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pensieri

Ma chi vuole gli alimenti transgenici a ogni costo?
La commissione Ue denuncia la moratoria e banalizza i rischi sanitari e di democrazia alimentare
 

  Alzi la mano chi vuole mangiare alimenti geneticamente manipolati. Alzi la mano il contadino che scalpita per usare i semi Terminator che danno piante "sterili" e dunque tutto il "potere riproduttivo" alle aziende biotech. Alzi la mano chi vuole fare un salto nel buio biologico per alimentare un business. 

    L'applicazione dell'ingegneria genetica nel campo alimentare più che una iniziativa umanitaria, come anche oggi cerca di farci credere il ministro della sanità Veronesi parlando di "fame nel mondo" (vecchia storia pensare che sia solo questione di quantità di cibo disponibile e di carestie...), è un vasto e irresponsabile business senza confini, se non quelli, ormai ampiamente violati, dell'etica e del rispetto della vita. Sono numerose le domande cui i santoni delle manipolazioni genetiche agroalimentari non possono rispondere in modo convincente. La prima, che da sola sarebbe ragionevolmente sufficiente a congelare l'intero inquietante carrozzone, riguarda gli imprevedibili effetti sulla salute umana (ma anche sull'ecosistema in generale) di queste nuove coltivazioni e produzioni alimentari. Qui principio cautelativo significa non fare sperimentazioni sulla pelle della gente, anche quando l'innovazione (e non ci sembra il caso) presentasse molte caratteristiche apparentemente vantaggiose. 

   Anche l'amianto - solo per fare un esempio - è stato, per decenni, un materiale impiegato liberamente perché presentava caratteristiche di straordinaria utilità; poi si è passati dai dubbi alle certezze circa la sua maligna azione sulla salute umana. Ma ci sono voluti decenni per verificare il decorso e stabilire i rapporti causali di quelle malattie mortali. Oggi l'amianto è definitivamente condannato. Dunque, il tempo è una variabile fondamentale quando si tratta di verificare gli eventuali effetti di trasformazioni alimentari o ambientali e nel caso degli Ogm cautela vuole che nel dubbio si attenda e si facciano tutte le verifiche del caso. 

   Questo per parlare di cautela. Se poi vogliamo addentrarci nel territorio del buon senso, con buona pace del ministro Veronesi che ci apostroferà come oscurantisti, ci sembra di poter eccepire che l'utilità sociale delle manipolazioni genetiche in ambito agroalimentare tende a sfuggirci mentre appaiono evidenti le controindicazioni di tipo sociale ed economico e intuibili, come si è detto, i rischi sanitari. Se nella medicina ci sono buone ragioni anche di salute pubblica (accanto ad altre di assai meno nobili) che giustificano l'impiego di risorse nella genetica (pur col dubbio inquietante che si tratti di una rincorsa medica alle modificazioni ambientali per riadattare l'uomo a un ambiente che modifica violentemente rendendolo invivibile), nel campo agroalimentare queste ragioni non si vedono, a meno di non credere a una certa propaganda fintoterzomondista; così come, diversamente dalla richiesta di guarigione dalle malattie, non c'è una domanda sociale di semi e piante geneticamente manipolate. 

    Nonostante questa inutilità sociale, siamo qui a discutere di questa brutta storia che cela interessi economici inimmaginabili ma anche altrettanto vaste lotte di potere per il controllo della produzione agroalimentare mondiale.

   Ora la questione sta agitando le acque dei globalizzatori di Bruxelles e la commissione europea guidata da Romano Prodi vuole passare all'azione: via la moratoria cautelativa, che sarebbe "illegale", si introduca una regolamentazione sul commercio di ogm. La moratoria fu proclamata il 25 giugno 1999 da cinque stati membri (Francia, Italia, Grecia, Danimarca e Lussemburgo) introducendo un blocco de facto del mercato. L'ultimo attacco antimoratoria è arrivato in due tempi: prima i commissari europei responsabili per l'ambiente, Margot Wallström e per la sicurezza alimentare, David Byrne, hanno proposto di anticipare all'autunno prossimo, dopo il confronto con il parlamento europeo, l'entrata in vigore della direttiva sul "rilascio deliberato degli ogm nell'ambiente". Ieri, poi, il presidente dell'Ue Prodi, dopo che i ministri dell'ambiente a maggioranza avevano censurato la Walström, ha ribadito la necessità di introdurre la nuova direttiva perché la moratoria, essendo "illegale", rischia una condanna dell'Alta Corte. Prodi naturalmente si è premurato di precisare che non sta dalla parte delle grandi aziende transnazionali e ha aggiunto che, anzi, alle medesime andrebbe meglio la situazione attuale con la moratoria de facto e una legislazione più morbida.
  La nuova direttiva infatti è più severa dell'attuale, prevede valutazioni di rischio più approfondite, obblighi di monitoraggio dei vari tipi di rischio, informazione del pubblico sui siti di coltivazione degli ogm, obblighi di tracciabilita' ed etichettatura degli ogm, e autorizzazioni limitate a dieci anni (ora non c'è scadenza). 

     Quel che resta fuori dalla nuova direttiva è soprattutto la responsabilità civile per danni all'ambiente o alla biodiversità (all'Europarlamento sono stati respinti gli emendamenti in tal senso). Come dire che sulla Terra se si comincerà a morire per qualche "imprevedibile" impazzimento delle soie pazze, nessuno pagherà. Diversi governi, Francia in testa, hanno osservato che questo limite rende la direttiva inaccettabile. Stando a quanto emerso nell'incontro dei ministri dell'ambiente dello scorso week-end, una parte significativa dei govenri europei condivide il congelamento della direttiva in mancanza di norme sulla responsabilità civile per danno ambientale.

   Un gran pasticcio, insomma, con le grandi aziende agroalimentari che premono, politici che sembrano prendere molto alla leggera i rischi per la salute umana e per l'ambiente naturale (e, non si sa come, pare dormano sonni tranquilli lo stesso); altri politici che probabilmente hanno un'altra visione del rapporto di rappresentanza con l'elettorato (se facessimo un referendum, che fini farebbero i socialmente inutili e forse dannosi ogm col loro business?) ma anche con madre natura e si assumono le responsbailità conseguenti; un crescente movimentismo di massa che esprime la rabbia dei contadini dei paesi poveri che diventano ostaggio delle multinazionali biotech; la frustrazione delle popolazioni che si vedono sfuggire la sicurezza di base: sapere che cosa finisce nei loro piatti.

   Sono penosi i tentativi di mascherare con motivazioni umanitarie la ricerca e il business transgenico: a risolvere il problema del Sud del mondo non saranno certamente le patate ipervitaminiche o le carote-vaccino, frutto irrilevante delle stesse tecnologie e filosofie destinate a strangolare le produzioni agricole e la vita nei paesi poveri.

   Il rischio è che anche in questo caso, a colpi di propaganda, alla fine l'abbiano vinta i lobbisti che oliano gli ingranaggi decisionali a Bruxelles. Ma la battaglia popolare sul cibo può riservare qualche brutta sorpresa ai globalizzatori: un riflesso collettivo "primordiale", in difesa del pane, potrebbe rimescolare le carte e mandare a casa qualcuno. Coniugando giustamente pane e libertà. Forse.

(z. s.)

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(18 luglio 2000)

 
 
 

 

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