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Dio esiste? Il sermone di
Paolo Flores d'Arcais
L'intellettuale non crede ma soprattutto
non sopporta come credono (e non credono) gli altri
“Subissati dalla richieste dovremo ristampare il numero speciale dedicato a FILOSOFIA E RELIGIONE …sesta edizione centomila copie”. Subissati, dovremo… Sulle sin troppo ospitali pagine di “Repubblica” la macrocolonna pubblicitaria di “MicroMega” tradisce un certo imbarazzo strafottente. 100.000 copie. Sei edizioni. Nell’anno del Giubileo magari potrebbe non stupire ma stupisce lo stesso. La religione tira. La filosofia è ancora un buon affare. Il mix è in qualche maniera irresistibile. Ce n’è per tutti e per tutti i gusti. I fremiti del cuore e gli interrogativi della mente. L’afflato spirituale e l’ironia scettica. La devozione, il dubbio, il misticismo, il piagnisteo laico o l’empietà. Il numero 2 di “MicroMega” aspira giustamente a essere ricordato accanto ai principali eventi non eventi di questo anno 2000 irrimediabilmente cattolico-romano: le folle festanti degli arzilli vecchietti miracolati da Padre Pio e i Papa-boys, lo svelamento del mistero di Fatima e la “conversione” di Gad Lerner (“oggi stesso sarai alla destra del Padre mio”: al TG1), lo scandalo (penoso) del Gay-Pride, la crescente, sorda, ansietà per la soluzione del più arduo dilemma politico degli ultimi millenni: the Big Choice, l’alternativa tra Amato e Rutelli. Però
“MicroMega” non voleva vendere (di qui l’imbarazzo, per quanto formale,
strafottente). Parlare di religione e filosofia, decidere una volta per
tutte se “Dio esiste”. Le vie del marketing sono infinite ma non
spiegano tutto. Nell’anno del Giubileo e di Padre Pio, nell’anno delle
grandi certezze (e dei tormenti politici di Antonio Di Pietro), Paolo Flores
d’Arcais voleva semplicemente fare la sua parte. Un “sasso nello stagno”,
un rifiuto deciso, una provocazione. Del resto basta leggere la lunga contro-enciclica
di Flores (Dio esiste?) che apre il numero dopo il rituale, immancabile,
contributo di Norberto Bobbio. E’ ora di farla finita con le cautele tattiche,
l’ipocrisia di maniera, la tolleranza generica o le sottigliezze dell’ermeneutica
e del postmoderno. Bisogna ricominciare a parlare delle cose che contano
davvero, scegliere gli interlocutori più ostici (Woytila o,
in mancanza di meglio, il card. Ratzinger), inchiodarli ai loro sofismi
teologizzanti, smascherarli. Religione o filosofia. Dio oppure il “finito”,
l’esistenza terrena, “l’esser-ci che nasce (evolve) dalla scimmia nuda”.
Dopo tante chiacchiere sul dialogo ecumenico, gli integralismi, la secolarizzazione,
il sesso degli angeli o il mondo laico, per Flores è giunto il momento
di ricominciare dai fondamentali. La “verità”, dunque, le cose ultime.
Flores non crede
ma soprattutto non sopporta come credono (e non credono) gli altri. Dio
esiste? è dunque qualcosa di più di un bignamino di filosofia.
I “cento talleri” del buon vecchio Kant, le “critiche ovvie” degli scettici,
la teodicea di Voltaire, e Smith e Spinoza e Newton e tutti quanti.
Non vale neppure la pena di insistere tanto. La “filosofia deve tener fermo,
sobriamente, che Dio non esiste e che è falso che vi sia un’anima
immortale”. Ma che Dio non esista, in fondo, è abbastanza evidente
e poi l’onere della prova tocca a credenti, preti, suore, mistici, teologi
o metafisici d’accatto (“è Dio che va provato al di là
di ogni ragionevole dubbio, poiché il finito c’è”).
Parliamo allora pure della verità, dell’esistenza di Dio, della
reincarnazione. Più che l’oggetto conta la contesa, il terreno polemico,
la sfida. Ma il guanto di Flores non viene raccolto. Il sassolino sprofonda
nello stagno. È un’indecenza. Chiesa, preti e credenti vari sembrano
indifferenti, continuano a far finta niente, svicolano oppure alzano le
spalle. Non c’è eroismo, nella loro fede. Non sono abbastanza intransigenti.
Non hanno - peccato! - la fiera tentazione (autolesionista) di ingaggiare
una battaglia disperata e ovviamente già persa in partenza (perché
Dio– suggerisce il professor Flores – è l’assolutamente Altro, il
trascendente, il “silenzio” e… “del silenzio, almeno, bisognerebbe tacere”).
Flores invoca quindi una crociata. Il nodo non sono i comportamenti concreti (di atei e credenti), la “religione civile”, il moralismo oppure la morale, l’intolleranza, i fondamentalismi. Da bravo loico, Flores vuole tagliare il problema alla radice. La conseguenza è abbastanza evidente. Forse si tratta di riportare al centro della scena, proprio nel mezzo dello spazio pubblico, le grandi dispute teologiche, il conflitto tra atei e credenti, il tema dimenticato della Verità. Una crociata, l’ultima guerra di religione: l’importante è non fare prigionieri. O Dio viene dimostrato “al di là di ogni ragionevole dubbio” o le flebili voci della fede dovranno rassegnarsi a tacere per sempre. È il modo più semplice e indolore per chiudere le ambiguità della nostra storia. Spazzare via, nello stesso tempo, le illusioni della religione e le incertezze filosofiche del postmoderno. Liberarsi, in un colpo solo, di preti invadenti e atei troppo timidi, laici contrari alla scienza e all’illuminismo, pieni di dubbi inutili, troppo propensi al dubbio, all’incertezza, al sospetto o alla supersitizione. Per Flores (e per “MicroMega”) questo sembra davvero l’unico modo di costruire un futuro diverso, un’altra temperie culturale, una nuova politica. Ognuno d’altronde è libero di sognare quel che vuole e il paradiso laico di Flores è un modesto, inoffensivo, succedaneo mondano della trinità. Illuminismo, scienza… e magistratura: in hoc signo vinces. Ma il fatto è che dobbiamo cambiare il modo di pensare, guardare le cose in un altro modo. Per secoli ci hanno raccontato che la modernità e l’illuminismo, la democrazia e l’individualismo sono nati dalla tolleranza, dall’esclusione della Verità dalla vita politica, dal consenso pratico sulle cose da fare insieme, dall’accordo sui minimi termini della convivenza, dal rispetto reciproco e dalla fiducia. Per Flores si tratta di una ricetta falsa o già consumata. Di una strada chiusa. Mentre vende 100.000 copie alle smarrite pecorelle dell’anno 2000, “Micromega” invoca la fine di Babilonia e un nuovo avvento. Il domani bussa già alle porte del presente. Il regno positivo della scienza, il disincanto del mondo, l’ultima spiaggia della “scimmia nuda”. Resterebbe quest’impaccio fastidioso della vita concreta, l’opacità dell’esistenza sociale, una religione civile (di atei e credenti) logorata. Una morale da immaginare insieme, un tessuto civile da ricostruire. Flores pretende soltanto che i credenti depongano le armi e entrino subito in clandestinità. Non chiede altro. Solo il silenzio della teologia e la disponibilità “comune” di tutti i “valori del Vangelo”. Alla fine Dio esiste? può essere considerato un testo comico. Senza il timore di apparire ridicolo o (come direbbe il presidente Amato) inopportuno, Flores in extremis enuncia candidamente che l’unico patrimonio etico dell’occidente sono i valori morali del Vangelo. Naturalmente “per proporre i valori del vangelo… l’uomo di fede deve abiurare la razionalità e la verità di ragione della fede stessa"” Ma questo è solo un – trascurabilissimo - dettaglio. Perché quei valori sono di tutti. Come qualsiasi curato di campagna, come qualsiasi, trinariciuto, vescovo della Curia Romana, Flores ripete un sermoncino che conosciamo a memoria. Non esiste nessuna morale fuori dal Vangelo: “l’uomo del disincanto… non ha una sua morale”. Il battagliero teorico dell’ “Etica senza fede” finisce così per proporre questa ricetta davvero ecumenica. Un “comune agire evangelico”, una processione. Perché i “valori del vangelo sono il terreno autentico di un impegno comune … per la serietà dell’esistenza”. Se solo ammettesse di non esistere potremmo anche riconoscere che Dio (com’è giusto che sia) ha sempre ragione.
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o | "Certe
professioni di ateismo mi mettono lo stesso
imbarazzo di certe professioni di fede" (H.
Boll)
Vittorio
Giacopini (Roma, 1961) è redattore della rivista Lo Straniero e
collaboratore
Link in Nonluoghi Potere
teologico, monopolio dell'anima
(28
settembre 2000)
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