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GUERRA E POLITICA DI POTENZA GLOBALE...
Stati pesanti e mercati leggeri: l'analisi di un conflitto permanente cominciato dopo il Muro di Berlino

 
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_____________________________________di Salvo Vaccaro__________

Tra le varie spiegazioni che si danno ai motivi di una guerra permanente scatenata a partire dall'11 settembre - per meglio dire, accelerata dagli attentati di New York e di Washington, perché la quarta guerra mondiale è iniziata già all'indomani dell caduta del muro di Berlino (novembre 1989), con la guerra del Golfo iniziata con l'invasione irachena del Kuwait nell'agosto del 1990 - la pista economica risulta essere la più gettonata, forse perché il pregiudizio marxista sul primato strutturale dell'economia prevale all'interno della cultura italiana, segnata dal comunismo come direbbe Berlusconi.

Molti hanno sottolineato un paio di aspetti: il controllo delle risorse energetiche in zona, gli immensi giacimenti delle steppe asiatiche i cui territori ricadono in stati indipendenti un tempo sottomessi all'Unione sovietica, e oggi rientranti nella santa alleanza guidata dagli Usa, la disponibilità di petrolio a quanto pare presente anche nel nord dell'Afganistan, nonché il corridoio prenotato dalla transnazionale Unocal sponsorizzata dagli Usa che da quelle terre dovrebbe portare il bene prezioso nelle acque dell'oceano Indiano bypassando così la penisola arabica, il travagliato medio-oriente, il Mediterraneo e l'area caspica, dove non a caso si concentrano diversi conflitti brutali.

È tuttavia opportuno rilevare come la dipendenza americana dal petrolio fuori patria sia al limite del 50% del proprio fabbisogno, e quindi la chiave di lettura del controllo delle risorse energetiche diviene corretta solo a patto di considerarla un fattore squisitamente geopolitico attinente ai requisiti di sovranità e di dominio planetario, più che un fattore banalmente economico di ricchezza.

Inoltre, è stato fatto notare come una guerra duratura quale si appresta a essere lo sradicamento militare della rete del terrore Al Quaida - procedura inedita secondo gli stessi manuali di dottrina militare, essendo più un processo di intelligence politica coordinata a poter dare i migliori frutti in tal senso - rilanci un volano economico-industriale di tipo keynesiano in grado di arrestare la recessione mondiale, e americana soprattutto, attraverso una serie di elementi quali la dissipazione di riserve materiali sovraccumulate, gli incentivi statuali all'economia reale, una riordino disciplinare ferreo dei soggetti dei costi del lavoro e delle materie prime (ricattati dall'atmosfera bellica) e via dicendo.

Pur non essendo uno specialista di economia, tale lettura ottimistica - quanto meno perché pensa che la storia si ripeta alla stessa maniera, e quindi immagina che oggi si voglia anticipare un crollo tipo Wall Street 1929 (a cui allora seguì il New Deal rooseveltiano e la guerra mondiale come terapia salutare, a prescindere dalle decine di milioni di morti...) anteponendo la cura militare al collasso prevedibilmente immediato - mal si concilia con tutto ciò che si è detto e stradetto sulle nuove caratteristiche dell'economia globalizzata, e cioè che la quota del circuito finanziario oggi assomma ad oltre il 90% rispetto a tutto il monte economico mondiale. Del resto, la new economy si alimentava di incrementi pazzeschi di valutazioni fondate sul nulla reale, puntando tutto sulla speculazione e sui mercati derivati che si basano sul gioco tutto psicologico delle aspettative. Si calcola che lo scambio finanziario giornaliero sia valutato intorno ai 1700 miliardi di dollari tra effetti speculativi e scambi azionari e simili, mentre l'economia reale di merci e servizi assommi a un controvalore di 5000 miliardi l'anno.

È possibile piuttosto un'altra chiave di lettura rispetto a questa neokeynesiana: la finanziarizzazione dell'economia capitalista globale ha indebolito in non pochi risvolti il potere dell'élite politica statale, privandola di risorse fiscali, di risorse per investimenti pubblici, e quindi eroso i margini di manovra dell'autorità legittima, fra l'altro sottoposta a scrutinio democratico e bisognosa di risorse clientelari e monetarie per le costosissime campagne elettorali. Allora lo squilibrio interno al complesso del potere globale a favore del ceto economico-finanziario ed a sfavore del ceto politico può essere ricomposto attraverso un processo di militarizzazione permanente che sconvolge il quadro di quotidianità psicologica da cui gli speculatori possono proiettare scommesse - e da qui il collasso della new economy la cui ricchezza era sganciata dai bilanci che riflettono contabilità attive e passive su risultati industriali reali - mentre con ciò riacquista peso una economia industriale, legata alle committenze pubbliche bandite a livello ideologico (non certo a livello pratico) dal neoliberismo imperante che ora subisce una battuta di arresto perché risottomessa al potere politico che riprende a dettare l'ordine del giorno di un pianeta sconvolto dalla politica di guerra.

Gli eventi che stiamo vivendo hanno a che vedere non solo con gli effetti politici che la globalizzazione imprimeva sganciando il processo globale dal timone della politica per come è stato da secoli e secoli, dando il primato ad un mercato sempre colluso con la politica ma con rapporti di forza diversi da prima, e soprattutto eludendo le procedure di legittimazione democratiche che hanno scatenato in parte anche le ragioni sempre più diffuse del popolo di Seattle, e che ora trovano una prima risposta da destra attraverso il ricorso allo stato di eccezione, ossia la guerra come stretta primaria della politica su tutto il resto, forze non-politiche della globalizzazione incluse.

Peccato che tale rivincita della politica passi sul cadavere dell'umanità!

24 ottobre 2001

Tratto da Umanità Nova n.36 del 21 ottobre 2001

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