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Africa e Medio Oriente, la globalizzazione come nuovo colonialismo?
Luca Alberti: "Aumenteranno i ritardi economici e culturali. Con più conflitti e povertà diffusa"


di FRANCESCO MERZ

    Nel 1979 il presidente libico Gheddafi stanzia 50 miliardi per realizzare un film sulle imprese di Omar al Muktar,  guida della resistenza anti - italiana in Cirenaica, giustiziato dai fascisti di Graziani nel 1931. Il film sul padre della patria per i libici, si intitola "Il Leone del deserto" e viene proiettato nel 1982 in tutto il mondo, fatta eccezione per l'Italia,  perché "lesivo dell'onore dell'esercito italiano".
 Il colonialismo non è ancora finito?
Questo interrogativo lo giriamo al professor  Luca Alberti, docente all'università statale di Milano.

  "La storia del colonialismo nei paesi arabi - spiega - è iniziata due secoli fa, precisamente nel 1798 con Napoleone in Egitto. Questa è la data simbolo di un processo che nel tempo ha  causato la scomparsa della società tradizionale araba. Anche gli attuali confini sono stati determinati dai paesi invasori. Cito il caso del Libano voluto dai francesi per creare una maggioranza di cristiani nell'area e la Siria oggi governata da quelle minoranze favorite dagli europei. Il colonialismo è frutto della modernità occidentale, cioè dell'unica cultura ritenuta valida, da imporre al resto del mondo, con conseguenze  storiche che tutt'oggi sono ancora devastanti".

   A quali paesi in particolare si riferisce ?

   "Per esempio l'Algeria è un caso brutale e radicale di colonizzazione durata 132 anni, dal 1830 al 1962.  Un territorio praticamente annesso alla Francia. Sei milioni di francesi si trasferirono nel paese  nord africano, occupando i posti chiave,  distruggendo l'identità tradizionale. La lingua araba non veniva più insegnata, addirittura i sussidiari scolastici iniziavano la storia così: "i nostri antenati, i Galli....".  Anche il paesaggio subì un pesante cambiamento. Vennero sradicati migliaia di uliveti e piantate viti, nonostante il paese musulmano non consumi alcolici perché vietati dalla religione.  Si crearono dei meccanismi di dipendenza economica verso l'Europa. Tuttora l'Algeria esporta vino in Francia.  La conquista dell'Algeria e la successiva guerra di liberazione causarono 3 milioni di morti,  un vero e proprio genocidio rimosso dagli europei che non volevano vedere. Nel 1961 per reprimere una manifestazione di algerini a Parigi, il governo francese non esitò ad uccidere 300 persone e a gettarle nella Senna ". (Maurice Papon, all'epoca  Prefetto della Polizia di Parigi, responsabile dell'uccisione degli insurrezionisti algerini, non subì alcun provvedimento da parte del Governo francese. Anzi in seguito si reintegrò brillantemente nella vita civile, al punto da rivestire la carica di ministro nel Governo Giscard D'Estaing. Recentemente è stato condannato per aver firmato personalmente gli ordini che mandarono 75.000 ebrei nei campi di concentramento in Germania, n.d.r.).  Nel 1962 l'Algeria diventa indipendente".

   Il punto importante è proprio in questo passaggio che riguarda praticamente tutto il mondo arabo. La radicale decolonizzazione avviene secondo il modello del colonizzatore. La modernizzazione dei paesi arabi avviene secondo i modelli europei. Il nazionalismo in questi paesi è importato. La Palestina? 

   "E' un fenomeno di colonialismo complesso. Il movimento sionista si appoggia agli Stati europei - e in particolare alla Gran Bretagna - che esportano il proprio modello di nazionalismo. La nascita dello Stato di Israele è ispirata e voluta dal colonialismo che favorisce l'immigrazione di milioni di ebrei in Palestina".

    L'Islam?

    "Il recupero dell'identità avviene in tempi recenti, dopo  il 1970,  proprio con l'Islam che usando una terminologia tradizionale propone cose nuove coniugate con i valori islamici. L'Islam offre una straordinaria resistenza al colonialismo in virtù del forte retaggio culturale. Le fusioni familiari tra le popolazioni sono rarissime. Questo fenomeno (islamizzazione) in costante crescita  soprattutto di consenso, inizia a spaventare l'Occidente".

    Perché? 

   "Sono paure di tipo strategico, di tipo economico. Non si ha alcun interesse allo sviluppo di questi paesi".

   Le guerre tra Iran - Iraq e quella del  golfo tra l'Iraq e il Kuwait si possono configurare come tentativo di indebolire questi paesi?

   "La guerra serve per ribadire un ordine internazionale, ha segnato un forte arretramento per questi stati. Prima dei conflitti vi erano tentativi di cooperazione tra i vari paesi arabi, si prefiguravano unioni importanti.  Adesso l'interscambio fra questi paesi è molto debole, mentre la dipendenza dall'Europa è crescente.  Anche i paesi "vincitori" escono sconfitti. In Kuwait  per esempio vi era libertà di stampa, le entrate per operazioni finanziarie erano di gran lunga superiori a quelle pur cospicue del petrolio. Dopo la guerra il paese è regredito economicamente e tecnologicamente ed è diventato autoritario".

   In questo apocalittico scenario, si può parlare di strategia miope dei paesi sviluppati?

   "Certamente ragionano in una prospettiva di corto respiro,  ma l'aspetto più significativo è che essenzialmente non sono interessati a soluzioni democratiche  in queste aree. Anzi appoggiano élite autoritarie facilmente controllabili dall'ordine internazionale".

    Con queste premesse la globalizzazione cosa comporterà?

   "Faccio un esempio forse banale.  I siti internet in Medioriente sono pochissimi, qualche eccezione per il Libano e i paesi del Golfo. La curiosità è che si trovano molti siti riguardanti movimenti fondamentalisti, che contrariamente a quanto si crede, sono funzionali e agiscono proprio come vogliono gli occidentali e hanno poco a che vedere con l'Islam. Ma per restare al quesito di partenza bisogna evidenziare che la disparità tecnologica tra i paesi arabi e quelli occidentali è altissima. La presenza sui mercati finanziari inesistente. La globalizzazione in questa situazione  comporterà un ulteriore impoverimento per queste aree,  che scontano un ritardo economico avviato dal colonialismo. I rapporti di forza si amplificheranno". 

   Un quadro a dir poco nero.  Il futuro? 

   "Sono fortemente pessimista. Il ritardo economico, tecnologico e culturale cui soffrono i Paesi arabi ne accentuerà la possibilità di conflitto, che diverrà altissima. Le migrazioni di queste popolazioni verso l'Europa verranno impedite militarmente. L'Albania ne è un esempio recente.  Per rendersi conto del clima che si respira tra gli intellettuali italiani, basti dire che Sergio Romano (ex ambasciatore ed editorialista di quotidiani nazionali, n.d.r.), parla oggi addirittura di ricolonizzare l'Africa..."


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Abbiamo incontrato Luca  Alberti, cattedra di storia e istituzione dei paeso afro-asiatici all'Università Statale di Milano,  in occasione di una conferenza
a Trento. 
Alberti è autore
di  numerose pubblicazioni  sull'argomento. Citiamo: RASSI  "Rapporto annuale situazione strategica internazionale", 1995/96 ; "La democrazia degli altri", Franco Angeli, 1997 ; "Mediterraneo mare della complessità" ; "Abitare il pianeta", Fondazione G . Agnelli, 1988. 
 
 
 

(6 aprile 2000)

 

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