di IOLE PINTO
Sono
partita per il Kurdistan iracheno il 21 dicembre 1999.
Ho trascorso
a Sulaymania l'ultimo del nostro anno e millennio. Per il calendario curdo
dal 21 marzo (Newroz) è il 2700.
Sono
tornata nel nostro 2000 con tanta amarezza dentro.
(Campi di rifugiati ai confini con la Turchia)
Amarezza per
la situazione che ho ritrovato laggiù, nell'Iraq del Nord isolato
ed inaccessibile, nella "no flying zone", ex giardino dell'Eden ed ora
lager dove i Curdi vivono rinchiusi da quando è finita la Guerra
del Golfo. Torno dalla terra dove ufficialmente dal '91 non c'è
più guerra, protetta ed ispezionata dall'ONU, e da dove centinaia
di profughi continuano a fuggire per tentare l'approdo sulle nostre difficili
coste.
Molti non ce la fanno, gettati
in mare dai mercanti di vite, come quel curdo che l'anno scorso di questi
tempi fu ritrovato tra le rocce del litorale calabrese, ultima pietra stretta
dalle sue mani di giovane scultore. A Sulaymanya ho conosciuto un suo amico
che ne piangeva la morte.
Qui da noi
questa notizia "non merita nemmeno due colonne su un giornale o una
musica o parole un po' rimate" come dice una vecchia canzone di Guccini.
Come l'anno scorso anche quest'anno abbiamo portato un po' di aiuti agli
orfani di Duhok, Arbil e Sulaymania ed ai bambini che vivono nei campi
di rifugiati, adottati a distanza dal Comitato di Solidarietà di
Siena, di cui faccio parte. Gocce nel mare, ma di queste gocce c'è
davvero bisogno.
Faccio parte
di un gruppo di cittadini senesi che ha stretto amicizia con alcuni
rifugiati politici del Kurdistan iracheno e che ha sentito la voglia
di fare qualcosa, fosse solo un gesto simbolico di solidarietà,
per vincere quella sensazione di assoluta impotenza di fronte al genocidio
di un popolo che va tragicamente consumandosi nel silenzio colpevole
dei governi dell'Occidente.
E' stato un
processo lungo e difficile per volontari come noi, estranei
alle sigle riconosciute della solidarietà internazionale, ottenere
il permesso di transito in territorio curdo-iracheno attraverso la Siria,
unico accesso possibile per gli stranieri, da quando la Turchia ha chiuso
le frontiere, circa due anni fa.
Vecchi e nuovi esodi di un genocidio
taciuto
Il passaggio
attraverso il confine siriano avviene su una piccola barchetta a motore,
che lotta strenuamente contro la potente corrente del fiume Tigri, per
sua natura diretta verso Bagdad. Oltre l'embargo e la burocrazia internazionale,
anche l'attraversamento del confine sul Tigri rende praticamente impossibile
il trasporto di merci e aiuti umanitari ingombranti. L'unica possibilità
per volontari come noi è quella di portare con sè i
dollari, stretti addosso per non perderli, come hanno da sempre fatto generazioni
di emigranti.
Ho incontrato
rifugiati di vecchi e nuovi esodi di un genocidio non detto. Si tratta
dei Curdi che dall'Iraq scapparono negli anni '80 e '90 dalle persecuzioni
di Saddam Hussein, dalle armi chimiche, dalle distruzioni dei loro
villaggi. Fuggirono allora in Iran ed in Turchia. Molti morirono durante
l'esodo. Finita la guerra sono ritornati e non hanno più trovato
le loro case ed i loro villaggi, rasi al suolo con sistematicità
agghiacciante
dai soldati di Saddam. Ora
vivono accampati alle periferie di Duhok, Arbil e Sulamanya.
Quei bimbi, vittime delle mine italiane
(I bimbi della scuola elementare Hello (Aquila) di Arbil,
adottata a distanza dal Comitato Kurdistan di Siena)
Ai vecchi rifugiati
si aggiungono oggi quelli del nuovo esodo: si tratta dei Curdi scacciati
da Kirkuk, colpevoli di vivere nella più grande riserva petrolifera
del mondo. Scacciati via dalla milizia irachena che continua la politica
di "arabizzazione" di quel territorio con il consenso degli ispettori
dell'ONU, pagati sui fondi degli aiuti umanitari al Kurdistan iracheno.
Si affollano in tendopoli nelle campagne tra Arbil e Sulaimanya.
Tanti i bambini in questi
campi: vittime dell'embargo perché iracheni, di discriminazione,
perchè curdi, di emarginazione perchè profughi. E vittime
delle mine antiuomo: più di venti milioni, per il 90% di produzione
italiana (Valmara). Le trovano nei campi, cercano di aprirle per curiosità,
per vedere cosa c'è dentro, come d'istinto farebbe ogni bambino
del mondo e ne rimangono uccisi o orrendamente mutilati. Centinaia ogni
mese le vittime.
Questo mi racconta
Susanne, infermiera svedese coordinatrice dei due centri di riabilitazione
di Emergency, mia compagna di viaggio per dodici ore di deserto siriano.
In questi ospedali si curano i sopravvissuti, vengono loro applicate
protesi alle mani ed alle braccia e si insegna poi come
usarle al meglio, come condurre una vita normale in sedia a rotelle, come
continuare a giocare, lavorare o sognare con un paio di stampelle. Susanne
è fiera del lavoro che svolge per conto di questa organizzazione
fondata da un medico italiano amato in tutto il Kurdistan: Gino Strada.
"Complimenti alla
tecnologia italiana", ci ha detto Christopher, il responsabile della
NPA (Norwegian People Aid), una delle tre ONG presenti in Kurdistan per
lo sminamento: "molte di queste mine sono qui dal 1975: non ce n'è
una che non funzioni"!
"Complimenti alla tecnologia
italiana"
Ferisce il cuore
come un coltello questa frase, sentirla la mattina del primo gennaio
del 2000, nell'azzurro quasi irreale del cielo di Sulaimanya.
Quando nel 1975 l'Italia
vendeva mine all'Iraq si sapeva che queste mine sarebbero state usate per
l'etnocidio dei Curdi: la guerra tra Iraq e Iran cominciò dopo.
L'Occidente vendeva mine ed armi chimiche a Saddam Hussein, per poi dichiarare
ufficialmente l'etnocidio dei Curdi un affare di politica interna irachena,
dove non sarebbe stato corretto intervenire.
Gli orfani di Arbil ci sorridevano,
ci regalavano ramoscelli di basilico e una sbiadita foto di Maldini
con la maglia del Milan, facevano a gara per farsi fotografare con
noi, ripetevano welcome, welcome per antica usanza dell'ospitalità,
perchè contenti di vedere italiani, giocare con loro, sentirci pronunciare
i loro nomi, distorti da accento straniero.
Gli orfani sopravvissuti
al massacro etnico
Alcuni degli
orfani "adottati a distanza" dal nostro Comitato vengono da Halabja,
sopravvissuti al massacro chimico del 1988. Uno di loro si chiama
Karuan, nel suo nome il ricordo della carovana in cui è nato durante
la fuga da quell'atroce sterminio, che le cronache del tempo paragonarono
ad Hiroshima. Ma chi da noi si ricorda più di Halabja? Karuan
ci regala un disegno e ci dice, nel suo inglese da undicenne, I love
Italy, and Venice, and Ronaldo. Karuan tra poco avrà dodici
anni.
Altri bambini sono figli
di stupri consumati durante le deportazioni di massa dei curdi nel deserto,
ad opera della milizia irachena. Sono figli di "Anfal" , parola che nel
Corano significa "Prede di guerra", così venne chiamata quell'operazione
di genocidio. E figlie di Anfal sono anche le montagne un tempo ricche
di boschi, ed ora brulle e prive di vegetazione, le macerie e le lugubri
carceri di detenzione e tortura, di cui è disseminato
in lungo e in largo l'ex
giardino dell'Eden. Da noi, in Occidente, il grido di quelle madri
non è mai arrivato, il nome di quei bambini sepolti nel deserto
non verrà mai pronunciato.
Sminamento, si riduce il budget per
il 2000
"Chi semina
il grano semina il bene", questa è una frase del profeta
Zaratustra, che cinquecento
anni prima di Cristo predicava in terra kurda l'amore per la natura e gli
animali e la carità verso gli uomini. Oggi venti milioni di mine
italiane rendono impossibile la coltivazione di quella terra, e l'Italia
non ha alcun progetto di cooperazione nel Kurdistan Iracheno, in nessun
campo, tantomeno per lo sminamento. A seguito degli accordi di Ottawa probabilmente
la Valmara si sta riconvertendo e non
produce più mine
antiuomo. Ma i venti milioni di mine antiuomo made in Italy
continuano a colpire i bambini
nei campi di rifugiati, i figli dei pastori che conducono le greggi al
pascolo, i contadini che seminano il grano. Il responsabile della NPA ci
ha anche detto che nel 2000 il budget per lo sminamento in Kurdistan
verrà ridotto: il Kossovo sembra abbia dirottato molte delle risorse
internazionali, ed il Kurdistan non è più considerato ufficialmente
"zona di emergenza".
Anche la solidarietà,
si sa, segue logiche di commercio e va verso i mercati più promettenti.
Purtroppo a risentire del taglio ai fondi per lo sminamento sono soprattutto
le campagne di prevenzione
anti mine che in questi anni le due organizzazioni MAG e NPA avevano intrapreso
nelle scuole: se si decide di sminare a ritmi sempre più lenti ed
assolutamente irrisori (meno di diecimila mine/anno) insegniamo almeno
ai bambini ed alle persone che ci convivono ogni giorno come salvarsi dal
massacro!
Il silenzio di giornali e televisione
Ora che sono
tornata da quell'Eden ferito e avvelenato vorrei riuscire a dire che queste
cose esistono su questa terra, anche se TV e giornali non ne parlano,
e riguardano il nostro paese altrettanto da vicino quanto le sfilate di
moda, Luna Rossa e Roberto Baggio (peraltro amatissimo dai bambini curdi,
insieme a Maldini).
Vorrei riuscirlo
a fare a nome di tutti i bambini e la gente che abbiamo incontrato lì,
che ci ha accolto con gioia, con la voglia di cancellare, anche se
per un solo momento, quella sensazione di assoluto isolamento che
oggi devasta il popolo curdo ancor di più del doppio embargo e delle
sue miserie.
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o |
Iole
Pinto
ha
realizzato un video nel suo viaggio in Kurdistan. Il documentario tratta
dei seguenti argomenti:
I
campi di rifugiati nel Kurdistan Iracheno: vecchi e nuovi
esodi
di un genocidio ignorato
Effetti
armi chimiche sui civili nel Nord-Iraq
Mine
italiane in Kurdistan
Il
video sarà proiettato a Siena il 19 maggio nell'ambito
di
un
incontro
con Laura Schrader (ore 21 Corte dei Miracoli).
Iole
Pinto fa parte del Comitato iniziative di solidarietà verso
il
popolo Curdo,
Via
Martiri di Scalvaia 15 - 53100 Siena
Il
Comitato segnala inoltre la sua campagna di adozioni a distanza dei bambini
del Kurdistan iracheno che continua nel 2000 con l'adozione degli
orfani
di Arbil, Sulaimanya e Duhok. Lo stesso Comitato ricorda che
per
contribuire:
si
può usare il c/c n. 3715.68 Monte dei Paschi di Siena - Filiale
di Siena, Via Banchi di
Sopra,
84 ABI 010030 - cab 14200
Intestato
a: Associazione nazionale partigiani d'Italia Via Maccari, 1 - 53100 Siena
- Comitato
provinciale
di Siena - Causale: Iniziative solidarietà per bambini del
Kurdistan.
Il
Comitato di Siena ha organizzato anche la mostra fotografica
"Tra
il Tigri e l'Eufrate:Viaggio in Kurdistan",
Siena,
Palazzo Pubblico (Cortile del Podestà) P.zza del Campo
dall'8
aprile al 5 maggio 2000
Nell'ambito
della mostra:
documentazione
e libri sul Kurdistan
raccolta
firme
per
l'appello al governo italiano per contribuire
ad
iniziative di sminamento in Kurdistan
raccolta
fondi ed adesioni per le adozioni a distanza dei bambini del
Kurdistan.
L'appello:
no
all'embargo
ma
anche
alle
connivenze
con
il regime
Il
progetto
"Adotta
un
villaggio"
Altre
immagini
del
viaggio
La
Hiroshima curda oggi
(4
aprile 2000) |