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Turchia, la democrazia apparente
Repressione e diritti violati: il rapporto della commissione "Oltre il Bosforo"
 

Rapporto della delegazione Oltre il Bosforo oltre le sbarre

   Nel quadro della campagna “Oltre il Bosforo, oltre le sbarre”, promossa da: Arci, Assopace, Antigone, Azad, a cui hanno aderito le redazioni de Il manifesto, Liberazione, Guerrepace e di cui si sono fatti garanti il Vicepresidente del Senato On. Ersilia Salvato e l'europarlamentare On. Luisa Morgantini, una delegazione italiana è stata invitata ad Istanbul dall'Associazione Turca per i Diritti Umani (IHD) per verificare le conseguenze della repressione dello sciopero della fame e dell'internamento nelle celle d'isolamento delle prigioni turche. La delegazione ha raccolto un appello urgente lanciato dall'IHD a tutti gli organismi internazionali.
La delegazione è stata guidata da Alessandro Margara, magistrato, già Presidente del DAP (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) e attualmente Giudice di sorveglianza del Tribunale di Sorveglianza di Firenze ed ha trascorso quattro giorni ad Istanbul (dal 4 all'8 gennaio) visitando e incontrando associazioni dei familiari dei detenuti, avvocati, esponenti della società civile e impegnati a vario titolo per il rispetto dei diritti umani.

Il Contesto

Le condizioni di detenzione ma più in generale l'effettivo rispetto dei diritti umani e democratici in Turchia sono oggetto da tempo di indagine e di critica, da parte di numerosi organismi, istituzionali e non governativi, italiani ed europei,.
Soltanto nello scorso anno sono state oltre cento le istanze accolte dalla Corte Europea per indagare su casi individuali di maltrattamenti e torture perpetrate su detenuti per ragioni politiche.
A questo si aggiunge il conflitto tuttora in atto con la popolazione Kurda che sovente sfocia anche in sconfinamenti militari in territorio irakeno, nonostante la sospensione decretata dal PKK della lotta armata. Permangono poi: lo stato di emergenza determinato dalle leggi antiterrorismo del 1991, i continui attacchi alla libertà di stampa e di associazione, l'esistenza di tribunali speciali, la lunghezza della carcerazione preventiva, l'erogazione di condanne alla pena capitale.
La popolazione carceraria in Turchia ammontava fino a poco tempo fa a circa 75.000 detenuti, 13.000 dei quali accusati genericamente di terrorismo o comunque di reati associativi connessi alla propria militanza politica. L'80% di questi è accusata di far parte dei movimenti indipendentisti kurdi.
A seguito di un recente provvedimento di amnistia condizionale da cui erano esclusi gran parte dei detenuti politici, la popolazione carceraria si riduceva del 50% circa.
Tre anni fa, in seguito alle pressioni esercitate da organismi internazionali, il governo turco dava il via ad un piano di rimodernamento dell'edilizia carceraria: alle carceri di massima sicurezza di tipo “E”, sovraffollati ma che consentivano ai detenuti di condividere spazi comuni si volevano sostituire le carceri di tipo “F”, più piccole, in grado di ospitare circa 400 persone in celle singole o per 3 persone.
Tre carceri di tipo F sono già state realizzate, 2 sono in fase di realizzazione, altre 6 saranno pronte entro il 2002. La vita nelle carceri di tipo “E”, sorte a seguito del golpe militare del 1980, per quanto dura permetteva ai detenuti di esprimere forme di resistenza collettiva agli abusi dei militari. Le carceri di tipo “F” espongono i reclusi a tutte le più distruttive pratiche di tortura praticabili in regime di isolamento.
Contro il trasferimento nei nuovi penitenziari iniziava il 20 ottobre uno sciopero della fame dei detenuti che rapidamente si estendeva a 41 carceri.
Nel tentativo di mediare e di sbloccare la situazione nasceva una trattativa fra il governo e i detenuti che vedeva protagonisti intellettuali, uomini di legge, soggetti della società civile turca.
Il 19 dicembre, poche ore prima di un incontro fra i mediatori, latori di proposte del governo, e delegazioni dei detenuti. L'esercito irrompeva nelle carceri in sciopero con un'operazione beffardamente chiamata Ritorno alla vita che si concludeva con un tragico bilancio: 31 le morti accertate fra i detenuti, due fra i militari, 720 i feriti, alcuni dei quali molto gravi.
Malgrado il trasferimento lo sciopero continua, a tutt'oggi 10 gennaio risultano essere 324 i detenuti in gravissimo pericolo di vita che hanno scelto di non assumere più alcuna sostanza né liquida né solida (death fast).

Gli Incontri

Nel corso dei pochi giorni di permanenza abbiamo potuto incontrare numerose e diverse associazioni, quanto segue è un sintetico resoconto delle testimonianze raccolte.

Associazione per i Diritti Umani (IHD)
Pur non avendo svolto incontri ufficiali con questa che è la principale associazione impegnata in Turchia per la salvaguardia dei diritti umani l'IHD ha fornito alla delegazione ogni tipo di supporto logistico necessario nonché l'ausilio di instancabili interpreti. Abbiamo potuto constatare come continuamente l'esistenza di questa associazione sia messa in pericolo, i suoi dirigenti sono continuamente oggetto di minacce, arresti, intimidazioni, le sue sedi in gran parte chiuse.
La sezione di Istanbul ha raccolto e ci ha consegnato, le liste dei prigionieri in sciopero trasferiti nelle prigioni di tipo “F”, un dossier sull'operazione “ritorno alla vita”, un video che mostra l'assalto in carcere, i pestaggi dei familiari dei detenuti, il trasferimento dei prigionieri feriti.

Fondazione per i diritti umani
È una struttura composta da volontari e professionisti che si occupa di sostenere le vittime di tortura e di maltrattamenti fornendo loro un supporto medico e psicologico.
La responsabile della Fondazione ci ha elencato numerosi e agghiaccianti casi di torture e maltrattamenti perpetrati prima dell'inizio dello sciopero. Particolarmente frequenti risultano essere i casi di abuso sessuale nei confronti delle/i detenute/i, di percosse e di privazioni, praticati sistematicamente dai militari.

Fondazione Giuridica (TOHAV)
Nata nel 1994, la fondazione raccoglie circa 90 avvocati particolarmente impegnati nei ricorsi di detenuti contro lo stato per aver subito, nel corso della loro detenzione, torture e maltrattamenti.
Il quadro che ne è emerso evidenzia la totale assenza di diritto nel regime carcerario. Non esiste in Turchia un regolamento carcerario che tuteli i diritti dei detenuti, non esistono figure giuridiche in grado di controllare le condizioni di esecuzione della pena, le stesse autorità penitenziarie debbono sottostare alle disposizioni militari. 
Gli unici riferimenti legislativi si basano su disposizioni che risalgono al 1938 e che comunque non definiscono le dinamiche del regime carcerario la cui struttura viene lasciata alla discrezionalità delle autorità.
Ogni ricorso ai tribunali turchi per maltrattamenti e torture è stato respinto, dei 170 casi poi trasmessi alla Corte europea oltre 100 sono stati ritenuti ammissibili, di questi almeno 20 sono arrivati alle udienze definitive. Il governo turco in questi casi si dichiara disposto ad un patteggiamento e ad un risarcimento economico.

Unione delle Camere degli Architetti e Ingegneri della Turchia (TMMOB)
Questa associazione professionale ha fatto parte del gruppo di associazioni che ha tentato inutilmente di intervenire per mediare fra governo e detenuti.
Oltre ad aver fornito notizie, dati e piante delle nuove strutture di edilizia penitenziaria (carceri di tipo F), realizzate unicamente attraverso le poche informazioni circolate, il presidente Yavuz Onen ci ha illustrato lo stato di assoluta illegalità in cui queste vengono costruite. Vincoli urbanistici, gare d'appalto per i lavori, pubblicità dei progetti sono ignorati in nome della sicurezza nazionale. I costi di ogni struttura carceraria (circa 60 milioni di dollari) risultano un insulto rispetto alle scarse risorse che invece si impiegano per il mantenimento dei detenuti. Dalle informazioni filtrate, le nuove strutture carcerarie pur garantendo, in caso di corretto utilizzo, uno spazio individuale maggiore per i detenuti, realizzano condizioni di isolamento totale o parziale, sono governate tramite strutture elettroniche in maniera centralizzata tali da poter provocare deprivazioni sensoriali, l'utilizzo dei pochi spazi di vita sociale (campo da basket e biblioteca) è a totale discrezione delle autorità.

Associazione di familiari di detenuti (Tuyab)
È soltanto una delle associazioni sorte per aiutare i propri congiunti. La sede di un'altra associazione Tayad era stata chiusa dalla polizia il giorno precedente.
È stato questo forse uno degli incontri più toccanti della delegazione: erano oltre 50 i familiari presenti tra genitori, mogli, mariti, fratelli o sorelle in rappresentanza di altrettanti detenuti.
Le loro testimonianze relative a quanto occorso ai propri congiunti nei giorni successivi al 19 dicembre hanno permesso di ricostruire le modalità dell'irruzione nelle carceri.
I sopravvissuti, visitati soltanto per pochi minuti, mostravano segni inequivocabili di percosse e di ustioni procurate, come documentato dall'IHD, da sostanze chimiche lanciate dai militari durante le irruzioni. Dai racconti emerge l'utilizzo di esplosivi, armi da fuoco, gas lacrimogeni, urticanti o che procuravano perdita dei sensi.
I detenuti sono stati trasferiti a forza e lasciati feriti, privi di vestiti, di cure e della possibilità di espletare le funzioni fisiologiche. Almeno fino al 7 gennaio (data dell'incontro con l'associazione) erano continuati i pestaggi e le sevizie, gli stupri con l'utilizzo di manganelli nei confronti dei detenuti uomini.
I familiari che per pochi minuti avevano potuto incontrarli erano stati sottoposti a umilianti perquisizioni intime, a minacce e a ingiurie.
I detenuti ricoverati in ospedale, che intendevano proseguire lo sciopero, venivano tenuti legati; gli ospedali erano sotto il controllo totale dei militari, i medici (anche loro militari) passavano ogni ora soltanto a ricordare che finché lo sciopero non sarebbe terminato, non avrebbero prestato alcuna cura medica. I medici civili si erano già da prima rifiutati di praticare l'alimentazione forzata ed erano perciò stati estromessi, anche con minacce, dagli ospedali.
Il nutrimento forzato veniva praticato in casi particolari.
Tra i familiari erano numerosi i casi di percosse ricevute nel tentativo di protestare contro l'accaduto, una ragazza riportava segni evidenti sul viso e sul corpo dei colpi ricevuti nonostante fossero trascorse oltre due settimane dagli avvenimenti.

Incontro col BARO (Camera degli avvocati)
Nel corso dell'incontro sono stati chiariti i termini della amnistia recentemente promulgata in Turchia, che ha determinato una riduzione netta della detenzione sul totale della pena.
Ci è stato spiegato inoltre che l'art. 427 della Costituzione - completamente riscritta con il colpo di stato del 1980 - vieta che atti di amnistia includano i crimini nei confronti dello Stato, descritti dall'art. 14 della Costituzione stessa. Mentre l'art. 16 prevede per reati di terrorismo l'adozione di carceri di massima sicurezza.
Esiste un progetto di legge del ministro della Giustizia per la modifica dell'art. 16 in modo da poter utilizzare gli spazi di lavoro, biblioteche, area per il basket previsti anche nelle carceri di tipo F ma che la legislazione attuale non consente di utilizzare.
I termini del fermo di polizia sono molto lunghi: questo infatti ha una durata di 4 ore estendibile a 4 giorni rinnovabili due volte cui si possono aggiungere ulteriori 3 giorni; fino a un totale massimo di 11 giorni.
Relativamente ai tribunali speciali - anch'essi istituiti dalla Costituzione dell'80 - i giudici militari da due anni a questa parte non sono più presenti. 
All'uscita dal BARO la delegazione è stata accuratamente fotografata da un'agenzia di stampa filogovernativa
 

Associazione degli Avvocati Democratici (CHD)
L'avvocato Gulay Ertuk, presidente dell'associazione, e l'avvocato Mihriban Kirdok, difensore di 85 detenuti politici, fra cui numerosi in sciopero della fame, ci hanno illustrato il quadro normativo attraverso cui vengono praticati i processi in Turchia. La lunghezza della carcerazione preventiva (che può essere pari alla pena minima corrispondente al reato di cui si è accusati), l'abuso dell'utilizzo dei Tribunali per la Sicurezza Nazionale, la scarsità di prove che sorreggono le istruttorie e la genericità delle accuse si sommano al clima di minacce in cui sono costretti a lavorare gli avvocati. Molti di loro hanno subito condanne, fermi, perquisizioni, molti sono messi nell'impossibilità di lavorare correttamente e per molti la difesa dei propri clienti è continuamente ostacolata, le visite ridotte o rinviate. Nel carcere di Kandara, 14 avvocati sono stati fermati dalla polizia mentre andavano a incontrare i loro assistiti e alcuni di loro sono stati formalmente arrestati e incarcerati.

Giornalista di Yeni Gundam (uno dei pochi giornali di opposizione ancora esistenti)
Il quotidiano, che ha una tiratura di 35.000 copie è frequentemente sottoposto a censure e a sequestri. Ha riaperto da alcuni mesi con una nuova testata dopo che la precedente era stata costretta alla chiusura dopo il sequestro di140 numeri in un anno, tanto da costringere l'editore ad una sorta di autocensura per poter proseguire nelle pubblicazioni. La libertà di stampa è condizionata, nel 1999 nella sola Istanbul sono stati sequestrati 19 libri, i grandi mezzi di informazione sono totalmente succubi del potere politico e militare.

Comitato dei familiari dei prigionieri rivoluzionari (DETAK)
Denunciano, in un appello rivolto all'opinione pubblica progressista mondiale, le condizioni in cui si trovano 40 militanti del Partito Comunista dei Lavoratori in Turchia, detenuti in sciopero della fame. Uno di loro, Murat Ordekci, è già morto; molti altri versano in gravi condizioni.

Incontro col Kesk (sindacato del pubblico impiego)
L'incontro si è realizzato in due fasi. Alle 19 di sera nella sede del sindacato degli insegnanti ed è proseguito a cena.
Nella sede del sindacato avrebbe dovuto svolgersi una assemblea-dibattito sulla questione delle carceri che è stata annullata in seguito ad un intervento della polizia.
Negli incontri successivi da parte sindacale sono stati forniti i dati sulla situazione economica e contrattuale:
l'inflazione è in calo, tuttavia assai più alta di quella ufficialmente dichiarata dal governo, pari al 39%;
l'inflazione si scarica sulla diminuzione del potere d'acquisto dei salari più che sul deprezzamento della moneta;
il salario medio di un'insegnante è attualmente pari a 5-600 mila lire italiane mensili, quello di un tecnico arriva alle 800mila;
un litro di benzina costa 1 dollaro USA;
la disoccupazione è al 20%.
La possibilità per il sindacato di svolgere il proprio ruolo di contrattazione è fortemente limitato dalla negazione delle libertà democratiche fondamentali. Di qui il porre, da parte sindacale, l'affermazione della legalità democratica come punto fondamentale. Questo è l'obiettivo comune delle associazioni e partiti che hanno dato luogo all'iniziativa di Piattaforma Democratica, di cui il KESK è soggetto sottoscrittore.

Le esperienze dirette

Almeno in tre casi, nei 4 giorni di soggiorno a Istanbul, la delegazione ha avuto modo di constatare direttamente l'assenza di reale libertà politica e di opinione nella città.
Sabato 6 gennaio, alle ore 13 si sarebbe dovuta tenere, presso l'Hotel Herezin di Istanbul, una conferenza stampa indetta dall'IHD per presentare un rapporto relativo all'operazione “ritorno alla vita” contenente tra l'altro testimonianze fotografiche delle torture inflitte, le cui tracce erano chiaramente visibili sui corpi delle vittime.
Un video documentava alcune fasi dell'assalto a un carcere, del trasferimento dei detenuti, dei pestaggi e degli arresti operati nei confronti dei loro familiari.
La conferenza è stata impedita dall'intervento delle forze dell'ordine in borghese; i presenti sono stati ripresi con una videocamera da un operatore della polizia e poi sono stati allontanati.
Nonostante la numerosa presenza di giornalisti, soltanto il quotidiano Yeni Gundam ha riportato in un trafiletto la notizia.
In serata una riunione sindacale indetta dal KESK (un sindacato che riunisce principalmente lavoratori del pubblico impiego), che prevedeva all'ordine del giorno anche le questioni carcerarie, è stata oggetto di intimidazioni da parte della polizia. Il funzionario preposto ha testualmente dichiarato: ´se volete fare la riunione dovete prima venire in questuraª. Alla suddetta riunione, peraltro non pubblica, erano stati invitati i sindacalisti italiani presenti nella delegazione.
Domenica 7 gennaio, nel pomeriggio, 40 fra familiari dei detenuti e esponenti di organizzazioni umanitarie turche venivano portati in questura nel corso di una pacifica e pubblica riunione. Le immagini trasmesse in televisione mostravano l'uso indiscriminato e grave della violenza nei confronti di manifestanti, per lo più donne.
Una parte di queste 40 persone non risulta ancora essere stata rilasciata.
Lunedì mattina, 8 gennaio, nella sede di Istanbul dell'IHD entravano tre agenti in borghese che con fare minaccioso pretendevano di essere presenti ad una nuova conferenza stampa convocata per riferire degli arresti effettuati il giorno precedente.
L'atteggiamento intimidatorio della polizia rendeva ovviamente impossibile il realizzarsi della conferenza stampa.
Fatti sicuramente poco eclatanti rispetto alla brutalità del sistema repressivo messo in atto, ma che compiuti tranquillamente, anche in presenza di osservatori occidentali, rendevano ancora più tangibile l'assenza di garanzie democratiche in questo paese.

Conclusioni

Se 4 giorni possono sembrare pochi per poter tracciare un quadro esaustivo della situazione incontrata ,gli incontri fatti, il materiale documentale raccolto e le esperienze dirette ci consentono di trarre alcune considerazioni e di porre alle autorità italiane ed europee, agli organismi internazionali, alle forze sociali e politiche sensibili alle tematiche dei diritti umani alcune urgenti richieste.

Considerazioni

Il quadro delle libertà democratiche in Turchia ci pare essere in condizioni avvilenti.
Sotto una parvenza di legalità democratica, sembra rimasto inalterato il potere degli apparati militari. La libertà di stampa, di associazione, i diritti elementari della persona sembrano valere ad esclusiva discrezione del potere politico e militare.
Un potere che utilizza i propri strumenti peggiori per stroncare la questione kurda ma anche ogni altra espressione di dissenso e di conflitto sociale.
Nello specifico della situazione carceraria e della detenzione per motivi politici emergono la lunghezza della carcerazione preventiva, la sistematicità degli abusi sui detenuti, l'arbitrarietà del loro trattamento che non è sottoposto ad alcuna regolamentazione anche formale, il carattere di disumanità dimostrato dai militari prima e dopo l'operazione “ritorno alla vita”, le difficoltà frapposte agli avvocati difensori nel condurre i processi e gli ostacoli posti ai familiari dei detenuti per poter alleviare le sofferenze dei congiunti.
La tortura fisica e psicologica risulta essere estremamente diffusa con casi gravissimi ampiamente documentati
Abbiamo appurato che persino negli ospedali in cui sono stati ricoverati i detenuti più gravi, il personale medico civile è stato sostituito da quello militare, l'accesso negato e i detenuti costretti ad inutili e sadici letti di contenzione.
A detta di molti c'è il timore di prossime ulteriori brutali operazioni negli ospedali e nelle carceri in cui prosegue lo sciopero.

Proposte

Riteniamo urgentissimo che la comunità internazionale in tutti i suoi organismi governativi, giuridici e di solidarietà assuma l'impegno d'intervenire per il ripristino della legalità democratica in Turchia.
Che cessino immediatamente i pestaggi e le torture nei confronti dei detenuti scioperanti.
Che vengano bloccati i trasferimenti nelle carceri di tipo F e che i detenuti che già vi sono rinchiusi possano avere garantita socialità, cure, visite di parenti e avvocati.
Che gli organismi operanti per il rispetto dei diritti umani sia turchi che internazionali possano avere libero accesso alle prigioni per verificare con proprio personale medico le condizioni dei detenuti.
Che i detenuti ricoverati in ospedale in gravi condizioni abbiano immediatamente diritto alla sospensione della pena.
Che una commissione di inchiesta internazionale abbia mandato di indagare sugli abusi perpetrati durante l'operazione “ritorno alla vita”.
Che all'esercito venga interdetto l'intervento nei penitenziari il cui controllo deve immediatamente passare sotto personale civile.
Che venga data ai detenuti la possibilità di costituire propri organi di rappresentanza per definire transitoriamente i propri diritti.
La delegazione chiede urgentemente un incontro con la Commissione Europea per la Prevenzione della Tortura;  il conseguente immediato invio di propri osservatori nelle carceri di tipo “F”.
Chiediamo poi al Governo italiano un gesto concreto che rompa il silenzio omertoso di cui finora la Comunità Europea si è resa responsabile
È in suo potere intervenire presso la Commissione delle Nazioni Unite per i Diritti Umani affinché provveda ad inviare immediatamente un suo rapporteur in Turchia con ampio mandato di indagine nelle prigioni
 

La delegazione “Oltre il Bosforo oltre le sbarre

Alessandro Margara, già direttore del DAP, attualmente Giudice di sorveglianza del Tribunale di Sorveglianza di Firenze
Vainer Burani, avvocato, rappresentante dell'Associazione italiana giuristi democratici 
Stefano Galieni, giornalista free lance.
Claudio Lombardi, ingegnere, già consulente del Comitato ONU per i Diritti Umani  Ginevra, in rappresentanza della CGIL di Firenze.
Antonello Pabis, del Direttivo Nazionale SPI CGIL e rappresentante del Comitato sardo di solidarietà col popolo kurdo.
Filomena Santoro, volontaria dell'ICS (Consorzio Italiano di Solidarietà) e rappresentante del Gruppo “Umut (speranza)- I figli del sole” di Trieste.




o Riceviamo dalla delegazione Oltre il Bosforo oltre le sbarre il rapporto stilato dopo una visita in Turchia (all'inizio di gennaio) 
in seguito anche ai fatti tragici avvenuti nelle carceri turche negli ultimi mesi.

Turchia,
il silenzio
uccide ancora 
Lettera aperta
ai mass media 

Kurdi e turchi, 
la libertà di stampa violata

La tortura
in Turchia,
un affare di stato denunciato in Parlamento
 
 

(26 gennaio  2001)

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