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interviste

In fumo le speranze del polo energetico di Brindisi
Parla Amedeo Argentieri, lavoratore Enel alla Centrale termoelettrica di Costa Morena
 

di GIUSEPPE D'AMBROSIO

    "Vergogna, trecento posti in pericolo”: questo è l’amaro messaggio che sventola sulla cima di un camino dalle dimensioni vertiginose, alla Centrale di Brindisi nord. Alcuni giorni fa, in preda alla disperazione, gli operai della centrale si sono incatenati ai camini, a più di cento metri d’altezza, per confermare lo stato di agitazione. Dal primo maggio la loro fabbrica si è “spenta”, non produce. I camini, simbolo negativo della città, non fumano più e tanti operai vivono la contraddizione di vedere quella mostruosa creatura industriale, (più volte chiusa perché incapace di contenere le emissioni di sostanze cancerogene) tristemente ferma e incapace di dare lavoro. Indubbiamente, finisce per tutti un sogno, quello dell’occupazione. E finisce in modo grottesco, perché quel mega insediamento, una volta trasformato a ciclo combinato, potrà occupare appena 90 persone. In questa settimana cominciano gli scioperi, nella frustrazione di tanti che ne riconoscono l’inutilità perché la centrale è improduttiva e totalmente ferma. 

   Fra i lavoratori protagonisti dei disordini di questi giorni, Amedeo Argentieri, rappresentante sindacale e dipendente Enel, ha ricostruito la “storia di un’illusione”, durata per poco più di dieci anni e ora giunta al capolinea. In un bar di Viale Palmiro Togliatti, Amedeo ha raccontato per filo e per segno il triste epilogo degli operai, dei centri direzionali e di tutti i settori che la società elettrica, anno dopo anno, ha liquidato inesorabilmente.

  Quando hai cominciato a lavorare per l’Enel e dove?

  Avevo poco più di trent’anni e nel 1985 sono stato assunto alla Centrale di Brindisi nord. A quel tempo, Enel era un ente pubblico ed io sono entrato grazie ad un accordo della società elettrica con le istituzioni locali. I Piani d’assunzione erano “concordati” e c’erano percentuali precise di ricaduta occupazionale, sia a Brindisi e sia nei Comuni interessati dall’insediamento termoelettrico. La centrale nord, che da pochissimo era stata convertita a carbone, doveva avere un organico di 520 persone. Di lì a pochi mesi, dopo il referendum sul nucleare, arrivò in Italia il mito delle megacentrali e Brindisi vide nascere, su un’area di 270 ettari, un altro insediamento termoelettrico mastodontico, più noto come “Centrale di Cerano”. Era la fine degli anni Ottanta, e i piani concordati d’assunzione, prevedevano per quella centrale circa 800 assunzioni più l’indotto.

  Una serie di progetti che hanno incrociato le attese di migliaia di disoccupati…

  Sicuramente. Si parlava di oltre 1200 assunzioni fra le due centrali. L’entusiasmo investì anche centinaia di ditte, che allora parteciparono alla costruzione della centrale sud: ci lavorarono più di tremila persone, di giorno e di notte, nella speranza di “rimanerci” partecipando all’indotto o addirittura sperando di entrare nell’organico Enel.
Era un periodo di grande euforia: la stampa presentava alla città i numeri della nuova occupazione, specificando che si trattava di organici “concordati”, di cifre sicure e inoppugnabili. Si fece avanti l’idea di una forte inversione di marcia verso lo sviluppo e l’occupazione. C’era la sensazione di partecipare a qualcosa di veramente grande. Pochi immaginavano quello che ci aspettava.

  Qual è la situazione oggi, alla Centrale nord?

  E’ ferma. Non si lavora e non si produce. Ad oggi, non c’è più indotto, nessuna ditta esterna ci lavora più. Inoltre l’ultimo Decreto D’Alema del 4 agosto scorso, ha stabilito che l’organico deve essere di 330 operai. L’Eurogen risponde di sì, però conferma che, una volta trasformata la centrale a ciclo combinato (entro il 2007) l’organico necessario sarà di circa 90 persone. 

  I 240 operai rimanenti resteranno senza lavoro o verranno riutilizzati in altri settori?

  Qui si scopre la manovra. C’è una clausola sociale firmata nel settembre scorso, che stabilisce la validità della tutela occupazionale fino al 2004: dopo, i lavoratori in esubero, potranno essere licenziati. A tutti noi, le decisioni di oggi sembrano un autentico licenziamento anticipato. 

  Quanto guadagna un operaio semplice all’Enel?

  Gli stipendi per un normalista arrivano fino ad un milione e ottocentomila lire. Se un operaio ha due o tre figli, una casa da pagare, le tasse e le spese di ogni giorno, non riesce ad arrivare a fine mese. Fino ad oggi si riusciva ad andare avanti perché nell’ambito della produzione c’erano gli incentivi, specie per chi lavorava in condizioni d’elevato rischio per la salute. Oggi non c’è più produzione e gli stipendi si sono abbassati. 

  Pensi di essere più fortunato degli operai che lavoravano nell’indotto?

  Fortunatissimo. Chi lavorava nelle ditte appaltatrici ha perso il posto di lavoro, è andato in mobilità, è finito “in mezzo alla strada”. Ci sono lavoratori che non percepiscono nemmeno il 50% dello stipendio. Loro vivono ampiamente sotto le soglie di povertà e sono migliaia. La situazione dei lavoratori nelle ditte è molto oscura: durante un’occupazione della fabbrica, tre mesi fa, abbiamo udito, di notte, dei rumori a Torre 4, sotto al nastro trasportatore. Ci siamo avvicinati e nessuno rispondeva: di colpo abbiamo scoperto che, un gruppo di operai lavorava al buio, senza maschere, in una vasca di carbone. Lavoravano di nascosto ed erano completamente neri, in tutto simili agli operai delle miniere: inalavano a pieni polmoni polvere di carbone; li abbiamo minacciati e sono scappati via: in quel momento, il dramma di quella situazione, mi ha fatto piangere. Penso che ci sia molto lavoro nero nella centrale.

  Lavoro nero è una parola forte…

  Lottando fra poveri, le ditte appaltatrici hanno fatto la guerra fra di loro, abbassando al minimo gli appalti. E’ così che aumenta il lavoro nero nella centrale, ci sono meno guadagni, più fallimenti, più lavoratori sul lastrico. Le ditte assumono sottopagando, o in nero, o part time. In ogni modo non ci sono le condizioni per mantenere una famiglia.

  La paura di confrontarsi, presto o tardi, con la povertà, è reale?

  Certamente. Soprattutto per l’operaio semplice il futuro è nero. Tutti sanno che l’Eurogen è stata messa sul mercato: ora, quale imprenditore privato andrà mai a comprare una centrale di quelle statura, sapendo che non produce ed occupa solo 90 persone? Se non si fanno rispettare gli accordi più forieri di garanzie, come la Convenzione del 1996, la situazione degli operai sarà assurda.

  In quali occasioni, in questi anni, la vostra situazione è concretamente migliorata?

  Quando, nel Governo Amato del 1992, Enel si trasformò da Ente pubblico a società per azioni. Si diede una nuova ristrutturazione, anche grazie alle spinte che provenivano dal fatto che i lavoratori dell’indotto diminuivano sempre di più. Finalmente, fu portata a Brindisi la direzione della produzione delle centrali di Puglia, Campania, Calabria e Basilicata. Fu costituito il Centro ricerca ambiente. Dopo questa fase io fui trasferito presso la direzione vincendo un concorso interno. Nel 1996, fu fatta la Convenzione Enel-Enti locali, il cui vero obiettivo, secondo me, era quello di sbloccare l’ordinanza del sindaco Arina, che aveva chiuso Enel nord già dal 1994. Per tutto il resto infatti, la Convenzione è rimasta carta morta.

  Ora perché siete in agitazione costante?

  In seno alla trasformazione degli ultimi giorni, la Direzione è stata nuovamente trasferita a Napoli e Roma. Più della metà dei lavoratori sono stati conferiti all’Eurogen, e questo, ai sensi del Decreto D’Alema, non è possibile. A Brindisi nord, sono in serio pericolo quasi 300 posti di lavoro, per questo gli operai si sono incatenati alle ciminiere. Inoltre, l’Enel rifiuta di reintegrare gli operai Eurogen, che considera non suoi.

  Se provi a riflettere su tutti questi anni, cosa ti fa più rabbia?

  Dovevamo avere 1200 posti di lavoro più l’indotto. Oggi, a Brindisi nord non c’è né produzione né indotto.  A Brindisi sud c’è una situazione molto confusa: nell’ambito dei posti diretti, l’organico è di circa 450 persone, e non basta a fare fronte alla produzione. Eppure, per supportare la vacanza in organico, si vanno a prendere lavoratori dalle parti più svariate d’Italia, lasciando a far nulla quelli di Brindisi nord, perché non sono dell’Enel ma dell’Eurogen. 

  Dunque l’illusione è finita?

  C’è sempre il tempo e il modo di porre rimedi. Tuttavia, ora che il territorio è devastato, con la crisi economica che si sente sulla pelle, a me interessa il lavoro: con tutta franchezza, preferisco morire con i polmoni sporchi e con la pancia piena, più che con la pancia vuota e i polmoni puliti.


o Amaro sfogo di Amedeo Argentieri, raccolto al bar da Giuseppe d'Ambrosio, sul passato, presente e futuro di quello che doveva essere il polo energetico del sud ed invece si sta rivelando un'ennesima cattedrale nel deserto. Per ora, ad andare in fumo, sono state le speranze di un'intera città e, naturalmente, quelle di Amedeo. Il futuro del mega impianto brindisino tra problemi occupazionali e salvaguardia ambientale, nello sfogo dei lavoratori in stato di agitazione.

Questo articolo
è tratto da Sottosopra
giornale
nonviolento
di Brindisi

La centrale
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Nord
 

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