo processo di de-costruzione
e ri-costruzione, per cogliere e interpretare il nucleo dei processi attuali.
Il
secondo propone una rilettura delle diverse sfaccettature della realtà
di provenienza, spesso dipinta in termini monocromatici e uniformi, per
cercare di storicizzarla e collocarla in una giusta dimensione
Confine
e identità migranti
L'immigrazione
rappresenta in un certo senso la punta emergente e forse maggiormente visibile
di quell'ampio processo che caratterizza sempre più l'intero pianeta,
noto con il termine di globalizzazione. Così come la globalizzazione
produce una sempre più accelerata espansione del mercato e delle
comunicazioni, con tutte le implicazioni sul piano economico, sociale,
culturale, così si introduce un'accelerazione anche nell'ambito
degli spostamenti umani. Di fatto, i veri attori dell'annullamento dei
confini sono gli individui che attraversano i diversi contesti geografici
e culturali, ed è stata in primo luogo proprio questa naturale tendenza
umana a definire il pianeta così come oggi lo conosciamo. "La condizione
normale dell'atmosfera è la turbolenza. Lo stesso vale per gli insediamenti
degli uomini sulla terra. (...). La sedentarietà non fa parte della
caratteristica della nostra specie, fissata per via genetica; si è
sviluppata solo assai tardi, presumibilmente in concomitanza con l'invenzione
dell'agricoltura. Il nostro originario modo di vivere è quello dei
cacciatori, dei raccoglitori e dei pastori" .
I
processi migratori, più che un fenomeno, dunque, rappresentano una
costante storica, seppure con connotazioni differenti, che odiernamente
ritroviamo in tutti i paesi e in particolare i paesi a sviluppo avanzato.
Già qualche anno fa Pasolini, di fatto né storico, né
sociologo o antropologo, ma con la sensibilità del letterato e del
poeta, presagiva l'arrivo dell'altro nella nostra società con questa
poesia scritta nel '62 e pubblicata nel '64 nella raccolta "Poesia in forma
di rosa", dal titolo: "Profezia: Alì dagli occhi azzurri"
"Alì
dagli occhi azzurri
uno
dei tanti figli di figli,
scenderà
da Algeri, su navi
a
vela e a remi. Saranno
con
lui migliaia di uomini
.....
sbarcheranno
a Crotone o a Palmi,
a
milioni, vestiti di stracci
asiatici,
e di camice americane.
.....
Da
Crotone o Palmi saliranno
a
Napoli, e di lì a Barcellona,
a
Salonicco e a Marsiglia......
Non
molti anni dopo, sull'altra sponda del Mediterraneo, il premio Nobel
egiziano della letteratura Naghib Mahfuz prevedeva invece l'emigrazione
quale possibile sbocco alla crisi della società araba in generale
e egiziana in particolare. Così in "Amore sotto la pioggia" il dottor
Alì Zahran afferma "Sto pensando di emigrare (...). Per la verità
sono già oltre la fase del "pensare", ne sono convinto. (..) La
patria non è più terra e confini geografici, la patria è
ragione e anima. (..).Dobbiamo emigrare, emigreremo alla prima occasione"
.
Gli
stranieri rappresentano oggi una componente radicata e un fattore indicativo
di questo radicamento è dato dalla presenza straniera di donne e
nuclei familiari a seguito dell'immigrazione maschile, quel processo definito
come catena migratoria. Ricongiungimenti, aumento dei nuclei familiari,
presenza di bambini, significano maggiori vincoli e rapporti con il territorio,
e sicuramente questo nuovo aspetto dell'immigrazione è riconducibile
in prima istanza alle opportunità di lavoro e all'inserimento effettivo
nella sfera dei rapporti produttivi.
Ma
chi sono veramente gli stranieri, gli altri, gli immigrati o migranti,
persone che spesso vengono considerate in maniera univoca, come una massa
internamente omogenea, anziché quali soggetti distinti, individui
con una identità specifica, che si trovano a vivere in una condizione
di estrema complessità.
Il
mondo di questi soggetti è innanzitutto un mondo "scosso", poiché
la loro identità rimane, almeno inizialmente, come incompiuta, sospesa
fra il paese di origine e il luogo ospitante. Schutz definisce questa figura
come "un ibrido culturale in bilico fra due diversi modelli di vita di
gruppo, senza sapere a quale dei due appartiene" Nei paesi scandinavi
giuristi e sociologi hanno ben colto la complessità di questa condizione,
e sembrano avere ormai abbandonato la denominazione di "straniero", mentre
hanno invece coniato il termine Denizen, ad intendere una figura a metà
strada fra il cittadino, con il quale di fatto egli non condivide giuridicamente
questo status, e lo straniero, che in realtà tale non è,
poiché vive comunque nella nuova realtà, operando nei suoi
diversi settori e intrattenendovi rapporti a vari livelli. Si tratta dunque
di identità costrette ad attraversare un processo di trasformazione.
Come afferma Bauman "Si pensa all'identità ogni qualvolta non si
ha certezza di una appartenenza: quando non si è sicuri su come
collocarsi nella varietà apparente degli stili e dei modelli di
comportamento, e su come assicurarsi che gli altri accettino tale sistemazione,
ritenendola giusta e appropriata, in maniera tale che entrambe le parti
sappiano come comportarsi in presenza di altri. Il termine identità
è scaturito dalla ricerca di una scappatoia da quella incertezza."
Lo straniero, questo "adulto del nostro tempo e della nostra civiltà
che cerca di essere accettato permanentemente o per lo meno tollerato dal
gruppo in cui entra" , intraprende in effetti un percorso di ricomposizione
della propria identità. I nuovi arrivati "applicano strategie miste
per un utilizzo ottimale delle opportunità offerte dal sistema sociale,
politico, culturale che li circonda. Ma adottando nuovi stili di consumo,
di comportamento, intraprendendo un complicato processo di aggiustamento
identitario. "
Durante
questo percorso gli universi simbolici originari si rielaborano alla luce
delle nuove condizioni materiali, sociali e culturali, dando luogo ad una
identità soggettiva che necessariamente va oltre il passato e il
presente. "E' pertanto uno pseudo-problema chiedersi se l'identità
dell'immigrato sia determinata dal suo status di dipendenza e precarietà
socio-economica, oppure dal persistere dei tratti culturali, etnici, religiosi
della sua provenienza. La risposta sta nella combinazione di tutti questi
fattori in un originale innesto tra nuovi stimoli e vecchi riflessi. Questa
combinazione muta a seconda delle variabili di sesso, età, scolarità,
legami con la propria parentela e con l'ambiente di provenienza ecc."
Dal
punto di vista sociale, è evidente che la permanenza nella realtà
ospitante richiede allo straniero di percorrere un secondo processo di
socializzazione, o forse, meglio, di cittadinizzazione, ovvero di progressiva
acquisizione e interiorizzazione degli elementi socio-culturali, relazionali,
economici e istituzionali che caratterizzano la società di arrivo.
Riprendendo e in parte ampliando quello che Bastenier e Dassetto definiscono
come "processo sociale d'ingresso nella città" , si può delineare
il percorso di inserimento dello straniero secondo le seguenti fasi:
1.
stabilizzazione, o "territorializzazione", o "residenzializzazione", che
rappresenta il primo impatto con la società d'arrivo e la ricerca
dei mezzi necessari a garantire la sopravvivenza ;
2.
urbanizzazione, ovvero la fase in cui lo straniero comincia ad esplorare
il territorio, ad avere i primi contatti, istituzionali e non, a formarsi
delle mappe mentali che lo orientano nella rete dei servizi, dei referenti
e delle opportunità;
3.
contrattualità, ossia l'instaurarsi di un insieme di relazioni e
mediazioni sociali e giuridiche all'interno della comunità;
4.
nativizzazione, ovvero il processo di naturalizzazione sociale (non giuridica)
derivabile dalla permanenza nel tempo sul territorio, o dalla percezione
di un qualche legame simbolico fra lo straniero e il nativo.
5.
cittadinanza de facto, l'ingresso vero e proprio, l'appartenenza acquisita
attraverso le quotidiane inter-relazioni che rendono lo straniero un membro
effettivo della comunità.
Pur
non volendo in alcun modo fissare automatismi nel processo di inserimento,
che è certamente condizionato da numerose variabili che qui non
stiamo a considerare, possiamo comunque osservare in questa società
la compresenza di diversi stadi di cittadinizzazione degli stranieri. Se
gli ultimi arrivati si trovano nella condizione di rispondere in primo
luogo ai propri bisogni fondamentali, altri hanno già superato questo
momento e, soprattutto coloro che si sono oramai inseriti nella sfera socio-economica
e produttiva, sono spesso entrati in una fase di mediazione con il territorio
e le sue istituzioni. A prescindere dal periodo di permanenza, è
comunque inevitabile per lo straniero prendere quanto prima contatto con
la nuova dimensione, sia per poter soddisfare i propri bisogni fondamentali,
sia per rispondere ad altre esigenze, meno pressanti e immediate ma che
ogni individuo porta dentro di sé, come la ricerca di comunicazione,
di relazioni e di scambio, di riconoscimento, di opportunità economiche
e sociali. In particolare, l'ambito delle istituzioni territoriali rappresenta,
quanto meno in riferimento ad alcuni settori, una tappa quasi obbligata
per i cittadini immigrati, così come fondamentale è l'ambiente
informale delle relazioni sociali. I contatti a diversi livelli con la
società di arrivo rispondono dunque ai diversi bisogni dei cittadini
immigrati, i quali, a loro volta, rispondono comunque a determinati bisogni
della società che li accoglie, primo fra tutti il fabbisogno di
manodopera per coprire specifiche mansioni lavorative.
D'altro
canto, il processo di cittadinizzazione, processo che inevitabilmente si
innesca e progredisce (eccezioni a parte), non è certo privo di
ripercussioni proprio sulla società di arrivo, che è a sua
volta portata a ridefinire i propri meccanismi, e quindi a porre in atto
dei cambiamenti. Non solo cambiamenti strutturali e materiali, ma anche
trasformazioni socio-culturali, ridefinizioni concettuali, revisioni della
realtà e dei suoi confini, in senso lato. Con la sua sola presenza,
infatti, lo straniero, attraversando i confini statuali avvicina i confini
culturali, come ha ben espresso Cassano: "Con-fine vuol dire infatti anche
contatto, punto in comune, e le guardie di frontiera condividono il paesaggio
anche se lo tengono diviso. Insomma, ci può essere un lato debole
del confine, un confine che unifica e non contrappone, un confine in cui
la prima parte della parola (con) vince sulla seconda (fine), una separazione
che si contraddice perché per gestire la separazione si ricorre
ad uomini, e questi, si sa, possono anche tradire, parlare con il nemico.
In tutte le zone di frontiera quando la tensione non è esplosiva,
possono nascere complicità e connivenza, indebolimento consensuale
del confine. C'è un'economia illecita che spesso collega la popolazione
di frontiera e indebolisce la sacralità dei confini rendendoli impermeabili.
"
La
figura del migrante probabilmente inquieta, proprio perché carica
di simboli destabilizzanti. Egli rappresenta un'entità inisieme
soggettiva e collettiva, che mette in discussione i confini, rendendoli
permeabili alle "contaminazioni". E se i confini terrestri si possono facilmente
annullare, figuriamoci i confini di quella "pianura fluida" che è
il Mediterraneo, che con Fernand Braudel possiamo definire, "mille cose
allo stesso tempo (...) non un mare, ma una successione di mari, non una
civiltà, ma civiltà ammassate l'una sull'altra".
La
realtà plurale dell'Islam
La
tematizzazione odierna dell'Islam è condizionata dagli eventi attuali,
quali i fatti algerini o egiziani, e dalla lettura che ne viene data sui
mezzi di informazione. Attualità che, anziché fungere da
stimolo per l'approfondimento della conoscenza e dell'analisi, viene spesso
strumentalmente utilizzata per confermare sbrigativamente alcuni luoghi
comuni diffusi, quando non venga addirittura impiegata come strumento di
propaganda politica di parte nei confronti di una realtà spesso
descritta e concepita come omogenea e monolitica, ma di fatto geograficamente
vasta, culturalmente varia, sottoposta ai più diversi influssi.
L'interpretazione
dell'Islam non differisce poi molto, di fatto, all'interno delle tre grandi
correnti di pensiero occidentale: quella cattolico-cristiana, quella laico-liberale
e quella marxiana. Pure partendo da motivazioni e obiettivi diversi, il
giudizio sull'Islam assume spesso accenti negativi: vuoi perché
legato alla memoria delle crociate e all'autodefinirsi della religione
cattolica come unica vera religione (anche se le si deve riconoscere, dal
Concilio II in poi, notevoli passi sulla via dell'apertura e del confronto);
vuoi perché, partendo da una concezione eurocentrica e modernista,
si ritiene che tutti i popoli debbano seguire tale modello; vuoi perché
considerata, al pari di ogni altra religione, "oppio del popolo".
Il
tentativo di questo intervento è quello di fornire alcuni spunti
che possano essere utili alla comprensione di questa complessa realtà
islamica (la complessità non è prerogativa solo di alcune
società), e di quanto sta oggi accadendo in essa, o meglio in alcune
sue frange. E' necessario quindi innanzitutto individuare e definire il
soggetto di cui si parla.
Con
il termine Islam si può fare in primo luogo riferimento alla dimensione
propriamente religiosa. In questo senso, ci si occupa di un messaggio divino
che rientra nel filone monoteista, e va quindi affrontato e esaminato dal
punto di vista dei suoi principi, precetti e insegnamenti.
Un
secondo livello di analisi può tendere invece a collocare storicamente
l'Islam, a vederne la concretizzazione in una civiltà, considerando
l'evoluzione della sue caratteristiche demografiche, territoriali, socio-economiche
e delle sue espressioni istituzionali e politiche.
Un'altra
questione, infine, è quella che riguarda il tempo presente e attuale
della realtà islamica, aspetto di cui vorremmo qui occuparci. A
tale riguardo, vale la pena accennare almeno brevemente ad alcuni fattori
che devono essere considerati.
1.
Contesto socio-economico. La realtà concreta della società
islamica, come di qualsiasi altra società, va vista come sintesi
dell'operato di attori sociali che interagiscono secondo determinate condizioni
storico-materiali; dunque l'agire sociale non può essere letto unicamente
alla luce di una dimensione spirituale-religiosa, come spesso si fa in
maniera superficiale e riduttiva. Le popolazioni dell'area islamica non
rivendicano una specificità religiosa più di quanto non faccia
qualsiasi altra popolazione, né ambiscono a contrapporsi a società
di diversa religione. Semplicemente, uomini e donne arabi e musulmani aspirano,
come chiunque altro, a migliorare le proprie condizioni di vita. I popoli
islamici, come altri popoli, nutrono al loro interno istanze tese a realizzare
la giustizia sociale, un pluralismo politico, un modello di sviluppo mondiale
più corrispondente alle esigenze di larghe fasce di popolazione,
ad accorciare il divario fra classi sociali. Poiché, non dimentichiamolo,
buona parte di questa area islamica fa parte del cosiddetto Sud del mondo,
nel quale paesi come la Colombia cattolica, il Bangladesh musulmano, il
Myanmar (ex Birmania) e lo Sri Lanka buddisti, sono accomunati da situazioni
concretamente simili: situazioni di povertà, di sperequazioni economiche,
di instabilità e di violenza politica, che vanno ricondotte non
certo alla religione d'appartenenza, ma a ben precise condizioni materiali.
D'altra parte, non è ben chiaro il motivo per cui la violenza politica
presente in alcuni paesi arabi venga considerata una componente insita
nella religione islamica. Tale equazione non viene postulata per altre
società caratterizzate da ripetuti episodi terroristici, come accadeva
non molto tempo fa nello stesso stato italiano, o come accade oggi, ad
esempio, nei Paesi Baschi, o in Irlanda. Anche in quest'ultimo caso, sebbene
si faccia riferimento a tensioni di natura religiosa, queste vengono comunque
e giustamente inquadrate nel contesto sociale, storico, politico. Se la
violenza politica fosse una prerogativa dell'Islam, non dovrebbe allora
tale genere di conflitto risultare estraneo a realtà non islamiche?
2.
Eterogeneità. Quando si considera l'area islamica, si dovrebbero
tenere sempre ben presenti le diverse connotazioni culturali, le caratteristiche
territoriali, nonché le varie entità geografiche e statuali,
in gran parte delineatesi, del resto, a seguito del colonialismo europeo,
che in molte aree non ha certo favorito una crescita democratica, bensì
ha piuttosto rappresentato un ostacolo alla democrazia stessa.
3.
Forme di governo. Fra gli oltre cinquanta stati che fanno parte della Conferenza
Islamica mondiale, soltanto cinque dichiarano la loro costituzione fondata
sulla sharia (corpus giuridico islamico): Arabia Saudita, Afghanistan,
Iran, Pakistan, Mauritania. Anche fra questi cinque paesi, tuttavia, si
riscontrano sostanziali differenze nell'applicazione della Sharia. In ogni
caso, in molti paesi arabi e musulmani il governo è in mano ad élite
europeiste, e non costituisce quindi un'espressione della religione.
4.
Modelli di sviluppo. Come altre realtà del sud del mondo, anche
questi paesi negli anni cinquanta furono attraversati da istanze anticoloniali,
abbracciando non raramente idee socialiste e lo stesso comunismo. Attualmente,
nell'era della globalizzazione, in buona parte di queste aree si assiste
all'introduzione di processi di privatizzazione e di modelli di mercato
neoliberalista.
5.
Prassi quotidiana.Infine, la stessa prassi sociale e la vita quotidiana
non si ispirano soltanto alla religione, bensì anche alla tradizione,
alle consuetudini, nonché a mode intrecciate con stili di vita e
di consumo importati dall'esterno.
La
realtà dei popoli islamici va dunque vista come una parte di questo
pianeta oggi attraversato e scosso da forti trasformazioni, tensioni e
contraddizioni economiche, sociali, politiche. In questo scenario, non
possiamo ignorare come tale realtà si collochi in una posizione
svantaggiata e emarginata.
Alla
luce di queste necessarie premesse, si può quindi provare ad avviare
una lettura delle espressioni "radicali" ed "estremiste" di cui oggi tanto
si discute.
Movimenti
politici di ispirazione islamica
In
molti paesi musulmani si diffondono numerosi gruppi islamici radicali,
Islamyyun, che, attraverso la presenza sociale, l'azione politica, e talvolta
armata, proclamano l'importanza dei principi dell'insegnamento religioso
islamico contro gli effetti e le conseguenze delle esperienze del nazionalismo
secolare e dell'occidentalizzazione dei costumi culturali; esperienze che
hanno caratterizzato, e ancora caratterizzano, l'operato di molti governi
dell'area islamica.
Questi
gruppi trovano ampio seguito tra i segmenti della popolazione emarginata
dal contesto sociale, nonché tra gli appartenenti alla classe media,
insoddisfatta della mancanza di spazi, sia professionali sia socio-politici,
che li riduce a stati di alienazione e di marginalità rispetto alla
gestione sociale e politica dei rispettivi Paesi.
La
comparsa dell'Islam contestatore può essere quindi letta quale reazione
alla modernità anarchica o piuttosto quale tentativo di ritrovare
in sé e nel gruppo i mezzi per sopportare gli enormi costi dei processi
di modernizzazione, una delle cui caratteristiche è l'avere distrutto
le antiche strutture senza averne create delle nuove.
I
movimenti di ispirazione islamica, nati dal disagio causato dalla modernizzazione,
presentano tuttavia notevoli differenze, che li distinguono a livello di
orientamento politico, ideologico, nonché tattico.
Vediamo
sinteticamente l'evoluzione di alcune correnti islamiche in questi ultimi
decenni.
Una
prima fase, negli anni '70, si caratterizzò come tentativo di utilizzo
dei riferimenti religiosi all'interno dello spazio pubblico, cercando di
coinvolgere più settori della vita civile.
A
questa prima fase ha fatto seguito una seconda, che ha caratterizzato gli
anni '80 e prosegue tuttora. E' la fase della competizione, o almeno del
confronto, tra i diversi riferimenti islamici. Tale fase si articola sulle
strutture degli stati nazionali, di impronta europea, a differenza del
passato, in cui il pensiero tradizionale islamico, in campo politico, si
fondava sulla concezione di una comunità islamica unita.
Riguardo
alla gamma di possibili sfumature assunte dai movimenti contestatori islamici,
con un riferimento radicale al vissuto originario, le varianti vanno dal
conservatorismo saudita e afghano, al nazionalismo pakistano, al rivoluzionarismo
iraniano. Attorno ad un Islam moderato, troviamo tanto il tradizionalismo
marocchino, alcune correnti dell'Islam egiziano (Fratelli musulmani), malaysiano,
senegalese e turco, mentre alcune correnti dell'Islam algerino (dove si
attivano, peraltro, anche frange radicali ed estremiste), e tunisino potrebbero
rappresentare dei tentativi di rinnovamento alla luce dei cambiamenti in
atto, secondo i nuovi codici della cultura politica, giuridica e sociale.
Di fronte a queste concretizzazioni nazionali molteplici, ed in particolare,
ma non solo, con l'avvento della rivoluzione islamica in Iran (1979), la
questione diventa quella di comprendere quale corrente potrà prevalere.
Accanto
alla comparsa del risveglio islamico, sul piano direttamente politico e
sociale, esiste un'altra componente, quella del pietismo, o devozionalismo,
legata alla religiosità popolare. Su questa scia le antiche confraternite
musulmane si riattivano, forme nuove di salvaguardia del Corano si sviluppano.
Lo spazio urbano della classe media sembra essere il terreno privilegiato
di questo "risveglio". I centri delle associazioni religiose, quando consentite
dai governi, in quanto comunità spirituali permettono di trascendere
lo sradicamento e di sublimare le frustrazioni. Non c'è pertanto
da stupirsi se una parte ragguardevole di tali luoghi è frequentata
da insegnanti, impiegati e funzionari pubblici, studenti.
In
ogni caso, in riferimento alla parte politica dell'Islam, l'Islam privatizzato
o pietista dovrà prendere posizione. Potrebbe essere strumentalizzato
ed utilizzato da vari stati. Oppure, potrebbe continuare a rifugiarsi nell'isolamento
pietista della confraternita, o ancora, come nel caso di taluni intellettuali,
cercare di dimostrare che l'attuale concezione dell'Islam, quello politico
naturalmente, non è che un risultato storico, mentre la sua essenza
si esprime soprattutto in un'etica che riguarda gli individui e non l'organizzazione
della collettività. In realtà, religione senza organizzazione
esplicita, l'Islam paradossalmente non può secondo alcuni essere
pensato come fatto individuale, ma solo come realtà collettiva.
L'attuale
risveglio islamico si esprime allora in una molteplicità di forme.
Alcune di queste presentano una relativa originalità, altre hanno
le loro radici in questo secolo, altre più lontano. La Rivoluzione
iraniana, ad esempio, ha reintrodotto, all'interno della concezione islamica,
un elemento che risale, di fatto, ad Hassan El Banna, fondatore nel 1928
del movimento dei Fratelli Musulmani in Egitto, e a Sayed Kotb, leader
dello stesso movimento. Entrambi posero in discussione la visione tradizionale
del mondo musulmano "unito e solidale", riproponendo due "nuove" categorie:
i musulmani "autentici " e quelli "pagani", due categorie contrapposte
e in lotta tra loro, poiché soltanto la prima rappresenta la vera
essenza dell'Islam originario.
Ognuno
dei numerosi movimenti ispirati all'Islam fornisce dunque una propria interpretazione
di quale potrebbe essere il ruolo esercitato dalla religione, e ciascuno
la utilizza come uno strumento politico per giungere a dei fini non sempre
omogenei od uguali, nonostante la comune origine e matrice religiosa e
culturale. Così, l'Islam potrebbe essere interpretato in senso conservatore
o contestatario, in forma riformista o rivoluzionaria. Ma, nonostante questa
varietà di versioni, tutti sono alla ricerca di una maggiore autenticità
che permetta alla società una vitalità propria, per poter
ridurre alcune influenze esterne considerate incompatibili con i valori
e gli interessi delle società islamiche.
Spetterà
comunque al processo storico ed alle condizioni esistenti definire le sorti
di questi movimenti, così come della loro capacità di fornire
risposte ai numerosi quesiti che permangono all'interno della multiforme
realtà islamica. L'esito dipenderà altresì dalle decisioni
delle élite governative europeizzate, o europeizzanti, che attualmente
detengono il potere in numerosi paesi islamici, e dalle opportunità
che esse offriranno alla società civile - se, quando e come le offriranno-
di partecipazione e di pluralismo reale; opportunità, quindi, di
prendere parte attiva al processo di modernizzazione, finora, di fatto,
in gran parte repressivo e appannaggio di pochi. Senza contare che molte
di queste società, facendo esse parte del Sud del mondo, dovranno
fare i conti con scelte economiche e logiche di sviluppo altrove definite,
ma fortemente condizionanti.
Conclusioni
E’
oggi necessario creare degli spazi di confronto e dialogo con i musulmani
arrivati qui, tessere con loro delle relazioni in una dimensione in primo
luogo intersoggettiva, spogliando il nostro giudizio da quelle categorie
preconfezionate che ci portano a credere nell’homo islamicus, come entità
univoca e indistinguibile.
Molti
sono gli spazi ancora da esplorare in questo ambito. Non dobbiamo fare
l'errore di dare ormai per acquisiti e immodificabili né i concetti
né i metodi del dialogo interculturale e interreligioso. E' indispensabile
essere sempre disposti a sollevare nuovi dubbi e nuove questioni, è
importante essere consapevoli che questi sono percorsi faticosi, in quanto
sottopongono continuamente le nostre certezze all'incertezza. "Vi è
qui un'età in cui si insegna ciò che si sa, ma poi ne viene
un'altra in cui si insegna ciò che non si sa: questo si chiama cercare.
Ora è forse l'età di un'altra esperienza: quella di disimparare,
di lasciare lavorare l'imprevedibile (...). ".
Bibliografia
AA.VV.,
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Torino, 1994.
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in Italia, Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, 1994.
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Italia, Editrice Cens, Milano, 1996.
"A
confronto con l'Islam", Testimonianze, n. 3 (383), Marzo, 1996, San Domenico
di Fiesole, Firenze.
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Ritenendo che, tanto più
in questo momento, vi sia urgente bisogno
di comprensione dei mondi
diversi dall'Occidente, mentre il premier italiano SIlvio Berlusconi dichiara
la "superiorità" euroamericana e offende mezzo pianeta, pubblichiamo
un articolo del sociologo
Adel Jabbar
su Islam e immigrazione,
risalente
all'agosto scorso.
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e democrazia: la diversa identità del musulmano europeo"
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ed espulsioni facili: verso un ordinamento giuridico
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misura"
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fallimento
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dei
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La
tolleranza zero
della
sinistra
La
solitudine
degli
immigrati
in
Italia
Adel
Jabbar è sociologo dell'immigrazione e delle relazioni interculturali
(Studio RES, Trento). Svolge attività di ricerca e formazione nell’ambito
dell’immigrazione e dell’educazione interculturale. Conduce seminari e
collabora con diverse istituzioni sui temi del mondo arabo-islamico, in
merito ai quali ha pubblicato i seguenti interventi.
*
"Islam: risveglio tra tradizione e modernità", in F. Demarchi
(a cura di), Nord - Sud: comprensione - incomprensione, Jaca Book, Milano,
1987.
*
"Per una lettura delle tendenze in atto nel mondo musulmano" in G.
Scidà (a cura di) Confronti Transmediterranei, Jaca Book, Milano,
1990.
*
"L'inquietudine della modernità nella società arabo-islamica",
in Paolo Branca e Vermondo Brugnatelli (a cura di), Studi arabi e islamici,
Istituto Italiano per il Medio e l'Estremo Oriente, Milano, 1995.
*
"I dilemmi del nazionalismo arabo", in Dove va L'arca di Noè.
Nazionalismo arabo-islamico, nazionalismo israeliano e le minoranze, numero
speciale di Futuribili, n.1/96, Franco Angeli.
*
"Raccontare l'Islam al plurale", in Confronti, n. 5, maggio 1998.
·
"La realtà dell'Islam nell'era della globalizzazione neo coloniale"
in Al di là dello sviluppo. Globalizzazione e rapporti Nord-Sud,
Emi, Bologna, 2000.
·
"L'Islam oggi. Jihad, nonviolenza e modernità", in Claudio Tugnoli
(a cura di),
Maestri
e scolari di nonviolenza. Riflessioni, testimonianze e proposte interattive,
Iprase Trentino, Annali 2000, Franco Angeli, Milano, 2000.
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