di
FABIO GALLUCCIO
Le fotografie dei campi di internamento italiani durante
il fascismo, nell’intervento di Carlo Spartaco Capogreco, Presidente della
Fondazione Ferramonti, si susseguono una dopo l’altra in un ritmo quasi
ossessivo.
“L’Italia”, secondo la giusta
puntualizzazione di Capogreco, “avrebbe meritato un processo di Norimberga
per crimini di guerra, soprattutto per quanto avvenuto nei campi italiani
in Jugoslavia”. Nel campo dell’isola di Arbe i cadaveri venivano messi
due o tre nella stessa bara. In quel campo il cimitero fu costruito contestualmente
alla sezione per gli slavi e per gli ebrei (i morti ammontarono ad
Arbe attorno a 4000). Ma la storia dei 15 campi in Jugoslavia e dei 9 in
Albania è ancora tutta da scrivere. Come in parte anche di quelli
in territorio italiano, di cui nessuno dei relatori ha fornito un numero
quanto meno attendibile. Perché destinato ad aumentare. Come peraltro
lo stesso relatore francese, Claude Eggers, ha evidenziato per Vichy, dove
la carta geografica, mostrata al pubblico, era talmente affollata dai campi
da avere difficoltà a distinguere i nomi.
Differenti per
l’Italia, ma anche per la Francia, la tipologia dei campi per rigore e
modalità di internamento Ma tutti accomunati dalla necessità
di mettere al bando gli slavi, gli zingari, gli ebrei soprattutto stranieri,
gli antifascisti, i cittadini nemici, insomma gli INDESIDERABILI. E a queste
“categorie” se ne aggiunge un’altra ancora meno studiata dagli storici:
gli omosessuali. Come ha raccontato Gianfranco Goretti , la sua ricostruzione
ancora molto parziale, anche temporalmente (dal ‘38 al ‘43), è
riuscita a rilevare l’internamento o il confino di circa 300 omosessuali,
per la maggior parte nell’isola di San Domino, una delle isole Tremiti.
Molti relatori hanno denunciato
l’incuria, i ritardi, l’indifferenza nei confronti dei luoghi della memoria
che rischiano in quasi tutte le regioni italiani la scomparsa di quel poco
che è ancora rimasto. Da Fossoli a Ferramonti, già più
tutelati dalle rispettive Fondazioni, a “Le Fraschette” ad Alatri, a Renicci
ad Anghiari. A Renicci, addirittura, dopo la pubblicazione di alcuni libri
e foto sul campo, sono state abbattute alcune baracche, tra le poche rimaste
in piedi, o ridipinte per camuffarle. A Ventotene, dove furono imprigionati
molti antifascisti che scrissero il Manifesto della futura democrazia
italiana, stanno per abbattere la struttura in cui furono incarcerati molti
perseguitati politici, per farne probabilmente un grande albergo.
“Una storia dimenticata”
– ha detto Simonetta Carolini - “volutamente dimenticata, dove la memoria
è stata stracciata e di cui non esiste stranamente nessuna diaristica”.
E ancora oggi,
nonostante la storia passata, soprattutto in questo momento politico, gli
indiserabili “pesano” a molti cosiddetti democratici, in una democrazia
che non ha saputo esaltare le differenze, pur tutelate e riconosciute dalla
nostra Costituzione, fulcro essenziale di ogni libertà.
Tra gli interventi del pubblico,
un ferroviere veronese a riposo ha ricordato con commozione di essere stato
costretto dai nazifascisti a predisporre e a condurre il treno che portava
gli internati di Fossoli verso Verona, centro di smistamento ferroviario
verso i campi di sterminio tedeschi.. Inoltre un internato in un
campo tedesco ha sottolineato come molti criminali nazisti furono “ospitati”
nel dopoguerra in alcuni alberghi del Trentino in attesa di partire verso
il Sud America dai porti di Genova, La Spezia e Livorno, per sfuggire alla
cattura.
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Pubblichiamo
un resoconto sul convegno
Il
tempo degli indesiderabili.
L’internamento
dei civili negli anni quaranta: i campi della Repubblica di Vichy e dell’Italia
fascista.
Il
convegno è stato organizzato a Verona nei giorni 23 e 24 marzo dall’Università
di Verona, dall’Istituto veronese per la storia della Resistenza e dell’età
contemporanea e dalla Società Letteraria di Verona
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marzo 2001)
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