di ALDA RADAELLI
In occasione di improvvisi scoppi di violenza e di
stragi di popolazione, i mass media ci investono periodicamente di notizie
su “etnie” di cui i nomi esotici ci diventano di colpo familiari ma non
per questo comprensibili.
Vorrei tentare di
riassumere per sommi capi il caso delle tre “etnie” che hanno riguardato
la guerra alle porte di casa nostra: “serbi”, “croati”, “musulmani” di
Bosnia. Ora, a distanza di cinque anni dalla fine della guerra di Bosnia,
la documentazione disponibile è sufficiente per rappresentare il
quadro d’insieme.
Escludo volutamente gli
albanesi, sebbene interagiscano con le tre “etnie” sunnominate, perché
costituiscono realmente un’etnia non slava. Gli altri invece, essendo tutti
slavi, non dovrebbero suddividersi in “etnie”. Ma tutto ciò meriterebbe
un’analisi a parte: noi invece ci limitiamo ad elencare i momenti storici
in cui l’uso improprio di certi termini ha dato luogo a stragi feroci di
popolazione inerme.
Storicamente si comincia
a usare la terminologia Serbi o Croati di Bosnia nel momento in cui gli
imperi che dominano questa regione, quello austroungarico e quello ottomano,
mostrano i primi segni di sfaldamento producendo dal proprio interno i
movimenti che daranno vita alle nazioni. Alla lotta politica per la nascita
delle nazioni si accompagna da subito la sua deformazione patologica, cioè
l’estremismo nazionalistico. Ricordiamo in particolare gli Ustascia,
nazionalisti cattolici croati e i Cetnici, nazionalisti ortodossi monarchici
serbi, collaboratori delle forze di occupazione naziste e fasciste durante
la seconda guerra mondiale, gli uni responsabili delle stragi di ebrei
e serbi, gli altri di musulmani. Queste stesse due organizzazioni criminali
hanno gareggiato fra loro in ferocia durante la guerra di Bosnia nello
sterminio di musulmani.
Questo
è ciò che appare a prima vista, tuttavia la deformazione
fuorviante che ci porta alle catastrofi attuali è più sotterranea,
poco analizzata e molto più grave. Vediamo di che cosa si tratta
partendo dalla struttura degli imperi: nell’ambito dei grandi imperi, che
sono di propria natura multiculturali (preferirei non dire multietnici)
perché riuniscono al loro interno nazioni diverse, la circolazione
di popolazione è un fatto normale. Facciamo un esempio: alla fine
dell’Ottocento un venditore di pianoforti polacco si trasferisce a Trieste.
Suo figlio, al seguito del forte aumento di popolazione cattolica a Sarajevo
(dovuto al buon governo del ministro degli esteri austroungarico Beniamino
Kallaj), decide di spostare i suoi affari in Bosnia. Nella stessa famiglia
abbiamo così un nonno polacco, un padre italiano e un figlio bosniaco.
Ed ecco che appare la deformazione, perché, ahimè, questo
figlio non si chiamerà semplicemente bosniaco di religione cattolica,
ma “Croato di Bosnia”.
Infatti, dall’Ottocento
in poi, nell’entusiasmo provocato dal clima risorgimentale a costituire
una nazione, tutti i cattolici che, circolando all’interno dell’impero
austroungarico, si trovano ad approdare in Croazia diventano immediatamente
“Croati”, alla faccia della forte minoranza di religione ortodossa vivente
in Croazia. Lo stesso avviene per i bulgari, greci, montenegrini di religione
ortodossa, residenti in Serbia o in Croazia: essi vengono automaticamente
trasformati in “Serbi” con il vantaggio, per serbi e croati, di aumentare
il numero di persone che rivendicano il diritto alla nazionalità
semplicemente giocando sulla confusione tra nazionalità e appartenenza
religiosa.
Nel momento
in cui dalla rovina dei due imperi nasce il regno dei Serbi Croati Sloveni,
ribattezzato Jugoslavia, sotto la monarchia serba dei Karadjeordjevic,
questa confusione tra appartenenza confessionale e nazionalità si
istituzionalizza, con il risultato che un terzo della popolazione croata,
cioè la minoranza di religione ortodossa, assume la definizione
di Serbi di Croazia. Le malversazioni contro i musulmani da parte di bande
paramilitari sono all’ordine del giorno, e i governanti si dichiarano impotenti
a frenarle quando addirittura non accusano direttamente i musulmani di
provocarle.
Per i musulmani,
che vivono in gran parte in Bosnia, ma anche in Serbia e in Macedonia e
Kosovo (comunità albanesi musulmane), l’unica definizione rimane
fino ai tempi di Tito “neopredijeljenj”, cioè indeterminati. Ciò
significa che, in occasione di un censimento, alla voce “nacionalnost”,
cioè nazionalità, ognuno poteva scrivere, indipendentemente
dalla nazione di appartenenza all’interno della federazione delle repubbliche
socialiste di Jugoslavia, se si sentiva “croato” o “serbo”.
Tito è
troppo abile politico per pretendere di spazzare via di autorità
una identificazione ormai così radicata nella storia degli slavi
del Sud: vuole tuttavia disinnescare i pericoli di focolai nazionalistici
perchè teme il rischio che possano spezzare (come poi avverrà)
una federazione di venti milioni di persone che ha conquistato un forte
riconoscimento internazionale come stato guida del movimento dei Paesi
non Allineati nell’epoca della guerra fredda. E trova la soluzione.
Nei censimenti, alla voce
“nazionalità di appartenenza” appare infine la possibilità
di votare, oltre che “serbo” e “croato”, anche “jugoslavo” e “musulmano”:
I “neopredijeljeni” possono finalmente dichiararsi musulmani, se vogliono,
oppure jugoslavi: meglio di prima comunque, ma, una volta di più,
viene confusa l’appartenenza “nazionale” con quella religiosa.
Inutile ricordare
che cosa hanno fatto Franjo Tudjman e Slobodan Milosevic dividendosi territorialmente
la Bosnia e giustificando il genocidio dei musulmani, l’esodo di massa,
le conversioni forzate, gli stupri razziali con le teorie razziste della
Grande Croazia e della Grande Serbia: questa è storia recente.
Secondo una credenza
comune tra i serbi, i musulmani di Bosnia sono cristiani che hanno tradito,
passando dalla parte dell’invasore turco e prendendo la sua religione:
i serbi dimenticano volutamente cinquant’anni di guerra da parte dell’esercito
turco per conquistare trecento chilometri di territorio bosniaco. Essi
passano così uno straccio sulla resistenza ai turchi invasori da
parte dei bosniaci, negano la figura simbolo di tutta la storia della Bosnia,
il musulmano Husejn Beg Gradascevic che solleva il popolo contro il potere
centrale di Istambul, non solo, ma dimenticano che i turchi erano portatori
nel Cinquecento della grande civiltà e della genialità amministrativa
impersonata da Solimano il Magnifico. Si autoproclamano, i serbi stessi,
baluardo della cristianità aggredita dalle orde barbariche (e oggigiorno
baluardo di non so che contro l’imperialismo americano).
I croati di Tudjman,
a loro volta, si sentono investiti del compito di rappresentanti dell’Europa
civile e cristiana contro la barbarie dei Balcani.
Le reciproche posizioni
di Tudjman e di Milosevic hanno offerto un meraviglioso alibi alla comunità
internazionale, rappresentata dalle nazioni che avevano da sempre interessi
politici da tutelare nei Balcani: la Francia, alleata storica dei Serbi,
la Germania che considerava Croazia e Bosnia, territori del defunto impero
asburgico, come naturale estensione dell’area marco, il Vaticano baluardo
della cristianità cattolica e così via.
Il piatto
è servito, dunque, per assumere da parte delle grandi potenze le
categorie interpretative dei due dittatori razzisti, per parlare di “serbi”
“croati” “musulmani” come di popoli violenti e primitivi che si scannano
fra di loro e che bisogna tenere sotto tutela. Niente di meglio per giustificare
l’aggressione serba sostenendo che “sono tutti egualmente colpevoli” mettendo
sullo stesso piano aggressori ed aggrediti. Niente di meglio per far rappresentare
dalle televisioni mondiali sempre solo contadine con le “dimje” (i calzoni
alla turca), sopravvissute all’eccidio dei loro uomini, senza mai nominare
l’altissimo numero di laureati che hanno prodotto cinquant’anni di governo
del “comunista” Tito (gli europei dimenticano che è uscito dal Cominform
nel 1948).
Dei musulmani bosniaci gli
europei hanno detto: “Sono integralisti islamici, e, se anche non lo sono
ora, lo diventeranno dopo aver subito duecentomila morti, due milioni di
profughi, i lager serbi di Keraterm e Manjacia, quelli croati di Gabela
e Dretelj, le fosse comuni di Zvornik, Srebrenica e Zepa. Ergo, sono pericolosi
e devono scomparire”.
Le Monde ha
accusato i musulmani di Bosnia il 5 febbraio 1994, in occasione del primo
eccidio al mercato di Sarajevo, di aver sparato sulla folla di connazionali
per commuovere il mondo. A quell’epoca, tutti i campi di allenamento delle
Olimpiadi erano già stati trasformati in un immenso cimitero che
ospitava croci cattoliche, ortodosse e mezzelune, a dimostrazione che si
stava macellando una popolazione proprio perché colpevole di rappresentare
una cultura mista da sempre, quella famosa multicultura che è invisa
a qualunque razzista, colonialista, e criminale in genere che cerchi una
giustificazione ideologica alle proprie colpe.
Se, al momento degli accordi
di Deyton che misero fine ai bombardamenti contro la popolazione indifesa,
si fosse finalmente colta l’occasione di considerare la Bosnia uno stato
pluriconfessionale come tanti altri, in cui vivono cittadini bosniaci di
religione cattolica, protestante, ortodossa, musulmana, ebraica, buddista,
oltre che atei, il che è da sempre la pura e semplice realtà,
si sarebbe finalmente rotto questo cerchio infernale. Invece la firma di
Milosevic come garante “neutro” degli accordi, è costata alla Bosnia
la divisione territoriale in federazione croato-bosniaca da una parte,
e repubblica serba di Bosnia dall’altra, che occupa metà del territorio.
Conseguenza: nella repubblica
serba di Bosnia tuttora non entra un profugo che non sia serbo, (0,4% dei
profughi aventi diritto) alla faccia degli accordi di Deyton. Ma in compenso,
nella parte governata dalla federazione, vengono restituite le case ai
legittimi proprietari serbi, che magari hanno già un’altra casa
in Serbia, cacciando sotto le tende magari una famiglia profuga dall’inferno
di Srebrenica. Il serbo vive bene a gomito a gomito con i musulmani, perché
non è perseguitato. Un musulmano invece, se vuole rientrare nella
parte serba, oltre a vivere sotto le tende rischia anche l’incolumità
personale.
Molte cose stanno
cambiando con la morte di Tudjman, l’avvicendamento in Serbia, il cambio
dei capi di governo in Europa. L’Onu ha ammesso ufficialmente le sue colpe:
Kofi Annan, che nel 1995 ha sostituito Butrus Gali, ha ordinato un’inchiesta
sul comportamento dell’Onu durante la guerra di Bosnia. Ecco alcuni stralci
esemplificativi del lungo rapporto pubblicato nel novembre del 1999:
“Abbiamo rifiutato più
volte l’invio di forze aeree (che poi dsono state risolutive del conflitto-
n.d.r.)… Abbiamo dichiarato che la base Onu era stata aggredita dai musulmani
invece erano stati i serbi…Abbiamo dichiarato Srebrenica ed altre quattro
aree “paradisi protetti”, e quando i serbi iniziarono il massacro nel luglio
1995, le forze Onu di 110 soldati a Srebrenica non fecero alcuna opposizione.
Secondo i calcoli dell’Onu non meno di 20.000 musulmani furono uccisi in
questa e altre aree protette…”.
Ma tutte queste
belle dichiarazioni non bastano per ridare fiducia ai musulmani di Bosnia,
che hanno il merito di non aver scelto la vendetta per lavare la loro tragedia.
Mi chiedo: quando avremo una Bosnia appartenente ai bosniaci di passaporto
bosniaco, indipendentemente dal fatto che siano cattolici, musulmani, ortodossi,
ebrei, buddisti o che dir si voglia? Ciò avverrà solo quando
finalmente le due chiese, la cattolica e l’ortodossa, si assumeranno le
proprie colpe per aver protetto dei criminali che andavano ad aprire la
pancia alle donne portando la croce al collo, solo perché erano
musulmane.
E quando verrà
accettato il fatto che uno stato laico è l’unico in grado di dare
garanzie, non solo ai laici, ma ad una reale libertà di culto.
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