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Se inquinare costa meno

Zenone Sovilla

La costante aggressione cui è sottoposto l’ambiente naturale – e di conseguenza la salute anche degli esseri umani – richiede normative, controlli e procedimenti sanzionatori severi e puntuali.
Specie in una situazione in cui oltre a gestire il quadro dato, ci si trova a inseguire le emergenze legate a diffusi casi di pirateria ambientale a scopo meramente economico.

Ecco che, dunque, sorge qualche dubbio quando il Parlamento, su proposta del ministero dell’Ambiente, vara una legge (“Disciplina sanzionatoria dello scarico di acque”, 2 febbraio 2010) che sostanzialmente depenalizza una serie di gravi comportamenti in materia di sversamento di sostanze pericolose.

Va da sé che la cosa è passata inosservata nel discorso pubblico di un Paese che si avvia alle elezioni senza parlare pressoché di nulla che non siano le cortine fumogene artatamente sollevate da astuti manovratori del cloroformio sociale.

Fatto sta che ora chi commette il reato di contaminazione delle acque – in genere tramite scarichi industriali illegali – potrà dormire sonni più tranquilli: se la caverà con una sanzione amministrativa da 3.000 a 30.000 euro, a meno che non sia proprio un mostro che scarica quantità enormi dei peggiori inquinanti (arsenico, cadmio, cromo, mercurio, nichel, piombo eccetera).

Si indebolisce così anche l’effetto di deterrenza, un aspetto significativo per la tutela preventiva, data la difficoltà degli inquirenti a risalire successivamente alle responsbailità dirette degli sversamenti (non basta nemmeno trovare i veleni nel fiume di fronte a una fabbrica, bisogna verificare tutto il percorso degli inquinanti per individuare  prove concrete).

Gli inquinatori ringraziano.

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