di
RINO VACCARO
Non
esiste un diritto del bosco a non essere bruciato o un diritto del mare
a non essere inquinato; senza diritti sono anche gli animali perché
il diritto è modellato sul primato esclusivo dell’uomo di disporre
di un bene in modo pressocchè assoluto.
I limiti all’esercizio
del diritto di proprietà ,come quelli contenuti nella Carta costituzionale,
sono enunciazioni di carattere generale ,comunque stanno all’interno
di una normativa tra soggetti di diritti interindividuali e
non riguardano sostanzialmente il rapporto uomo-natura.
Come tali diritti
vengano in conflitto è questione risolta diversamente
nei vari ordinamenti giuridici che si sono succeduti nei secoli
e nelle diverse civiltà che abitano il pianeta ;ma una cosa è
certa: solo oggi appare con evidenza la insostenibilità di
un godimento assoluto di beni non riproducibili per l’accresciuta capacità
di sfruttamento tecnologico delle risorse materiali ,vegetali animali e
umane.
Ciò apre
una contraddizione e una crisi profonda nel concetto stesso di diritto
di proprietà. Fino ad oggi si è ragionato in modo come se
l'unico problema fosse quello di regolare i reciproci diritti di
appropriazione e di utilizzo mentre oggi è indispensabile mettere
un freno all’uso indiscriminato delle risorse naturali; proprio a prescindere
da chi è titolare di questo diritto, si tratti di enti privati
o pubblici.
E’ persino difficile ,con
l’ordinamento giuridico vigente , definire il danno ambientale, come
per il disastro della petroliera Haven quando si è cercato
di compensare i singoli interessi privati e pubblici colpiti
: dai pescatori alle aziende turistiche ma non è stato valutato
il danno specifico all’ambiente e i mutamenti irreversibili prodotti dalla
nota catastrofe dell’inquinamento petrolifero della costa ligure e dei
fondali marini.
Il concetto
privatistico di proprietà si intreccia poi con quello più
ampio di sovranità e quindi di potere politico (nel senso
di forme di esercizio del potere e anche di modi di formazione della volontà
politica generale e quindi di rapporti solidali o conflittuali ,fino
alle forme più spaventose di guerra (quelle conosciute e quelle
che verranno perché non sono rimosse le cause dei conflitti neppure
nell’era del nucleare militare )
Nel Medioevo quando un sovrano
concedeva alcuni diritti o meglio privilegi a determinati beneficiari
per i motivi più diversi costituiva un nuovo titolo di proprietà
(mentre la legittimazione del sovrano era di per sé un assoluto
infatti anche le carte costituzionali o Statuti erano carte “ottriate”
ovvero concesse.
Qualche volte il beneficio
concesso non era a favore di un singolo ma di una comunità.
Nascono così
le terre di proprietà comune e gli usi civici .Non si devono confondere
ovviamente la proprietà comune di un bosco o di
un prato con il “diritto sulla cosa” diritto di carattere particolare quali
il diritto di legnatico, di esercizio della caccia ( a certe condizioni)
e/o di raccolta dei frutti del bosco etc.. .
E non si devono ovviamente
confondere le proprietà dei residenti nelle terre comuni che
non configurano un diritto ereditario (infatti il non residente che
vive all’estero perde questo diritto e il nuovo residente li acquista)
con i beni demaniali né con la sovranità propria
delle autonomie locali comuni e comunità montane come viene definita
nelle leggi dello stato .
Gli usi civici sono
una forma di uso comune di utilizzo agro-silvo-pastorale che è
arrivata fino ai giorni nostri e che è stata in generale rispettosa
dell’ambiente e delle risorse fino a che non si è consentita
o tollerata l’occupazione abusiva e persino le costruzioni private
in aree pubbliche di proprietà comune
La nuova legge che innova
la normativa del 1927 anzi prevede una pericolosa sanatoria.
Nella società
preindustriale l’uomo utilizzava le risorse naturali e tuttavia
per secoli ha mantenuto un certo equilibrio modellando il paesaggio
agrario ( anche i centri abitati ,in prossimità del mare, di
fiumi e laghi , avevano una dimensione e una forma modellata
sulle peculiarità del territorio. Mentre mai come oggi
che l’agricoltura è diventata marginale esiste uno sfruttamento
feroce delle risorse naturali.
Si è persa
ogni misura nell’utilizzo delle ricchezze naturali .La fertilità
della terra, l’aria pura, l’acqua pulita che un tempo non avevano
prezzo oggi sono diventate un bene raro che ha un costo molto alto .
Rispetto all’agricoltura
tradizionale e al mercato di paese o di circondario prevale
oggi l’agro-industria con un trasferimento dei sistemi di tipo industriale
nella agricoltura. Inizia così una gestione non sostenibile con
le mono-culture e le culture intensive e nell’allevamento che, non
a caso ,si chiama zootecnia ,una tecnologia appunto; anche se è
di tutta evidenza che gli animali non possono essere considerati come bulloni.
Gli allevamenti
anch’essi intensivi portano ad una riproduzione artificiale fino alla clonazione
e alle manipolazioni genetiche che sono figlie dell’idea perversa di piegare
la natura e gli animali ad un certo modello di sviluppo, dove un numero
sempre minore di persone è impegnato in agricoltura e il progetto
è quello di un’agricoltura senza terra e di animali senza habitat
,imprigionati nella sequenza terrificante di una catena alimentare .L’animale
non esiste più,diventa un contenitore di organi da smontare come
una macchina ;la sua capacità di comunicativa con gli umani viene
radicalmente negata , così come quella identica capacità
di sofferenza che rende gli animali così simili a noi. Ogni pianta
o animale se considerati economicamente inutili vengono distrutti ……spariscono
specie viventi ,si riduce la biodiversità.
Anche l’uomo non sfugge
a questo destino: xeno-trapianti (cioè tra specie diverse)e manipolazioni
genetiche sono ormai l’orizzonte in cui si inscrive anche il progetto di
sopravvivenza umana se questa parola ha ancora un senso .
Negare agli animali un habitat
e una possibilità di riproduzione naturale ,costringerli in spazi
limitati ,ad una alimentazione forzata e ad una macellazione precoce (ormai
pochi mesi di vita per polli e vitelli e suini) comporta mutamenti non
controllabili con epidemie e pandemie fino al passaggio all’uomo di malattie
mortali come nel caso dell’ “ encefalopatia spongiforme” bse della mucca
; ma anche in passato le forme epidemiche sono state numerose negli allevamenti
intensivi.
Non si intravede un limite
a questa pretesa assurda di sfruttare e manipolare gli animali modificando
la stessa linea genetica ,fino alla creazione di nuove specie ,comprese
le chimere (mostri moderni prodotti in laboratorio con una pseudo vita
effimera) e alla scomparsa di altre specie , in modo del tutto irreversibile
.
Nella dimensione artificiale
del mercato e della pubblicità non ci sono più le stagioni
,non esiste più neppure il fattore tempo;in una iterazione
ripetuta e uguale a se stessa non c’è più il tempo
della vita e della morte; anche gli eventi sono soffocati in un indistinto
che annulla cronaca e storia in un futuro senza tempo ,dove gli uomini
sono solo consumatori voraci.
C’è ancora
qualcuno che sa distinguere la primavera silenziosa di un frutteto
trattato con pesticidi, anticrittogamici, diserbanti e un melo fiorito
circondato dalle api?
In alcune regioni si
sono moltiplicate le esperienze di collaborazione tra produttori
orto- frutticoli e apicoltori e anche in Liguria, a Tiglieto, c’è
stata una esperienza più che positiva per i prodotti
del sottobosco :mirtilli ,lamponi, uvaspina che potrebbe essere estesa
a quel poco di agricoltura naturale che esiste nelle aree parco e
anche al di fuori.
Mentre è in corso
il censimento dell’agricoltura sarebbe il momento di andare oltre
il concetto economico di impresa e di pil(prodotto interno lordo) perché
occorre ormai saper fare i calcoli ecologici dell’economia ;tutti
ad esempio riconoscono il ruolo essenziale delle api nella
impollinazione e la sopravvivenza dell’apicoltura si può ben dire
che non ha prezzo!
Altrettanto importante sarà
il censimento delle terre incolte la cui crescita è inversamente
proporzionale allo sviluppo eco-compatibile ( e le terre di proprietà
comune ,le famose comunaglie,che ancora esistono e hanno un ruolo importante
come ha riconosciuto un recente convegno a Varese Ligure promosso dal Museo
contadino di Cassego)
E qui si arriva all’interrogativo
fondamentale.
E’ ancora possibile una
inversione di tendenza :produrre meno carne e latte, lasciare più
liberi gli animali ritrovare il piacere di avere un rapporto non solo alimentare
con le altre specie viventi? In altri termini ripercorrere a ritroso la
strada devastante compiuta nell’ultimo secolo, ripopolare le campagne,
decongestionare le città, avviare un rapporto solidale e non conflittuale
con le economie povere del pianeta. Certo che sì, ma non deve sfuggire
a nessuno che la strada della sostenibilità vera (non della finta
compatibilità) ha dei costi sociali e umani che molti non vogliono
pagare ; a partire dallo spreco energetico, dalla dissipazione di risorse,
fino allo spreco come simbolo di opulenza, alla ricerca dell’inutile; non
si tratta solo di una riappropriazione umana ma della modifica di comportamenti,
di scelte di consumo e di vita cosa che sembra impossibile o utopico
raggiungere.
Oggi ci sono
solo alcune testimonianze come quella di aam terranuova e una rete
di progetti e culture alternative che non riescono purtroppo a comunicare
con la stragrande maggioranza delle persone.Eppure non dovrebbe essere
obbligatorio seguire una strada tanto tragica come quella attuale per le
conseguenze che ha sulla stessa salute umana e sull’ambiente.
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