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L'inferno della pedofilia
Cause, effetti e prevenzione di un fenomeno devastante: l'analisi di una psicoterapeuta
 

di CLOTILDE MASINA BURAGGI

    Qual è la reale  portata del fenomeno pedofilia nel nostro paese? Come si diventa pedofili? Cosa può fare la società per difendere i nostri piccoli? L’emersione di un traffico di immagini di bambini abusati sessualmente o peggio, i documenti trasmessi dalla televisione e una pluralità di articoli sui giornali hanno scatenato un’ondata di angoscia sull’opinione pubblica italiana. Poiché l’angoscia è una pessima consigliera, mi sembra importante cercare di fare chiarezza su questo fenomeno. Per me psicoterapeuta, poi, come per tanti miei colleghi, le cifre corrispondono spesso a volti di persone abusate di cui abbiamo conosciuto e conosciamo l’indicibile sofferenza. 
E anche questo dolore mi spinge a partecipare le mie riflessioni.

Le statistiche

   Cominciamo dalle cifre, con l’avvertenza che esse costituiscono la punta esigua di un iceberg certamente di dimensioni assai più ampie. Il primo “Rapporto nazionale sulla condizione dell’infanzia e della preadolescenza” pubblicato da Eurispes-Telefono Azzurro il 27 ottobre scorso e commentato con grande evidenza dai  quotidiani il giorno seguente riferisce che  le segnalazioni di abusi sessuali fatte al Telefono Azzurro, direttamente da minori o da persone che si dicono a conoscenza di fatti criminosi, tra il giugno 1999 e il luglio 2000 sarebbero state 423, quindi un po’ più di una al giorno. Dal canto suo la Sezione minori della Criminalpol-Ministero della Giustizia riferisce che le vittime di violenze sessuali nei primi sette  mesi del 1999 sarebbero state 339 e 294 le persone denunciate; nello stesso periodo del 2000, si conterebbero 284 vittime e 243 sono stati i denunciati. L’80 per cento tanto delle vittime che degli abusanti sarebbero cittadini italiani.

   La discrepanza fra i dati che abbiamo elencato ha un’ovvia spiegazione: è chiaro che la polizia è in grado di reprimere reati compiuti su minori assai più di quanto i bambini abusati e gli “esterni” alle loro famiglie siano in grado di accedere al Telefono Azzurro. Come abbiamo visto dai dati resi noti dalla Criminalpol, nei primi sette mesi dell’anno in corso il numero complessivo delle vittime di violenze sessuali sarebbe diminuito (da 339 a 284), ma sarebbe grandemente aumentato (sempre rispetto all’anno scorso) in Calabria, in Lombardia e nelle Puglie. Non è facile identificare le motivazioni del calo sul territorio nazionale e dell’aumento in certe regioni. Possono essere molteplici: dipendere, per esempio, da una maggiore o minore diffusione della notizia dell’esistenza del Telefono Azzurro e dalla maggiore o minore iniziativa delle autorità pubbliche e delle strutture sociali.

  E’ interessante rilevare che i quotidiani hanno spesso enfatizzato le risultanze dei rapporti sulla pedofilia, anche confondendo, in non pochi  casi, tra abuso sessuale e abuso di altro tipo (maltrattamenti, non accudimento ecc.). Questo è apparso particolarmente evidente nei titoli, che, come è noto, non sono fatti dall’estensore dell’articolo e sono spesso estremizzati per suscitare l’interesse del pubblico.  
   Lo dico non certo per diminuire la portata del fenomeno ma per sottolineare un’esigenza di serietà di fronte a un argomento tanto complesso e drammatico Non sempre i media, purtroppo, fanno  un serio  lavoro di denuncia e di documentazione. Riguardo alla pedofilia, mi pare  che, almeno a livello di opinione pubblica, siano stati prodotti molto panico e molta indignazione, che hanno trovato scarico in una voglia diffusa di linciaggio e di pena di morte, più che in un reale desiderio di conoscere il fenomeno, per essere in grado di proteggere i bambini; e di proteggerli in nome di un dovere della collettività, che ha anche l’obbligo morale di denunciare una violenza  che avviene all’interno di un’altra famiglia quando se ne abbia conoscenza. Purtroppo in questa società che consuma tutto in fretta, che ricorda poco, ci si interessa dei fenomeni quando se ne parla nei titoli di testa dei quotidiani, o sono in  prima posizione nei telegiornali, poi perdono di interesse. 

   Come ha scritto Umberto Galimberti su “La Repubblica” (30 settembre), dopo le trasmissioni televisive sfuggite al controllo dei direttori: “Il Grande Silenzio (o il Grande Rumore, peggiore del silenzio) sono ripiombati sulla pedofilia”.
Tuttavia, mi pare di poter aggiungere che se anche c’è una apparente perdita di interesse quando i media non sottolineano più il problema, l’angoscia suscitata da certe notizie rimane dentro in modo perturbante, soprattutto in chi ha dei bambini. Ciò può generare atteggiamenti non equilibrati di paura e di diffidenza, esprimendosi magari nei confronti di ogni nuova  possibile conoscenza da parte dei bambini, e rinchiudendo i piccoli nella cerchia esclusiva della famiglia, con la conseguenza di impedire loro la  relazionalità indispensabile allo sviluppo. O, anche, generare nei genitori e nei nonni, un eccesso  di ansia, che, paradossalmente, può  portare a negare il fenomeno, e può inibire una ponderata  e oculata protezione, sempre necessaria nei confronti dei minori.

Che cos’è la pedofilia?

   La parola “pedofilia” è spesso male interpretata.
Secondo il “Grande dizionario della lingua italiana” (Utet), “La pedofilia è una deviazione sessuale in cui si manifesta un interesse erotico per fanciulli impuberi maschi o femmine, talora limitato al desiderio o al tentativo di seduzione, oppure unito a esibizionismo, a sadismo, a feticismo”.
  Ho sottolineato la parola “impuberi”: il pedofilo ha interesse per bambini che non sono ancora arrivati alla pubertà; ciò non esclude, tuttavia, che, per esempio nella famiglia, il comportamento pervertito non continui nei confronti di bambini divenuti adolescenti. 
   “Pedofilia” non è sinonimo di pederastia o di omosessualità. “Pederastia” significa avere rapporti sessuali con ragazzi. Tale  termine, ora in disuso, veniva usato di solito  nella letteratura italiana con un significato spregiativo, indicando il rapporto erotico fra una adulto e un adolescente.
  Mentre la parola “pederastia” ha quindi un significato ben preciso, la parola “pedofilia” indica una serie di comportamenti che l’adulto ha, o richiede, nei confronti del bambino, usandolo ed eccitandolo per eccitarsi sessualmente: qualche  volta pedofili, gravemente turbati psichicamente, non si limitano a carezze, masturbazione o fellatio ma arrivano persino a pretendere di penetrare  il bambino, con conseguenze sempre gravi e talvolta mortali, date le differenze anatomiche. 

   Qualcuno sostiene che nel mondo greco la pedofilia era accettata. Non era così: alcuni greci maschi adulti usavano avere rapporti sessuali con fanciulli puberi e  in quella cultura  ciò  aveva un significato iniziatico. Tuttavia, perché questi rapporti fossero instaurati, era necessario il permesso del padre. Quando il ragazzo diveniva adulto, tali rapporti dovevano cessare perché l’omosessualità tra adulti non era consentita.
Nella mitologia greca si legge che Laio, il padre di Edipo, fu il primo pederasta: rubò il fanciullo Crisippo contro il volere del padre Pelope. Pelope maledisse Laio, (da qui deriverebbero tutte le tragedie degli Atridi), non perché Laio avesse compiuto un’azione secondo un impulso pervertito, ma perché,  invece di corteggiare  Crisippo, lo aveva  condotto via con sè con violenza, dimostrando nel suo comportamento “ubris” (eccesso, arroganza): e,  per i greci l’incapacità di moderazione e di controllo era considerato un crimine.

Pedofilia e incesto

   Quando la  pedofilia  è  anche incesto, le conseguenze della violenza sul bambino sono particolarmente devastanti. Le statistiche rivelano che i pedofili appartengono per  lo più alla cerchia intima del bambino. Spesso sono parenti stretti, come il padre, la madre o entrambi i genitori, nonni, zii, fratelli maggiori: quindi persone in cui il bambino aveva riposto la propria totale fiducia e che lo hanno tradito, invece di fornirgli uno scudo protettivo. Il padre, e la madre che sa e tace, (nel 20% del campione  esaminato dal rapporto Eurispes la situazione di disagio è nota a  uno o due persone del gruppo familiare o a conoscenti che tacciono), e che magari disconferma le confidenze del bambino aumentando la sua disperazione, spesso sono stati anche loro abusati fisicamente durante l’infanzia: con una tremenda trasmissione generazionale “amano” la loro prole, nel modo in cui loro stessi sono stati “amati”; qualche volta convinti che la sessualità sia il modo migliore per esprimere amore e interesse.
   Dal rapporto Eurispes risulta che il 66 per cento degli abusi sessuali si compiono in famiglia: ne sono responsabili il padre nel 35,8 % dei casi, la madre (30,8 %), fratello/sorella (2%), altri parenti (4,8%,) convivente con madre/padre (2,1%), amici/conoscenti (8,0%), inse-gnante (4,4%), estraneo (3,7) %. (Particolarmente raccappricciante la percentuale relativa alle madri!).
Tra i bambini abusati sotto i dieci anni il 44,7 % è maschio e il 42,6 % è femmina. 

La terapia dell’abusato

   Chi ha il compito di recuperare  queste vittime abusate dai componenti della famiglia si trova in una situazione molto ardua per le difficoltà terapeutiche che presentano tali interventi.  Per  liberare il bambino dal trauma, occorre fare un difficile lavoro, innanzitutto per far tornare alla memoria gli episodi particolarmente traumatici che egli  ha “dimenticato” (rimosso) o che nega per non incolpare l’adulto abusante da cui teme di essere punito. Occorre aiutare il paziente a convincersi che il fatto appartiene al passato, che ora egli è abbastanza forte da potersi difendere e che ci sono persone in grado di proteggerlo; se l’abuso è stato commesso da un genitore, occorre poi individuare gli aspetti perversi dell’abusante, ma nello stesso tempo, circoscrivendoli, recuperare quanto più è possibile il genitore nei suoi aspetti positivi per ricostruire, se si può, almeno parzialmente, quel buon genitore interiorizzato, da cui dipende l’equilibrio psichico di ogni individuo.

E’ in aumento la pedofilia?

   La pedofilia di cui si parla tanto nei media fa ritenere ad alcuni che essa sia in aumento rispetto al passato. Ciò è impossibile da  verificare: personalmente ho qualche dubbio in proposito, ritenendo probabile che l’aumento delle segnalazioni e delle denunzie non corrisponda a un reale aumento della pedofilia. L’aumento delle segnalazioni, come è scritto nel rapporto Eurispes-Telefono Azzurro, potrebbe evidenziare, da una parte, una maggiore “capacità degli adulti nel riconoscere situazioni di disagio e nell’individuare i problemi, ossia nell’interpretare esplicite situazioni come a rischio o comunque che necessitano di un intervento; dall’altra, una consapevolezza maggiore, sempre negli adulti, nel sapere che esiste Telefono Azzurro come linea d’ascolto per l’intervento nelle situazioni di disagio e di abuso”.

   L’accresciuta attenzione data alla pedofilia, mi pare inoltre strettamente connessa con un nuovo modo di considerare l’infanzia dopo Freud, grazie alle conoscenze che sono state approfondite attraverso il lavoro psicoanalitico. Prima di Freud, si riteneva che il piccolo, almeno nei suoi primi anni di vita, non fosse ancora in grado di capire, quindi di sperimentare, l’amore, il lutto per la perdita di una persona cara, che non avesse una sessualità e che non fosse ancora capace di vedere e di sentire e di ricordare.  Si pensava che stimolare per gioco i genitali di un lattante, eccitandolo per il divertimento degli adulti, fosse cosa innocente, e  non ci si preoccupava di vivere un rapporto sessuale di fronte a un bambino di pochi anni che dormisse nella camera dei genitori: “tanto lui non capisce”.
   Questa negazione della sensibilità del bambino era così diffusa che le antiche fonti rabbiniche, che pure vietavano l’omosessualità (in ossequio a Levitico 20,13) non trattavano la pedofilia con la stessa severità se esercitata su bambini minori di 9 anni! (cfr. “Dizionario di sessologia,” a cura di Money J. e Musaph H., Borla editore, Roma, 1978, pag.1669).

La protezione del bambino 

   La psiche del bambino in questo secolo ha cambiato di importanza. Stiamo comprendendo che ciò che il bambino sperimenta sin dalla nascita, (alcuni di noi pensano: già negli ultimi mesi della vita fetale), rimarrà indelebilmente inscritto nella sua memoria con enormi conseguenze per tutto il resto della vita. E’ perciò che si è andato sempre più approfondendo lo studio sulle condizioni necessarie perché il bambino abbia un buono sviluppo psicologico.
Affinché il bambino possa crescere fisicamente e psichicamente in modo  “normale”, è necessario che,  soprattutto nei primi tempi della sua vita,  egli possa stare in un suo spazio tranquillo (per es. la culla), protetto dalle cure parentali, in modo da potersi affacciare spontaneamente verso l’ambiente man mano che,  parallelamente allo sviluppo fisico, la sua struttura psichica si fortifica. E’  tale  struttura che lo metterà poi in grado di accettare la pressione degli stimoli esterni. Se invece la pressione ambientale è eccessiva, cioè traumatica, essa spingerà  il piccolo a ritirarsi in un isolamento psichico. Se è costretto a sottomettersi alle richieste di un ambiente esterno che non tiene conto della sua fragilità, il piccolo scinderà la sua personalità in un falso Sè (una specie di maschera), che si adatta sottomettendosi, e in un vero Sè segreto (il vero nucleo della sua psiche), che però non ha più la forza per essere la componente principale della personalità e per poter favorire un buon adattamento nei confronti della realtà. A seconda della imponenza dell’urto ambientale, il bambino si svilupperà con patologie più o meno gravi.

   Questo schema, elaborato dal famoso psicoanalista inglese D.W. Winnicott, apparentemente così semplice, ma tanto profondo, ci aiuta a capire cosa sia la   pedofilia. Il bambino, per crescere equilibrato, ha necessità, come abbiamo detto, di qualcuno che lo protegga  da ogni stimolo esterno eccessivo, e che, se è tale,  costituisce un trauma per lui:  per es., i litigi dei genitori in sua presenza, la visione di  spettacoli televisivi troppo violenti o troppo erotici. Il bambino ha una sessualità che  va rispettata nei suoi tempi di maturazione e che non può essere forzata prematuramente: sarebbe come mettere su un cavallo brado un cavaliere principiante. Una eccitazione seduttiva che il bambino non è in grado di contenere, è sentita come una violenza, la violenza distrugge la psiche.

   Inoltre il bambino ha bisogno di genitori che sappiano rispondere empaticamente (intuitivamente) ai suoi bisogni che egli stesso, se ben allevato, imparerà presto a manifestare, collaborando con loro. Il bambino non può essere un oggetto d’uso che risponde ai desideri non realizzati  dai genitori nella propria infanzia.
Un altro concetto messo in luce dall’esperienza psicoanalitica, necessario per comprendere il fenomeno della pedofilia, è quello relativo ai meccanismi difensivi di base della psiche (introiezione e proiezione). Provo a spiegarmi con un esempio: pensiamo alla respirazione. Noi inspiriamo l’aria di cui tratteniamo l’ossigeno ed espiriamo l’anidride carbonica. L’ossigeno rimane nel sangue, alimentando le cellule e, nei primi tempi della vita, le cellule, proliferando, costruiscono gli organi. La psiche funziona più o meno nello stesso modo. Le cure della buona madre insieme al padre vengono introiettate (messe dentro) nel bambino, e rimangono nel bambino formando nel suo interno immagini  di madre buona e di padre buono: gli psicologi definiscono tali immagini “oggetto interno” o  “interiorizzato”. Queste introiezioni costituiscono gli organi della struttura psichica. Le sofferenze, invece, inflitte al bambino attivamente o  derivate da carenze di accudimento, e da ogni altro tipo di angoscia, generano aggressività.  Il bambino cerca allora di liberarsi di questa aggressività, buttandola fuori, proiettandola all’esterno. Il compito della buona madre, ma anche del padre, dovrebbe essere quello di accogliere tali proiezioni e, come dice W. Bion, “disintossicarle” e restituirle al bambino.
Quando però le sofferenze sono eccessive, il bambino non riesce a proiettarle del tutto fuori e a dimenticarle. O, peggio, le proiezioni non accolte  e non  disintossicate dai genitori, e dunque non  trasformate, ritornano indietro come un boomerang, e, divenute ancora più persecutorie, vengono reintroiettate rimodellando negativamente l’immagine interna della madre o del padre (oggetto interiorizzato), che viene sentita come minacciosa e di cui il bambino può avere paura fino al punto di temere di esserne divorato. Allora, come una nave  in un naufragio, se può, isola con le paratie una parte del suo scafo salvandolo dall’irruzione dell’acqua, così, quando le cure parentali mancano gravemente,  il bambino cerca di salvare, scindendola, almeno una parte della sua personalità e almeno una parte dell’oggetto d’amore primario, interiorizzato (madre e padre). Inoltre quando le sofferenze sono troppo grandi manca quella componente d’amore (libidica) necessaria, a legare, come dicono gli psicologi, l’aggressività con la libido, cioè a mitigare la scarica di entrambe queste componenti fondendole insieme.

Chi è il pedofilo

    Il pedofilo è di solito un individuo che nella prima infanzia, è stato gravemente deprivato delle risposte ai suoi bisogni. Ha perso prematuramente il rapporto con il seno materno (per abbandono, ospedalizzazione della madre ecc.). E’ vissuto in un ambiente degradato fisicamente e/o psichicamente o in un ambiente borghese altamente patologico in cui è stato traumatizzato e/o abusato fisicamente. Dal punto di vista psichico, lo sviluppo del pedofilo si è arrestato prima dell’emergere del complesso edipico (prima dei tre anni). Il pedofilo avrebbe un enorme bisogno di amore che lo aiutasse a costruire o a riparare la sua struttura psichica difettosa ma non sa come procurarselo, temendo sempre di ritrovarsi nuovamente rifiutato. Il  pedofilo, che per lo più è un maschio, nella sua infanzia ha avuto genitori non adeguati: un padre  generalmente poco presente e una  madre che all’assenza di cure ha aggiunto talvolta un bisogno seduttivo simbiotico nei confronti del bambino, dal quale egli si è sentito intrappolato, sfruttato, risucchiato, annientato. Per tale ragione il pedofilo non ha potuto percorrere le normali tappe separative dalla madre e  quindi odia le donne e teme un rapporto sessuale con loro. Le sue distorsioni di sviluppo hanno avuto come conseguenza una mancanza di stima per se stesso e una scarsa considerazione del suo corpo. I suoi problemi accentrati sulla sfera sessuale gli fanno sentire i suoi genitali inadeguati e minacciati di castrazione. Tale sensazione si rovescia talvolta in bisogni esibizionistici improvvisi attraverso i quali cerca di essere rassicurato sulla dimensione e virilità del proprio membro che espone agli altri per essere ammirato.

   Il pedofilo ha una capacità limitata di usare la fantasia riguardo alla sessualità, non conosce le varie sfumature con cui si può esprimere la sessualità tra esseri umani, perché ha conosciuto solo una sessualità bruta agita sul suo corpo. Non ha imparato a scaricare con la fantasia la propria eccitazione. Inoltre essendo stato abusato e traumatizzato da bambino, non ha costruito un Super-Io (la voce della coscienza) in grado di moderare i suoi impulsi.  Il suo Super-Io, che dovrebbe tenere a bada il suo comportamento, è “corrotto” come quello dei genitori che sono stati il suo modello. Questa “corruzione” della sua coscienza può arrivare persino a non renderlo consapevole di quello che sta facendo quando compie atti considerati da noi ignominiosi. I genitori che non hanno preso in considerazione i suoi bisogni non gli hanno insegnato a prendere in considerazione i bisogni dell’altro. Il pedofilo manca quindi anche di una esperienza empatica che gli consenta di essere capace di mettersi nei panni degli altri, intuendo ciò che sente l’altro.

   Il pedofilo ha una personalità instabile ed è soggetto a impulsi aggressivi e libidici che lo tormentano e che lo minacciano. Si sente sempre sull’orlo di una disintegrazione (psicosi) e attraverso l’”amore” del bambino che egli abusa cerca di evitare tale minaccia. Il pedofilo ha un radar particolare per riconoscere  bambini  soli e bisognosi d’amore in cui rivede se stesso bambino e in cui si identifica, con quella che un illustre psicoanalista, O. Fenichel, ha definito “una identificazione alla rovescia”: non io sono lui ma lui è me. Nei confronti di tali bambini usa le arti seduttive che ben conosce. Quando abusa  di un bambino, la sua personalità si scinde. Egli nega a se stesso la sua aggressività e quella con la quale lo hanno ferito i suoi genitori; e, assumendo una personalità diversa da quella che ha abitualmente, attraverso un complesso meccanismo psichico, proietta sul bambino la propria parte bisognosa infantile deprivata a cui cerca di dare amore e interessamento attraverso gesti sessuali. Ma sul bambino egli proietta anche l’immagine del genitore da cui si attende ancora quell’amore che non ha avuto a suo tempo. Quando riesce a stringere il bambino nel suo laccio egli sente di avere in suo possesso il genitore. Un genitore che  non può sfuggirgli, che non può rifiutarlo, che farà tutto quello che lui vuole e gli darà tutta la dolcezza, sensuale, di contatto fisico, che non ha mai avuto. Che lo  farà obbligato dalla costrizione, se è necessario, perché ora il pedofilo sa  di essere il più forte, ora ha potere, può anche immobilizzarlo.

   Nella pedofilia vanno distinti gli abusi continuati ricoperti da un patto di segretezza e di ricatto, che avvengono generalmente all’interno della famiglia, dalle aggressioni a bambini esterni alla famiglia, di cui magari si è amici, o a bambini  sconosciuti o incontrati solo casualmente. Anche se tali aggressioni sono statisticamente più rare,  sono quelle che fanno più scalpore, perché spesso portano anche all’omicidio della vittima. In questi casi la sequenza che ho descritto sopra continua in modo tragico. Quando il bambino che viene immobilizzato urla  e si divincola  e vuole sfuggire, il pedofilo che è anche, di solito,  un feticista, si accorge che il bambino non può essere usato come un feticcio, ossia come un oggetto di proiezione che sta fermo, inanimato, immobile al suo volere. Il movimento del bambino rende impossibile al pedofilo la scissione e la negazione della parte aggressiva sua e dell’oggetto interiorizzato. Il bambino ridiventa la cattiva madre che lo rifiuta e lui si sente di nuovo sopraffatto da quella terribile aggressività che abita dentro di lui  sin dalla infanzia  e  che  egli voleva sedare attraverso le sensazioni calmanti, che pensava che il bambino potesse procurargli: e così lo uccide.

  I vari autori che hanno studiato il fenomeno dell’abuso sessuale usano parole tremende, e forse sempre ancora inadeguate per indicare le conseguenze psichiche che lasciano gli abusi nelle persone che hanno subito violenza da bambini: feriti nell’anima, uccisi nell’anima, distorti nell’identità, adattati masochisticamente.
Noi terapeuti che lavoriamo privatamente abbiamo in cura, spesso, pazienti abusati da bambini, che sono più frequenti di quello che si pensi, e più raramente pazienti con tendenze pedofiiliche non agite; e conosciamo le difficoltà di recupero per entrambi i casi. Non abbiamo in cura, invece, che io sappia, pazienti che agiscono la loro pedofilia o pazienti arrestati  per tale reato. Perciò alcune delle nozioni  esposte sopra le ho ricavate dagli  scritti di psicoanalisti americani o inglesi che si sono occupati di tale problema, in istituzioni ad hoc o lavorando nelle carceri.

Rifuggire dai luoghi comuni

  Che cosa può dire uno psicoterapeuta  su tale problema? Innanzitutto che di fronte a un argomento  così serio e così difficile non si può parlare per luoghi comuni. 
Un primo luogo comune è quello di confondere la pedofilia con l’omosessualità. Come ho detto sopra, il pedofilo cerca  nel bambino un altro sè stesso, quindi il bambino può essere dello stesso sesso ma questo non avviene sempre: tutt’altro, com’è evidente dalla frequenza dell’incesto padre-figlia. La stragrande maggioranza degli omosessuali, dunque, non è pedofila più di quanto lo siano gli etero-sessuali.
Secondo. Non esiste, come qualcuno pretende, una pedofilia “buona” da distinguere da quella cattiva. Anche la “tenerezza”,  quando supera una determinata soglia oltre la quale comincia l’eccitazione dell’adulto e del bambino, soglia che ogni adulto equilibrato ben conosce, è di fatto una violenza perché, come ho scritto sopra, il bambino non ha ancora un apparato  psichico abbastanza maturo da contenere quel tipo di eccitazione.
Terzo. Il pedofilo è una persona gravemente patologica e come tale va trattata: come per il drogato, l’aumento della pena non costituisce un deterrente.
Non mi riferisco, naturalmente, a quell’arcipelago di persone che  si arricchisce sfruttando la perversione dei pedofili: che usa  Internet per smerciare film o cassette e che, nei  casi-limite, sequestra, compra,  violenta, uccide bambini  allo scopo di trarre lucro da tali attività. Mi sembra che chi specula in tale modo appartenga a una categoria di criminali che possono essere pedofili, ma non necessariamente,  e che sono spinti verso l’atto criminoso più che da motivazioni emozionali da smania di guadagno economico; come è il caso dei grandi spacciatori di droga  che spesso non sono loro stessi drogati. Per tale categoria di individui sono necessarie pene severe, del resto già previste dalla nostra legge.

La prevenzione

   Per quanto riguarda la prevenzione, lo psicologo può solo caldeggiare che le istituzioni tengano presente il problema, non episodicamente, e che siano portate avanti leggi già presentate in Parlamento, come quella che prevede l’allontanamento dal domicilio del bambino del genitore o familiare violento e leggi che potenzino corsi di aggiornamento per genitori, insegnanti, formatori;  e  che, infine, aumentino il numero di servizi sociali adeguati in tutto il territorio italiano, senza dimenticare, come spesso avviene, alcune zone geografiche o sociali. 
Sottolineando, come ho scritto sopra, che chi abusa è stato, quasi sempre, lui stesso abusato o gravemente maltrattato, ritengo che il luogo principale dove si può fare prevenzione è la scuola, soprattutto quella degli ordini inferiori. 

   Come ha scritto Ernesto Caffo, meritorio presidente di Telefono Azzurro, uno degli interventi più utili è quello di sensibilizzare gli insegnanti a riconoscere i segni dell’abuso nei loro piccoli allievi. Ciò eviterà che  il bambino da adulto diventi egli stesso un pedofilo e salverà molti bambini dall’inferno interno che si chiama pedofilia. Senza indicare quali possono essere i segni di un abuso sessuale, per non creare allarmismi, (i segni vanno comunque letti e discriminati perché possono essere anche derivati da altre cause), mi sembra di poter dire che ogni maestro/a deve stare all’erta su questo problema, senza allontanare da sè i propri dubbi, magari perché il bambino appartiene a una classe sociale elevata e sembra ben accudito. Un buon insegnante può entrare in contatto profondo con il suo alunno e ha tanti mezzi per poterne conoscere la realtà interna. Anche alla scuola materna, quando il bambino non sa ancora scrivere,  l’insegnante può capire dai disegni e dai giochi proiettivi il disagio di un bambino. I maestri, naturalmente, dovreb-bero avere dei corsi di aggiornamento su questo problema specifico; e, cosa particolarmente importante, dovrebbero poter contare sull’appoggio di capi di istituto sensibilizzati in grado di aiutarli ad affrontare casi tanto delicati. 
L’insegnante ha ( o avrebbe) bisogno di sapere che ci sono a sua disposizione persone esperte con  cui può verificare i suoi sospetti e i suoi dubbi, per avere dei consigli, prima di procedere alla denuncia. Se anche un insegnante intuisce che ci sia un abuso, non può esserne immediatamente certo, e anche se lo è, deve superare alcune legittime difficoltà interiori, come la perplessità sul diritto di entrare nei fatti privati di altre persone, magari conosciute come vendicative, la paura di essere accusato di diffamazione o la paura di fare ulterio-re male al bambino. (Il rapporto Eurispes conferma tali difficoltà: infatti il rapporto dice  che non sempre l’adulto che telefona segnalando un abuso fornisce  le indicazioni necessarie per un intervento delle autorità competenti.) Inoltre l’insegnante  ha bisogno di sapere che ci sono istituzioni in grado di adottare soluzioni ponderate  per i casi che egli segnala e deve avere fiducia in tali istituzioni. Non è, ancora la situazione italiana: oggi capita spesso (e purtroppo ciò è più frequente nelle regioni più prive di servizi sociali) che gli insegnanti sappiano ma non sappiano come gestire quello che sanno.
Da questo puto di vista, la responsabilità è di tutti i cittadini che devono rendersi protagonisti di progresso, nelle molte forme loro possibili.
 


o Riceviamo e pubblichiamo questa
riflessione della psicoterapeuta Clotilde Masina Buraggi, che ringraziamo,  sul fenomeno della pedofilia e sulle possibilità di contrastarlo
e prevenirlo.
 
 
 

(1novembre 2000)

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