di LUKA ZANONI
Il titolo che
ho pensato di dare a questo incontro potrebbe essere semplicemente questo:
scrivere sui Balcani. In realtà dietro questa semplicità
si incontrano parecchie difficoltà, che spero di potere illustrare
al meglio. Sarà poi la discussione che seguirà a precisare
ancora meglio il fuoco della questione e a svilupparla ulteriormente.
Tuttavia, prima di
iniziare, sono costretto a fare una brevissima premessa. Non sono né
un esperto né un analista dei Balcani. L'interesse verso i Balcani
è strettamente legato all'amore che ho rivolto e tuttora rivolgo
a questa terra. Qualcosa che ho iniziato a maturare dopo l'incontro con
colei che è diventata in seguito mia moglie e di conseguenza, poi,
con la sua famiglia e con i numerosi amici d'oltre mare con cui ho avuto
il piacere di scambiare in questi anni esperienze e opinioni.
Mi sembrava doveroso dirvi
questo per due motivi: primo non essere investito di alcun principio
di autorità e in secondo luogo, ma non meno importante, per avvicinarvi
ad un tipo di esperienza che considero formativa e fondamentale per poter
scrivere sui Balcani, ovvero sviluppare un'adeguata conoscenza sempre
mediata da un'ampia sensibilità verso coloro che abitano i Balcani.
Detto questo possiamo, ora,
passare a trattare insieme il tema dell'odierno incontro. Per far ciò
ho pensato di servirmi di una citazione, che mi è sembrata particolarmente
appropriata e significativa, che ci farà da viatico per la nostra
discussione. Si tratta dell'inizio della colonna sonora del film "Bure
baruta" (La polveriera) di Goran Paskaljevic. Il testo che fa da introduzione
alla musica del film è recitato dalla profonda voce di Ljuba Tadic,
un attore jugoslavo piuttosto conosciuto. Se siete d'accordo lo leggerei
prima nella lingua originale, così come si trova nella colonna sonora,
e poi vi leggo la traduzione.
"Ovo je Balkan
Mnogi narodi tu zive, mnogo
je vera koje se na ovim prostorima ispovedaju. Mnogo je krvi proliveno
kroz vekove. Mir nikada nije trajao duze od pedeset godina. Taj naiduzi
mir prekinut je hiljadu devetstotina devedeset prve godine. Sta je to sto
cini Balkan buretom baruta? Da li su to ljudi ko tu zive ili ih neko sa
strane tera? Ko pali fitlj na tom buretum? Da li se taj fitlj pali sam
od sebe? Volim Balkan i ljude koj tu zive, volim njihove obicaje. Zeleo
bih da fitlj na balkanskom buretom baruta jedno za uvek izgori. Nazalost
sumnjam u to".
"Questi sono i Balcani:
molti popoli vivono qui,
molte religioni vengono professate e molto sangue è scorso attraverso
i secoli. La pace non è mai durata per più di cinquant'anni
e quella più lunga è stata interrotta nel 1991. Cos'è
che fa dei Balcani una polveriera? Sono le persone che vivono lì
oppure c'è qualcuno che li spinge dall'esterno? Chi accende la miccia
su quel barile? Si accende da sola? Amo i Balcani e la gente che li abita,
amo le loro usanze. Desidererei che la miccia della polveriera balcanica
bruciasse una volta per tutte. Purtroppo di tutto ciò dubito".
Che c'entra questo con la
scrittura sui Balcani direte voi. Eppure se avete prestato attenzione alle
parole di Tadic, egli fa sì riferimento alla polveriera, e quindi
ad una situazione ad alto rischio di esplosione, ma, avrete notato, viene
posta la domanda sia su cosa fa dei Balcani una polveriera sia su chi accende
la miccia. Tali domande credo sintetizzino piuttosto bene il nocciolo della
questione che in questa sede vorremmo affrontare, ovvero come fare informazione
o più in generale come scrivere sui Balcani.
L'informazione sui Balcani,
ma credo ciò si possa applicare ad ogni altro paese, dovrebbe tenere
sempre presente tanto la situazione interna, con tutte le sue difficoltà
riguardanti i conflitti interetnici e inter-nazionali (ovvero fra appartenenti
a nazionalità differenti, ma abitanti nel medesimo paese), i giochi
di potere locale, quanto le pressioni e le manipolazioni esterne, provenienti
dalle amministrazioni internazionali (Kosovo e BiH), gli interessi economici
che muovono i paesi direttamente interessati all'aerea balcanica ad impossessarsi
delle strutture della regione.
Credo che la maggiore difficoltà
per chi scrive sui Balcani consista proprio nel mantenersi sempre in un
atteggiamento sobrio e nel fare il mestiere dell'equilibrista. La cosa
non è facile, ma è necessario provarci, onde evitare di calarsi
sul capo l'elmetto e di scendere in battaglia. Mi spiego meglio. Se si
sta affrontando una crisi locale, si tratta di vedere e considerare le
azioni e le dichiarazioni dei gruppi in conflitto unitamente però
alle mosse dei paesi direttamente interessati, in particolare la UE gli
USA e i vari organismi che gestiscono il conflitto a livello internazionale,
Gruppo di contatto, Onu, Nato, ecc.
Per fare un esempio concreto
potremmo parlare della crisi in Macedonia o della crisi in FBiH (Federazione
croato-musulmana). Scrivere sui Balcani credo significhi accorgersi innanzitutto
dell'esistenza di una importante questione albanese all'interno della regione.
Una questione che non riguarda solo la Macedonia o il Kosovo, ma che investe
tutta l'area. Trattare della Macedonia senza tenere conto delle rivendicazioni
della parte albanese e interpretarle solo come un attacco all'integrità
dello Stato macedone, per altro ampiamente appoggiato da tutti i paesi
occidentali e dai paesi balcanici aderenti al Patto si stabilità,
credo sia non solo riduttivo, ma significherebbe inoltre aver già
deciso per le ragioni degli uni in favore di quelle degli altri. Sarebbe
più opportuno cercare di scorgere che cosa è in questione,
quali sono le dinamiche interne che hanno condotto alla crisi, verificare
se le rivendicazioni della minoranza albanese hanno una base oppure se
si tratta di un semplice fattore di destabilizzazione perpetrato da un
gruppo di estremisti, la qual cosa non è mai così facile
da determinare. Occorre sondare con calma il terreno e verificare i dati
e le informazioni che si hanno a disposizione. La stampa locale con quella
estera, le analisi degli esperti e le manovre internazionali. C'è
sempre qualcosa che si cela alla rapida occhiata e che richiede invece
un paziente lavoro di ricerca.
Vediamo di fare un altro
esempio (che ho seguito più da vicino) che riguarda la recente crisi
in Bosnia ed Erzegovina. Se l'attuale crisi venisse interpretata come la
tracotanza di un gruppo di nazionalisti oltranzisti croati, decisi fino
in fondo nel tentativo di ritagliarsi un proprio stato etnicamente puro
e indipendente, ciò corrisponderebbe solo per una sua parte al vero.
Ossia, è vero che esiste una fetta di popolazione che persegue mire
di dubbi fini morali, ma è altrettanto vero che il ruolo giocato
dalla comunità internazionale, non è stato così limpido
e neutro. La modifica della legge elettorale, prima delle elezioni dello
scorso autunno, ha inciso notevolmente sull'aggravarsi della crisi. Non
tenere poi conto che l'HDZ è un partito con un'alta percentuale
di elettori e cercare di tagliarlo fuori con degli escamotage, dopo che
lo si è appoggiato per tutti questi anni è quanto meno superficiale.
Credo di potere dire che
stiamo assistendo, dopo la scomparsa dei signori della guerra, ad un nuovo
corso per i Balcani e in particolare per le repubbliche della ex Jugoslavia.
Un nuovo corso dettato dalle promesse d'aiuto internazionale, che spesso
camuffano gli affari economici legati allo sviluppo di questa regione,
un particolare riferimento va fatto al sistema delle banche e quello
delle telecomunicazioni. Il Patto di stabilità, sottoscritto da
buona parte dei paesi balcanici, è la promessa per una futura integrazione
nell'organismo comunitario europeo, ma la legge, se così possiamo
chiamarla, che regola il processo di integrazione è la dura legge
dell'economia di mercato.
Credere che i popoli balcanici
siano semplicemente un coacervo di trivialità, bisognosa di educazione
civile e democratica, che vada eterodiretta mediante le regole dell'economia,
è quanto di più distante ci possa essere dalla sobrietà
alla quale ci riferivamo poco fa in riferimento alla scrittura sui Balcani.
Questo modello interpretativo, non è certo una novità di
questi tempi, basterebbe, infatti, ritornare alla fine del XIX sec. per
notare come le potenze mondiali di allora avessero già maturato
le medesime considerazioni di oggi. Si pensi alla famosa frase del cancelliere
Bismarck circa l'impegno dei soldati nella regione balcanica: "i Balcani
non valgono un soldato di Pomerania", oppure a quella, in tempi più
recenti, di Churcill: "i Balcani producono più storia di quanta
ne consumano".
La differenza rispetto alla
situazione attuale consiste nel tipo di colonialismo che viene perseguito.
Non è più il tempo dei grandi colonizzatori che occupavano
l'intero territorio rendendolo una provincia dell'impero madre. Oggi si
tratta di colonizzazioni di natura fortemente economica e, aggiungerei,
culturale. Per esperienza posso dirvi che aldilà dell'Adriatico
si prova una grande ammirazione per tutto ciò che è di provenienza
italiana, dai prodotti alimentari allo stile di vita, alla cultura quindi.
Ho speso, frequentemente, parecchie parole per far notare ai miei interlocutori
d'oltremare la falsità del luccichio europeo, purtroppo mi
sono quasi sempre scontrato con una realtà di indigenza che impedisce
di vedere con lucidità i fenomeni che noi, in qualche modo, cerchiamo
di contrastare, come quelli, per es., legati agli effetti della globalizzazione.
Scrivere sui Balcani significa,
allora, farsi carico delle proprie responsabilità, ovvero prestare
un occhio di riguardo a ciò che "noi europei" decidiamo per conto
dei cugini della penisola balcanica. Smascherare quindi le falsità
di una politica che è tutta economica e solo marginalmente sociale,
al fine di non perpetrare una discriminazione culturale già piuttosto
condivisa. Pertanto le visite in loco e la ricerca possibile di contatti
e partecipazioni bilaterali, mantenendo quella adeguata sensibilità
e apertura di spirito che sole possono permetterci di accogliere le ragioni
dell'altro, ritengo che siano un requisito imprescindibile, una pre-condizione
che può davvero condurci a costruire dei ponti culturali di scambio
e di reciprocità. Quei ponti che, come scrive Ivo Andric in un breve
e bel testo: "sono più importanti delle case, più sacri perché
più utili dei templi. Appartengono a tutti e sono uguali per tutti,
sempre costruiti sensatamente nel punto in cui si incrocia la maggior parte
delle necessità umane, più duraturi di tutte le altre costruzioni,
mai asserviti al segreto o al malvagio".
Il dovere è quello
di mettere da parte quella arroganza occidentale che apre uno iato incolmabile
tra un "noi" ricchi evoluti e un "loro" fratelli poveri e primitivi.
Tale distinzione non solo è riduttiva e semplicistica, ma trascura
inoltre una profonda cultura comprensiva di tutti quei tentativi finalizzati
alla promozione di una società civile, che in questi ultimi tristi
anni di sangue in molti hanno cercato, anche a rischio della personale
incolumità, di sviluppare. Coloro i quali hanno cercato di pensare
diversamente dal regime si sono, infatti, esposti al rischio dell'eliminazione
fisica, secondo il tipico modus operandi del crimine totalitario.
Pertanto il considerare l'assunzione
delle nostre responsabilità unite alla comprensione delle difficoltà
nell'uscire dal giogo etnonazionalista, tuttora presente in buona parte
della regione balcanica, ritengo siano senza dubbio un buon punto di partenza
per potere scrivere sui Balcani. Si comprenderà, allora, il valore
della citazione iniziale, tesa a sollevare domande e dubbi sulla "polveriera
balcanica". Speriamo solo che il nostro intento abbia un'intonazione meno
pessimistica, perché anche noi amiamo i Balcani e la gente che li
abita.
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o |
(28
maggio 2001)
Pubblichiamo
gli appunti per l'intervento di Luka Zanoni all'incontro di Nonluoghi appena
svoltosi a Siena.
Questa
breve riflessione è servita a introdurre
un
dialogo sulla percezione occidentale dei Balcani.
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