Nonluoghi SocialMente Permessi negati, così la furbizia dei populisti in cravatta offende i lavoratori deboli

Permessi negati, così la furbizia dei populisti in cravatta offende i lavoratori deboli

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Verrebbe voglia di augurare un’esperienza di disperazione lavorativa, magari all’estero, in un clima sociale e politico ostile, a coloro che in questi giorni, anche dentro e vicino al governo, ostacolano il tentativo di regolarizzare lavoratori in nero nell’agricoltura, ma anche colf, badanti e altre figure. Straniere e pure italiane.

Fra gli oppositori c’è la destra dei Cinque stelle, cioè l’area che detta la linea nel movimento e che mal digerisce l’alleanza a “sinistra”. Si rifiuta l’impianto normativo che farebbe emergere dal sommerso centinaia di migliaia di lavoratori, perché in questo modo si offrirebbe una “sanatoria” ai caporali e agli sfruttatori.
Ora, si può comprendere che questo sia istinto di sopravvivenza politica, attenzione spasmodica al consenso, nostalgia del governo con la Lega (quello che lasciava le persone settimane bloccate in mare sulle navi, in condizioni precarie e disperate).
Tuttavia, verrebbe fatto di immaginare che qualche distinzione razionale la sappia fare anche chi condivide con l’ex ministro Salvini l’ossessione per il problema migranti e appena può ricomincia a lanciare gli allarmi sbarchi. Eppure stiamo scoprendo che abbiamo (e avevamo) guai ben più seri e di altra origine.

L’onestà intellettuale dovrebbe suggerire che qui si tratta non solo di salvare ambiti rilevanti dell’economia, ma di restituire dignità e rispetto a persone che faticano e meritano un contratto, l’assistenza sanitaria, un ombrello di tutele (per sé e per la comunità in cui vivono) che soltanto l’emersione dal “nero” può consentire.

Famiglia di braccianti, California, 1936
California, 1936, famiglia di lavoratori agricoli: la madre con sete figli affamati. Credits: foto di Dorothea Lange; Thanks to The New York Public Library

Sollevare la cortina fumogena dei datori di lavoro “schiavisti”, in questo contesto, più che un’obiezione di merito sembra un riflesso condizionato in continuità con i “bei tempi”, quando ogni giorno si poteva sbarcare il lunario gettando in pasto all’opinione pubblica l’emergenza scafisti e migranti, quasi fosse non un problema da risolvere razionalmente – rispettando l’umanità – ma una catastrofe imminente per noi tutti.

Si dedicavano attenzioni istituzionali spropositate agli sbarchi di disperati (cittadini che invece di rischiare il naufragio utilizzerebbero volentieri canali e flussi legali, se ne esistessero). E nel frattempo si ignoravano gli allarmi reiterati lanciati da organizzazioni sanitarie (ma forse non dai comitati scientifici governativi, oggi iperattivi) sui rischi elevati di pandemia a causa di probabili nuovi virus. Epidemia puntualmente arrivata, cogliendoci impreparati, senza le più banali protezioni individuali, a corto di semplici apparecchi terapeutici, con il sistema sanitario “dimagrito”.

Migranti dell'Arizona in Texas, 1936
Tenda di una famiglia di migranti bianchidell’Arizona, in Texas, vicino Harlingen, nel 1939. Foto di Lee Russell. Archivio The New York Public Library

L’ossessione di queste correnti politiche di destra persiste, malgrado l’emergenza sanitaria covid-19, e appena possono rispolverano la questione migranti, probabilmente perché ritengono che faccia presa su parte dell’elettorato, forse uno zoccolo duro un po’ nostalgico di quando Di Maio e Salvini si davano quotidiane pacche sulle spalle. Il secondo ha scelto un profilo relativamente basso, il primo, che al potere è rimasto (forte di una riconosciuta esperienza diplomatica, si presume), non perde occasione per toccare i tasti cari all’elettore di destra, tra rimarcature sciovinistiche, esibizioni talvolta smodate del tricolore, sottolineature nazionalpopolari e, appunto, battaglie di retroguardia contro le regolarizzazioni dei lavoratori.
Il tutto facendosi paravento, fragile e ipocrita, di una battaglia di legalità, cioè spendendo sui media parole indignate “caporalato”, “sanatoria” eccetera.

È vero che si prevede una ammenda di soli 400 euro a carico del datore di lavoro che regolarizza, ma da questa procedura sono esclusi ovviamente i condannati per caporalato o favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Serve un equilibrio che consenta di ottenere il risultato, altrimenti non si muove nulla.
L’importante qui è consentire ai lavoratori di riaffacciarsi alla vita. Si ipotizza per chi ha il permesso di soggiorno scaduto un rinnovo di sei mesi (costo cento euro) per poter cercare un’occupazione. Anche questo va di traverso ai soliti noti. Eppure la domanda di manodopera non manca, anzi, specie dalle aziende agricole di tutta Italia arrivano appelli ormai quasi disperati.

Di fronte al triste spettacolo politico di queste ore, si consolerà chi non è mai stato convinto dall’attuale maggioranza fatta di “divergenze parallele”: sarà confortato nel risentire il coro unisono dei Salvini, delle Meloni e di qualche loro simpatetico ex alleato di governo.

Famiglia di braccianti, Usa, 1936
California, 1936, famiglia di lavoratori agricoli: la madre con sete figli affamati. Credits: foto di Dorothea Lange; Archivio The New York Public Library (crediti: The New York Public Library)
Zenone Sovilla

Zenone Sovilla

Giornalista e videomaker, creatore di Nonluoghi nel 1999, ha lavorato in Italia e all'estero per giornali e stazioni radiofoniche. È redattore Web del quotidiano l'Adige.

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