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Italia, nei brutti giornali
cresce il fordismo
Giornalisti incollati alle scrivanie,
direttori manager, editori inaffidabili, pubblicità dilagante
- il giornale ormai è quella cosa che vien data in omaggio con le videocassette; - il giornalista è sempre più un deskista e sempre meno un cronista; - il direttore è sempre più un manager e sempre meno un giornalista; - l'editore è sempre più un imprenditore d'altro e sempre meno un editore; - i contenuti pubblicitari (anche mascherati) prevalgono su tutto; - le tecnologie vengono utilizzate non per allargare, ma per centralizzare e fordizzare il prodotto; - l'editore chiede sempre meno giornalismo e sempre più marketing; - il prodotto finale è quindi vecchio, grasso e ridondante; - e alla fine, il giornale NUN SE VENDE e l'editore chiede aiuto ai politici. * * * In questo quadro,
noi giornalisti contiamo come il settebello a briscola. La crisi dei giornali
italiani nasce esattamente dalla sempre minor presenza di cultura giornalistica
nella gestione non dell'articolo o della pagina, ma del prodotto e, in
definitiva, dell'azienda-giornale. O Pavarotti o Fantozzi: il ruolo del
giornalista oggi, alla fine, non sfugge a una di queste due categorie.
Entrambe sostanzialmente senza potere. Sì, è vero, Fantozzi
ha la quattordicesima e Pavarotti dà del tu al ministro: ma sostanzialmente
nessuno dei due conta niente.
Il nostro compito
di «giornalisti», qui ed ora, è dunque semplicemente
quello di riaffermare noi stessi nell'esercizio del nostro mestiere; di
difenderlo contro noi stessi - contro i privilegi e i lustrini che possono
farcelo dimenticare - e contro i poteri forti, che proprio in questi mesi
si vanno ricreando. Nel mondo «nuovo», sempre più monolitico
e sempre più «imprenditoriale» che s'avanza, non c'è
posto per imprinting umanistici nelle professioni: il medico, l'architetto,
il giornalista, la prostituta, il prete possono ambire al mero status di
tecnici - del corpo, della casa, dell'anima, del sesso, dell'informazione
- ma senza che la complessiva cultura dei poteri forti, il loro monopolio
del consenso, ne sia minimamente disturbata. E questa è la situazione.
E' l'ultima, dobbiamo saperlo; e quindi dev'essere fatta in fretta, e col massimo della determinazione. Per prima cosa, non dobbiamo difendere semplicemente, e principalmente, noi stessi; dobbiamo difendere il lettore. Il telespettatore, il target, la massa consumatrice, l'imbecille da fottere col gadget: questo essere che gli esperti del management hanno da tempo incasellato nelle loro categorie, per noi è ancora, del tutto fuori moda, il Signor Lettore. Come Ordine dei Giornalisti, dobbiamo proporre pubblicamente dei rigidi meccanismi di difesa, che lo proteggano - e dobbiamo essere noi a proteggerlo - dalle prepotenze e dagl'imbrogli. Senza di che, egli continuerà a leggere libri, ma non giornali. In secondo luogo, dobbiamo andare professionalmente avanti. Dobbiamo essere noi a contestare l'attuale obsoleto modello di giornale, noi a esplorare il nuovo. Se fossimo nell'Ottocento, direi che dovremmo essere noi a scoprire l'uso del telegrafo e a imporlo agli editori (creando così, fra l'altro, la figura dell'inviato speciale). Oggi noi dobbiamo imparare a gestire le tecnologie prima del padrone, meglio del padrone, alla faccia del padrone. Non ripetiamo l'errore dei tempi in cui arrivarono in redazione i primi computer, che noi non abbiamo visto e il padrone sì: perché è quello che paghiamo oggi. * * * L'Ordine dei Giornalisti potrà dunque chiedere di essere considerato per legge unico responsabile, direttamente e in prima persona, di due terreni fondamentali: 1) la deontologia professionale; 2) la formazione (scuole di giornalismo) e la determinazione dell'accesso alla professione. * * * 1) La deontologia: Ogni giornalista,
all'atto della consegna del tesserino, s'impegna solennemente con una specie
di giuramento di Ippocrate a rispettare una serie di norme etiche e ad
evitare una serie di comportamenti. Per tutta il resto della sua vita professionale
dovrà attenersi ad esso. L'Ordine avrà poteri disciplinari
e di arbitrato per tutto ciò che riguardi l'applicazione e le eventuali
violazioni del giuramento.
2) Formazione e accesso: Debbono essere
assunti come giornalisti professionisti solo i praticanti diplomati dalle
scuole di giornalismo:
* * * E questo è quanto. Se ci muoviamo in fretta, forse ce la facciamo. Diversamente, assisteremo in tempi rapidi alla scomparsa non solo dell'Ordine dei Giornalisti, ma della stessa professione giornalistica come esercizio indipendente di un servizio al cittadino. Il giornalismo libero, oggi - come il magistrato indipendente; ma questa è un'altra storia - non conviene a nessuno. Tranne che a noi cronistacci vecchia maniera, ai giovani maghetti di Internet, al ragazzo che rischia la pelle per mandare il pezzo sulla mafia del suo paesello, e ai lettori. Ma forse bastano questi.
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o | I
giornali - pur senza aumentare le tirature - guadagnano sempre di più
grazie a una costante crescita degli introiti pubblicitari.
Nel frattempo accelerano l'introduzione delle nuove tecnologie che trasferiscono mansioni tecniche dalle tipografie alle redazioni. Il risultato è tipografie sempre più magre - spesso grazie anche a prepensionamenti - e redazioni caricate di nuovi compiti che accentuano un processo di tipo "fordista". Questo trasforma sempre più i giornalisti in lavoratori della scrivania che del mondo hanno una percezione filtrata dallo schermo del computer al quale, tra l'altro, svolgono lunghe operazioni di carattere strettamente tipografico, come creare (non più solo pensare) il layout delle pagine (quando questo non va scelto fra i modelli prestabiliti per una maggiore efficienza) o inserire le fotografie. Il risultato di tutto ciò è un'ulteriore sottrazione di tempo e di energie mentali che si traduce tra l'altro nell'assenza dei giornalisti dal territorio. Paradossalmente, in molti casi i giornalisti più esperti, i redattori a tempo pieno, sono "incatenati" alle scrivanie mentre fra la gente, a caccia di notizie e di chiavi interpretative della realtà, ci sono giovani aspiranti giornalisti o altre persone che dedicano parte del tempo libero a scrivere articoli di giornale. A parte gli effetti sulla qualità della vita dei giornalisti che derivano dalla tendenza fordista in atto ormai da anni, a parte che essa si associa al degrado generale del prodotto giornale (spesso visto dagli editori come un semplice supporto per la vendita di altro), va considerato che questo processo contribuisce ad allontanare rapidamente il cronista dalla società civile: che mondo racconterai se non vivi (non ti lasciano vivere) nel mondo? (z.
s.)
La
protesta
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