ii percorsi

La sinistra è morta. Viva la sinistra! Ripartiamo da zero salvando gli ideali
Fofi: non sono morti i valori di giustizia e di uguaglianza (nella diversità) e di libertà 
 

    di GOFFREDO FOFI 
  Questa piccola rivista intende distinguersi dalle altre per i suoi modi di realizzazione e di diffusione. È fatta da un gruppo di amici che non trovano molto di cui entusiasmarsi nella situazione italiana, dal punto di vista sociale e politico e culturale (culturale nel senso dei modi di vivere, di pensare e di esprimersi dei nostri connazionali) e che, in questi ultimi anni, hanno assistito con molto accoramento e talora  con disgusto al compiuto suicidio della sinistra storica, che aveva da tempo recuperato, con sua complice partecipazione, anche quanto restava della "nuova".
   Gli ultimi esiti della quale sono stati, quando non una piena adesione al campo del potere economico, una parodia della vecchia, per esempio in gruppi tuttora presenti e attivi, da Rifondazione ai Verdi e a quasi tutto ciò che si fa leggere sul "manifesto", o la risposta ambigua e recitata, anche quando più autentica, a un disagio vero, anche se interpretato da teorici e leader in chiavi più estetiche che morali. 

Comunismo e socialdemocrazia, il fallimento

   Era grottesco, quest'estate, leggere sul "manifesto" le ricette che alcuni di coloro che hanno contribuito a uccidere la sinistra italiana vecchia e nuova (la solita nomenklatura), pomposamente armati di tutte le retoriche che la loro storica ipocrisia poteva offrirgli e perfino, ancora!, di tutte le giaculatorie di una recitata "scienza marxista", elencavano per richiamare in vita la loro vittima! 
  D'altra parte non si può certo dimenticare che il mondo è cambiato in questi anni più velocemente che in ogni epoca, e che questo cambiamento ha dimostrato non solo il fallimento del comunismo ­ produttore di alcune delle più disastrose e terribili dittature della storia, e questo non andrà mai dimenticato ­ ma anche quello della socialdemocrazia e della stessa democrazia, tramutatasi in una sorta di dittatura delle maggioranze manipolate ad arte da un potere sempre più sfuggente e sempre più protetto.

La libertà delle coscienze

   Che i morti seppeliscano i loro morti, dunque. Ma... se la sinistra è morta, viva la sinistra! Non sono morti i valori che l'hanno fatta nascere, di giustizia e di uguaglianza (o di avvicinamento a un'eguaglianza che preservi le differenze e le qualità), e di libertà (libertà che qui da noi, è soprattutto libertà delle coscienze, libertà di pensare fuori dalle manipolazioni mediatiche, di pensare altro da quello che il potere vuole che noi si pensi) nei quali milioni di persone hanno creduto e per i quali hanno lottato nel corso degli ultimi secoli. Libertà delle coscienze, libertà di pensare fuori dalle manipolazioni mediatiche, di pensare altro da quello che il potere vuole che noi si pensi, che ci impone di pensare. 

Il suicidio della sinistra

   Questi valori sono stati soffocati anzitutto dall'evoluzione della società, pilotata dai poteri economici finanziari politici verso un unico modello di sviluppo e di organizzazione, ma è stata certamente l'adesione della sinistra a questo modello 
la causa prima della sua perdita di identità e di valore.
   La sinistra è morta, viva la sinistra! E che si ricominci da zero, salvo che negli ideali.

   Scopi essenziali di questo bollettino sono:
   a) riflettere su ciò che accade e ci accade, a partire dalle nostra pratiche di intervento    sociale o culturale, che nessuno di noi vede disgiunte; riflettere criticamente, ma anche, quando possibile, propositivamente, sul piccolo e sul grande;
  b) costruire, a partire dalle pratiche, e senza nessuna ambizione organizzativa né di indebita mediazione, una rete di informazioni e di discussioni.
Quanto rimproveriamo a molte organizzazioni di oggi è appunto, nel sociale e nel politico, di autoproclamarsi rappresentanti nei confronti del potere di associazioni e gruppi di buone radici e ottime intenzioni, di gestire in questo modo un forte potere di ricatto e di "normalizzazione" dell'esistente, di pensare via via alla sopravvivenza, allo status e al potere delle proprie burocrazie come al loro principale motore. Ideologie e false coscienze si mescolano da sempre facilmente agli interessi delle burocrazie, anche quando una burocrazia sia stata mossa all'origine da ambizioni assai diverse, e questo tanto più oggi, nella crisi di prospettive d'impiego per così gran parte dei giovani. Ideologie e false coscienze allignano in particolare nella sinistra, dove l'affermazione gramsciana "pessimismo della ragione e ottimismo della volontà" è da tempo letta come l'incontro tra un diffuso cinismo e una ossessiva volontà di potenza.

Il vuoto del pensiero

  Nella situazione presente noi vediamo nonostante tutto una grande vitalità delle pratiche. Il fenomeno del volontariato e quello del terzo settore, nati spontaneamente e proprio dalla crisi dei modelli organizzativi della sinistra e del mondo cattolico, per quanto ricuperati e codificati, e i colpi portati al welfare, e non ­ come sarebbe stato certamente più produttivo per la salute della società e in particolare della sinistra ­ alle grandi corporazioni di interessi professionali, hanno prodotto una rete di iniziative e una spontaneità degli interventi difficile da incanalare tutta nelle regole decretate dal potere politico e da quello economico, italiani europei internazionali. A questa vitalità non corrisponde certamente un¹adeguata riflessione teorica, e se dovessimo indicare qual è il vuoto oggi per noi più preoccupante, esso non è quello delle pratiche (dell'azione) bensì quello delle analisi e della teoria (del pensiero). 

Il conformismo sciocco della cultura

   Mai come oggi ci è sembrato che la cultura italiana sia stata più sciocca e conformista, a servizio del potere, con la sola scusante che non ci sono più ­ mondialmente ­ prospettive di grandi rivoluzioni e di cambiamenti sociali ed economici non voluti dal potere e la sua sregolata guerra interna. Come se essa cultura dovesse mobilitarsi non per la verità e la giustizia ma per l'affermazione di un modello su un altro e a mero servizio di questo o di quel modello. Noi lamentiamo fortemente questa miseria, e paghiamo tutti il costo di un'assenza che va ben oltre le difficoltà oggettive (e globali) di una prospettiva convincente di un futuro diverso e migliore. In breve, la cultura italiana ci sembra oggi una delle più vili del mondo. Ma non è su un bollettino come "Poco di buono" che si possono risolvere i problemi della teoria, e per questo rinvieremo sistematicamente i nostri lettori, nei limiti della nostra possibilità di conoscere ed essere informati, a quei libri, quegli studi, quelle riviste, quei saggi che via via si renderanno disponibili nella nostra lingua che possano aiutarci a capire cosa ci accade. In particolare, non va taciuto il legame diretto e stretto che gli ideatori di "Poco di buono" hanno con la redazione e con i collaboratori de "Lo straniero", che è trimestrale e che sempre di più si dedicherà alla discussione teorica, in una prospettiva nazionale e internazionale.

Servono sollecitatori critici

   Se un ruolo crediamo di poter svolgere, esso non è quello dei "mediatori" bensì dei sollecitatori: critici della realtà e in particolare di quella in cui viviamo, di quella che ci riguarda più da vicino, insofferenti delle interessate bugie che ci hanno circondato e ci circondano, attenti al "ben fare" e senza mai la pretesa di indirizzare chi fa, ma soltanto di stimolare la diffusione dei modelli più seri, l'interpretazione delle condizioni generali in cui si opera, la possibilità di imparare da altri e di insegnare a altri che condividono le stesse tensioni e si pongono gli stessi problemi, che avvertono le stesse esigenze di metodo. Noi non vogliamo "rappresentare" nessuno, non vogliamo diventare un¹organizzazione, non vogliamo far concorrenza a nessuno: vogliamo soltanto cercar di capire, e di trovare nella nostra occidente realtà, nel nostro paese di pratiche e morali opportunistiche ed equivoche, dei motivi di impegno e, se non di speranza, almeno di dignità nella solidarietà con chi ha meno di noi e soffre più di noi, e di fratellanza, da "compagni" (splendida parola insozzata da tanti) con chi la pensa come noi. Non più di questo, anche se ci rendiamo conto che è tanto, anche se ci rendiamo conto che è, per i "politici", poco o niente.

Troppi "antagonisti"  sono vicini al potere

   Se ci guardiamo attorno, vediamo come molti di coloro che conosciamo, e che fanno anche cose ottime e buone, si collocano in una posizione troppo contigua al potere e al suo sistema di organizzazione, al suo "sistema", ancorché ai suoi margini. Noi crediamo di doverci collocare non "quasi al centro" ma, in definitiva, "quasi ai margini" (convinti che ai margini c'è solo emarginazione e sofferenza, e che questo non può, oggi, qui, esprimere di per sé spinte propositive al cambiamento, proprio e altrui); e crediamo che è da questa collocazione che possiamo e dobbiamo dialogare con quelli come noi e con tutti coloro che, da "quasi al centro", si sentono giustificati dal valore e dal metodo di ciò che fanno.

Un'opposizione del poco di buono

   Secondo noi, una delle ragioni della morte (del suicidio) della sinistra è stata la formula "sinistra di opposizione e di governo" che ha caratterizzato e caratterizza
la sua storia italiana da più di cinquant'anni. Noi rinunciamo volentieri alla seconda parte della formula, e ci attestiamo tranquillamente e senza nessuna provocazione, pronti a collaborare a iniziative positive da qualunque parte provengano, sulla sua prima: da pochi che intendono solo dar conto del "poco di buono" che ancora la nostra società riesce a esprimere e intendono contribuire, nel poco che è loro possibile, alla sua diffusione, al suo contagio...


o Pubblichiamo l'editoriale del numero zero (marzo 2000) della rivista "Poco di Buono", la nuova iniziativa diretta da Goffredo Fofi. 
Lo facciamo con la convinzione che la lettura di questa analisi spietata sulla sinistra
sia utile al dibattito (urgente) che anche Nonluoghi vuole contribuire ad allargare, sulla opportunità di inventare nuove forme, di ricominciare a guardare altrove, a cercare altre strade fuori dal dato, dall'ovvio e dall'"usato sicuro" (l'omologazione "corretta" al pensiero unico del mercato), salvando, invece, gli ideali e tenendo ferma 
la libertà delle coscienze.

In proposito, invitiamo i protagonisti di altre iniziative che si inseriscono anche in questo dibattito, a segnalarcele (se lo vorranno).
 

Per comodità dei lettori riportiamo qui di seguito anche le informazioni di servizio fornite da "Poco di buono". 

Sarà possibile ricevere  "Poco di buono" per abbonamento oppure ­ i singoli, i gruppi, le librerie ­ chiederne copie che verranno inviate in contrassegno o previo pagamento al prezzo di lire 5.000, ma ­ per quantitativi superiori alle 10 copie ­ il prezzo scende a lire 3.000 cadauna. I lettori che chiedono copie o che hanno da proporci articoli ­ brevi, chiari, utili ­ o che hanno da farci altre richieste, possono telefonare o faxare alla redazione (tel./fax 06/85358136, e-mail). Contiamo di poter assicurare la sopravvivenza di "Poco di buono" in questo modo e per il tramite di aiuti di singoli, come è accaduto per questo primo numero di prova (che esce in 20 pagine rispetto alle 16 dei numeri successivi).
Nel caso che il suo insuccesso" fosse evidente e verificassimo l¹assenza di un numero sufficiente di amici interessati, non ci spaventeremmo troppo, e semplicemente ridurremmo le nostre aspettative e le nostre pretese semplificando la formula al massimo e trasformando "Poco di buono" in una newsletter amicale, o magari in una sorte di occidentale samizdat. In questi anni abbiamo appreso a non avere eccessive aspettative neanche nei confronti delle minoranze e a non idealizzare neanche loro ma, per quanto pochi, continueremo.
 
 
 
 
 
 

(21 marzo 2000)

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