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pensieri

Il sommergibile atomico, la logica militare, la vita umana
Il caso emblematico del Kursk e le minacce all'ambiente e alla salute nel grande Nord russo
 


Che le logiche militariste, di là dalla facciata di efficienza e infallibilità, possano risultare ciniche, devastanti e anche pasticcione è dimostrato dalla storia. Il potente cocktail di gerarchia, disciplina, pregiudizio, orgoglio e segreto ha colpito anche nel caso emblematico del sottomarino atomico russo Kursk e dei suoi 118 marinai lasciati marcire negli abissi del Mare di Barents, martiri della logica nazionalmilitare. Tanto che gli stessi esperti norvegesi non hanno potuto esimersi dal puntare l'indice contro i parrucconi medagliati di quel che resta dell'Armata rossa accusandoli di aver ritardato i soccorsi in modo probabilmente decisivo per la vita dei superstiti.

   Lo spettacolo inquietante offerto dai militari russi di fronte alla tragedia del Kursk dovrebbe esser guardato con occhio critico e disilluso: certo, quella russa è una situazione degenerata ma la logica militare è più o meno la stessa in tutto il mondo.

   Non è una caso che, ogni qualvolta qualche passaggio di una soluzione politica in aree di conflitto richiede l'intervento dei generali di nazioni (anche fra loro non proprio "amiche"), si sentano da tutte le parti dichiarazioni del tipo: "Il lavoro sta andando bene, fra militari ci si intende; basta che ci lascino fare il nostro lavoro".

  Dunque, non illudiamoci troppo che ci siano militari molto più "buoni" degli altri. Certo, il contesto politico e sociale fa qualche differenza; ma i principi di fondo non cambiano. Ragion militare, segreti, sicurezza nazionale, intrecci sotterranei...

   Ma sul comportamento civilmente folle (ma obbligato secondo le ferree logiche militari...) dei generali russi e del presidente Vladimir Putin si è ormai detto e scritto tanto, anche sulle pagine dei giornali di quel paese.
   Vale la pena, piuttosto, di ricordare che l'incidente al Kursk non è un caso: come ha rilevato un paio di giorni fa l'associazione ecologista norvegese Bellona, la più impegnata a monitorare la "bomba a orologeria" del Nord, non è da escludersi che il disastro sia stata causato dall'impiego di materiali e tecnologie che ormai hanno fatto il loro tempo e che lasciano margini di rischio elevati. In particolare, Bellona faceva notare che missili e siluri a bordo del Kursk sarebbero di nuovo quelli di vecchia generazione, assai più esposti al rischio di autoesplosione: quelli più recenti e sicuri avevano costi di gestione troppo elevati.

   E questa sarebbe solo un esempio della crescente pericolosità di quanto avviene nel Mare di Barents e nel Mare di Kara, in Nuova Zemlia e sulla penisola di Kola: davvero una bomba a orologeria sul piano dei danni all'ambiente e alla salute umana. Si concentrano in questa zona dell'estremo nord europeo non solo le attività della flotta atomica russa ma anche diverse centrali nucleari vecchie e inaffidabili, tonnellate di scorie radioattive scaricate negli abissi, altre produzioni chimiche inquinanti. Stiamo parlando di alcuni dei luoghi più malridotti del mondo dove, nucleare a parte, si lavorano cromo, ferro, nichel, arsenico. In fondo al mare giacciono almeno altri quattro relitti di sommergibili atomici comprensivi di reattori: macchine inaffidabili delle quali si decise di disfarsi, alla fine degli anni '60; undici anni fa, invece, si incendiò e colò a picco un altro sottomarino nucleare, il Kosmomoletz, nel Mar di Norvegia, causando la morte di 41 marinai e innescando un'altra minaccia di contaminazione. 
   Nel 1993 fu Mosca stessa, messa alle strette da associazioni e governi scandinavi, ad ammettere l'esistenza di otto depositi (meglio sarebbe dire discariche) marini di scorie radioattive nel Mare di Barents, cinque nel Mare di Kara (dove sono stati gettati anche sette vecchi reattori di sommergibili).

    In Norvegia resta vivo anche l'incubo di Chernobyl (che all'epoca dei fatti fu tragicamente sottovalutato dalle autorità locali) e gli esperti governativi parlano in proposito di un rischio pari almeno a 500 casi di cancro nei 50 anni successivi all'incidente atomico dell'86.
   In questo quadro, Mosca, che tanto zelo impiega in operazioni devastanti come la guerra in Cecenia, continua un tiramolla estenuante di reticenze e segnali di timide aperture senza tuttavia che la situazione registri miglioramenti. E se qualche associazione cerca di aggirare il muro di gomma russo, come nel caso dei norvegesi di Bellona, viene fata oggetto di offensive poliziesche come quella che cinque anni fa portò in prigione (per dieci mesi) l'ex militare Nikitin, colpevole di esser diventato un collaboratore degli ambientalisti e oggi ancora sotto processo.


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(21 agosto 2000)
 
 
 
 

 

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