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"Balkanija", un viaggio
nelle tradizioni musicali rom
Carmine Guarracino racconta sette anni
di ricerca fatta da musicisti napoletani e bosniaci
Per anni si sono dedicati a una ricerca di tipo etnomusicologico, hanno scavato nella tradizione, frequentato i campi nomadi, incontrato zingari fuori dei campi. Ne è uscito un disco di musica rom, in una rilettura di marca partenopea (napoletani sono quasi tutti i protagonisti), supportata dall'esperienza diretta del cantante bosniaco, trapiantato in Italia, Adnan Hozic. Nonluoghi ha parlato con il musicista napoletano Carmine Guarracino, una delle "menti" dell'esperienza "Balkanija", durata sette anni e culminata nel disco omonimo (edizioni Il Manifesto, 12 mila lire), nel quale con Carmine (chitarra e voce) suonano e cantano Adnan (voce, chitarra, arrangiamenti) che ha scritto alcuni dei brani, Vittorio Pepe (basso), Gianni Bove, Piero De Asmundis, Daniele Sepe (sax in un brano) e Gianni Stocco (basso) Carmine, come avete cominciato? "Abbiamo lavorato partendo dall'idea di questa grande regione, Balkanija, appunto, che va dall'Est Europeo - non solo balcanico -, alla Grecia, all'Italia del Sud, alla Spagna, alle coste nordafricane. C'è una linea melodica comune a tutta quest'area, in un percorso che si addolcisce andando da Est verso Ovest e con analogie anche grammaticali che donano quel senso "orientale" a questa musica". Ma come è nata l'intera avventura? "Spontaneamente, dopo l'incontro con Adnan. Abbiamo cominciato così, per passione artistica. Poi, via via, il progetto si è riempito di altri significati, a cominciare dal voler dare corpo a una straordinaria memoria artistica come quella zingara, rileggendola e fondendola con le sonorità napoletane. Nei primi tre anni, abbiamo suonato esclusivamente strumenti acustici, eravamo calati nella tradizione zingara dell'Est e dei Balcani, compresi i brani tipicamente bosniaci e macedoni caratterizzati dai tempi dispari. Era un passaggio neccessario, una full immersion per poter elaborare il nostro progetto". E poi avete cominciato a rileggere e arricchire quel repertorio... "Con l'aiuto di Adnan e dei suoi contatti abbiamo cominciato a frequentare un campo rom a Secondigliano e a dialogare con altri zingari che stanno a Bologna. Si trattava di scoprire altri brani e altri testi e di ricostruire come interpretarli. Un lavoro faticoso, anche perché - per le traduzioni, ad esempio - c'è da fare i conti con la complessità dei numerosi dialetti e c'è una certa resistenza fra gli zingari a diffondere i "segreti" della tradizione musicale di cui sono depositari. Ma poi, col tempo, è stato più facile, siamo stati presi in simpatia, e abbiamo potuto raccogliere molte informazioni preziose, abbiamo cominciato la rielaborazione del materiale, e alla fine i nostri stessi amici rom del campo ci hanno fatto i complimenti per le interpretazioni del disco. Il che è davvero confortante". C'è un brano che mi incuriosisce nel vostro disco: "Maruzzella", una storica canzone napoletana, cantata in un dialetto bosniaco - credo - e arrangiata secondo i canoni della tradizione zingara... "Questa è una storia divertente. Un giorno siamo lì che proviamo e Adnan, fra una canzone rom e l'altra, mi dice: senti questa. E attacca Maruzzella nella sua lingua. Io lo guardo stupito e gli chiedo ridendo se sta scherzando. Lui insiste: è una delle canzoni che ho imparato dai rom in Bosnia. Gli spiego che quella è roba napoletanissima e alla fine ci rendiamo conto che chissà quando, qualche decennio fa, una qualche carovana di nomadi passata per Napoli avrà portato con sè, in Bosnia, la melodia di Maruzzella...". Adesso, nel dopo Balkanija, il percorso come prosegue? Le nostre strade per ora si sono divise ma continua il lavoro sulle contaminazioni, ognuno di noi prosegue le sue ricerche e il suo impegno musicale, chi più vicino alla tradizione napoletana chi a quella zingara, avendo sempre in mente la nostra idea di regione musicale: Balkanjia". (Zenone
Sovilla)
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(13
aprile 2000)
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