di
MICHELE BOATO
Negli
anni '80 c'è stata una crescita paurosa dei rifiuti solidi urbani,
in Italia come un po' in tutta Europa: il tasso di aumento è stato
mediamente del 4% annuo, passando da circa 15 milioni di tonnellate del
1980 ai 19 milioni del 1990 (cifre largamente imprecise per almeno metà
delle regioni italiane).
La crescita è continuata
nella prima metà degli anni '90 con un ritmo ancor più sostenuto,
arrivando ai 26 milioni di tonnellate del 1993 che, suddivise tra i 57
milioni di abitanti, davano circa mezza tonnellata di RSU a testa all'anno,
corrispondente a circa un chilo e tre etti al giorno. Questa cifra,
ovviamente, è la media tra i nove etti dell'abitante della Basilicata
e il chilo e mezzo del cittadino di Milano, di Palermo e dell'Emilia Romagna.
La crescita
si è interrotta solo per un anno, il 1994, ma già nel 1995
è ripresa al ritmo del 2%, per continuare negli anni successivi,
anche se a velocità un po' ridotta.
Nel 1999 sono stati prodotti
più di 27 milioni di tonnellate di RSU, che si aggiungono ai circa
61 milioni di tonnellate di "rifiuti speciali" (industriali, agricoli,
edili e del grande commercio).
AL NORD E' PARTITA LA
RACCOLTA DIFFERENZIATA
Contemporaneamente,
nella seconda metà degli anni '90 è finalmente decollata
(ma quasi solo nel nord), la raccolta differenziata: dal misero 3% del
1994, si è passati al 6% del 1995, al 7,2% del 1996, al 9,4% del
1997, all'11,2% del 1998, per approdare quasi al 13% nel 1999.
Il Decreto Ronchi stabiliva
l'obiettivo minimo del 15% per ogni provincia (o ambito sub-provinciale)
entro i primi mesi del '99; invece la gran parte delle province italiane
ne sono rimaste ben al di sotto. Complessivamente in Lombardia è
stato raccolto separatamente il 30,8% dei RSU prodotti e in Veneto il 19,5%.
Delle altre regioni, solo Emilia-Romagna (14,8%), Trentino-Alto Adige (14,7%),
Toscana (13,1%), Friuli-Venezia Giulia (12,7%), Piemonte (11%) e Valle
d'Aosta (10,3%) superano il 10%. Le altre vanno dai desolanti 0,7% della
Calabria, 1% di Sicilia e Sardegna, 1,4% e 1,5% di Molise e Campania, al
2,6% e 2,7% di Abruzzo e Puglia, 3,1% e 4,2% di Basilicata e Lazio, fino
ai 6,3% e 7,5% di Umbria e Marche e 8,4% della Liguria.
NON BASTA RICICLARE, BISOGNA
FARE MENO RIFIUTI
Il risultato
dell'impegno di tante centinaia di Comuni del Centro Nord è, in
estrema sintesi, il passaggio da 1,5 a 3 milioni di tonnellate di rifiuti
raccolte e destinate al riciclo nell'arco dei quattro anni 1995-1999. Di
questi, quasi un milione di tonnellate sono rifiuti umidi, il resto sono
quasi esclusivamente carta e cartoni (1.000.000 di tonnellate) e vetro
(665.000 tonnellate). La plastica supera a malapena le 150.000 tonnellate,
l'alluminio le 10.000, gli altri metalli 124.000 tonnellate, il legno,
i tessuti e poco altro fanno le rimanenti 164.000 tonnellate.
Il problema è che,
nel frattempo, non è stata attuata nessuna politica per la prevenzione
dei rifiuti, cioè per la riduzione della loro produzione, ma solo
per la loro raccolta una volta prodotti; cosÏ i rifiuti hanno continuato
a crescere, anche se, dal '95 al '99 un po' meno della raccolta differenziata.
Quel milione e mezzo in più di tonnellate, raccolte e mandate al
riciclo, sono state in gran parte rimpiazzate dalla contemporanea crescita
di oltre un milione di tonnellate di rifiuti prodotti.
IL CONAI, AMICO DEL RICICLO,
NON AMA IL RIUSO
La nascita e
il primo anno di attività del Conai, Consorzio Nazionale Imballaggi,
è segnato dal successo sul piano delle adesioni (1 milione
trecentomila imprese), dei fondi raccolti (414 miliardi, di cui oltre la
metà dal settore plastiche e un altro quarto dalla carta), dall'avvio
di molti accordi con i comuni, anche in regioni del Centro-Sud, ma anche
dalla sostanziale assenza di una politica di prevenzione.
Il "Piano di prevenzione
e gestione dei rifiuti da imballaggi per il 2000" del Conaidedica una quarantina
di pagine all'"attività di prevenzione", ma in realtà si
limita a fotografare i risparmi sui materiali che le industrie dei vari
settori hanno attuato negli ultimi 10 anni: il 9% delle lattine di alluminio
(più sottili), il 15% delle bottiglie di plastica per bibite, che
passano da una media di 45 grammi a una di 38.
Oppure il Piano sottolinea
che il cartone ondulato che serve per gli imballaggi più grandi
è prodotto per il 90% con carta da macero.
La linea maestra,
quella del riuso degli imballaggi, del "vuoto a rendere", della bottiglia
di vetro o di plastica resistente che viene riutilizzata da 30 a 60 volte
(prima di essere riciclata come materia prima per un altro prodotto); questa
strada è non solo ignorata ma apertamente combattuta da chi ha tutto
l'interesse a produrre e vendere sempre più imballaggi che devono
durare poco e diventare subito rifiuto.
SERVONO INCENTIVI ECONOMICI
ALLA RIDUZIONE
La strada della
riduzione, l'unica che ci può portare fuori dall'emergenza rifiuti,
per essere percorsa ha bisogno di forti leve economiche, come:
1 - Una vera tariffa sui
rifiuti, per cui gli utenti, domestici e non, pagano in base alla quantità/volume
dei rifiuti prodotti; per applicarla, come già si fa in molti comuni
del Nord, occorre la raccolta porta a porta, in cui si pagano i sacchetti
o il numero degli svuotamenti del contenitore familiare.
2 - Una eco-tassa per lo
scarico in discarica dei Comuni, che si riduca proporzionalmente alla riduzione
della quantità media per abitante scaricata, come si fa in alcuni
Consorzi del Veneto; questo vuol dire non premiare tanto chi raccoglie
di più in maniera differenziata (che è la base del decreto
Ronchi), ma chi produce meno rifiuti.
In base a questo
principio va segnalato di più il Comune che manda in discarica uno-due
etti di rifiuti per abitante, piuttosto che quello che ne raccoglie in
maniera differenziata molta ma manda in discarica 5-6 etti per abitante.
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Michele
Boato
è
direttore dell'Ecoistituto
del
Veneto
(tel.
041935666)
e
coordina
il
Forum risorse rifiuti nazionale.
Questo
articolo
è
uscito
sull'ultimo
numero
della
rivista Gaia
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