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L'islam
delle donne
Qualche riflessione per confutare alcuni
luoghi comuni occidentali
di ADEL JABBAR * Nur
indicava al nipote i luoghi della città, piazze, strade, case, ponti,
minareti, alla ricerca delle tracce lasciate dal tempo e dalle persone.
La grande fede che nutriva non le impedì mai di essere se stessa, di avere fiducia nella propria capacità di giudizio, nella propria autonomia e intelligenza, di confrontarsi tenacemente e con le proprie forze con la vita quotidiana, dura e reale, sfamando, educando e tenendo a bada tre figli. I temi della giustizia e della libertà l'appassionavano, e capitava di trovarla spesso in prima linea nei cortei popolari di protesta contro la potenza coloniale che opprimeva la sua gente. Conosceva i nomi dei governanti coloniali, e altrettanti nomi di persone che nel mondo sostenevano la lotta anti coloniale. Nur era decisamente schierata, non conosceva esitazioni quando si trattava di scegliere. Ai nipoti raccontava delle azioni di violenza, di oppressione e di tortura compiute dagli eserciti occupanti, che malediceva paragonandoli al marito. Di questo, diceva, si era liberata, e desiderava fortemente liberarsi anche degli altri. Tante cose sapeva fare Nur. Tesseva, modellava manufatti in terracotta, andava a cavallo, cacciava, nuotava e remava: tutte abilità che i suoi nipoti non hanno ereditato. Era sempre curata, di aspetto fiero ed elegante. Era un'araba musulmana con insoliti occhi azzurri che tutti ammiravano, ma nemmeno questi sono stati ereditati dai nipoti. Qualche cosa però lei ha saputo trasmettere a loro: ad alcuni la memoria della città, ad altri il suo stile e la sua eleganza, ad altri ancora il suo coraggio e il suo spirito di autonomia. A tutti loro ha però lasciato degli interrogativi: chi era realmente questa donna, quali vicende aveva trascorso nella sua vita, come aveva vissuto le fasi dell'adolescenza, del matrimonio, dell'abbandono del luogo d'origine e della casa maritale. Intorno a Nur
è sempre rimasto un alone di mistero.
Nel riflettere
sulla condizione della donna nei paesi musulmani, tema oggi molto discusso,
è importante saper esplorare i vissuti reali, dentro i quali le
donne cercano di interpretate ed elaborare realtà e situazioni,
consapevoli dei limiti che vengono loro posti, delle convenzioni e dei
retaggi culturali che spesso le ostacolano, lì come del resto anche
altrove. In ogni caso queste donne non sono succubi, non sono passive e
sottomesse come le dipinge l'immaginario esotico e come oggi spesso vengono
considerate, fosse soltanto perché portano un foulard intorno al
capo. Non hanno bisogno di essere educate all'emancipazione.
D'altra parte,
senza per questo abbandonarsi a facili relativisimi, si deve pur considerare
che i criteri per definire la natura e il grado di emancipazione o di libertà
non sono necessariamente univoci, e non possono essere fissati in maniera
avulsa dalle condizioni storiche sociali e culturali della società
cui si riferiscono. In altri termini non è detto che ciò
che in un paese è considerato una conquista sul piano dell'emancipazione
femminile lo sia parimenti in qualsiasi altro paese. Né va trascurato
il fatto che i paesi musulmani sono numerosi e fortemente differenziati
fra loro sul piano delle condizioni materiali e socioculturali.
Una lettura seria, che non sia di parte o propagandistica, della condizione femminile nei paesi musulmani - che sicuramente è contraddittoria - richiede di individuare gli elementi che ne sono causa sul piano storico e materiale, come su quello delle consuetudini e delle convenzioni, e certo anche sul piano del diritto formale. In ogni caso sarebbe opportuno lasciare da parte una volta per tutte certe considerazioni semplicistiche o stereotipie basate su luoghi comuni infondati, quando non su falsi veri e propri, come quello relativo all'infibulazione, pratica che di fatto non appartiene alla tradizione religiosa musulmana. O come i luoghi comuni sulla poligamia, una delle usanze musulmane fra le più soggette a critiche, la quale non rappresenta un obbligo - né per gli uomini praticarla, né per le donne accettarla - e non è comunque attuabile se non sussistono condizioni ben precise e vincolanti che la rendono, di fatto e nella realtà, pressoché impraticabile. Certo, nell'Islam
uomini e donne non sono uguali, ma sono complementari. Può sembrare
banale, ma non lo è. Questo perché la religione musulmana
nasce e cresce in società che al tempo non erano organizzate in
termini piramidali, non erano quindi fondate su strutture gerarchiche,
di conseguenza non si trovavano a dover stabilire il principio dell'uguaglianza
nei termini propri della società occidentale, per accorciare le
distanze di potere. Ad una struttura sociale orizzontale, e non piramidale,
appariva più congeniale il concetto di complementarietà.
Queste origini hanno influenzato la concezione islamica dell'universo (e
dei rapporti umani), basata sull'idea della diversità come elemento
essenziale alla completezza, e quindi su un equilibrio fra esseri differenti
che si completano a vicenda, all'interno del quale l'essere umano in quanto
tale, uomo o donna, seppure determinante non ha una centralità assoluta
rispetto a tutte le altre componenti dell'universo.
Coloro che fanno la carità, uomini o donne, concedono un bel prestito ad Allah; lo riscuoteranno raddoppiato e avranno generoso compenso. (Sura LVII - 18- Al - Hadid). Non invidiate l'eccellenza che Allah ha dato a qualcuno di voi: gli uomini avranno quello che si saranno meritati e le donne avranno quello che si saranno meritate. (…) (Sura IV - 32, An - Nissà). Questi ultimi del resto rappresentano
degli orientamenti di fondo dell'insegnamento musulmano, ma certo oggi
siamo consapevoli che l'operato degli uomini e la prassi sociali non sono
unicamente vincolati alla religione, bensì costituiscono il risultato
di dinamiche e relazioni ben più complesse.
* Adel Jabbar
è sociologo dell'immigrazione
e delle relazioni interculturali - Studio RES, Trento.
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(25 gennaio 2001) Le
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