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Le guerre della Russia privatizzata
Diario di viaggio da Volgograd con lo sguardo sul dolore del Caucaso
 

di ALEX FAGGIONI

   Sono stato nel Paese che fino a dieci anni fa era considerato il naturale antagonista degli Stati Uniti nella corsa verso il podio dello sviluppo e dell'egemonia mondiale. A scuola avevo imparato a classificarne il modello al secondo posto, preceduto dal nostro benessere e dal nostro sviluppo capitalista e seguito da quei Paesi che sommariamente si consideravano in via di sviluppo. 
  Oggi la distinzione tra primo, secondo e terzo mondo non è più possibile. Prima di tutto perché non esiste più il secondo modo, quello che un tempo s'era sviluppato orbitando in torno a Mosca alimentato dalle nuove dottrine socialiste. Poi perché i Paesi che noi chiamavamo in via di sviluppo oggi sono solo in via di estinzione, flagellati da malattie che il sistema non gli permette di curare, intrappolati in una stagnazione economica che anziché sviluppare l'industria nazionale la smantella 
giorno dopo giorno e che alimenta soltanto la svendita delle materie prime allo strapotere delle aziende multinazionali obbligando la gente a genuflettersi di fronte alla predominanza del capitale sull'uomo.
L a Russia oggi sta lentamente sprofondando nel baratro. Quando cadde il muro di Berlino furono in molti ad esultare; quando il Soviet Supremo venne bombardato e Eltsin sventolò la bandiera tricolore Russa stando in piedi sopra il carro armato che ne appoggiò il colpo di stato, tutti auspicarono un nuovo corso della storia dell'est europeo. I fautori ed i sostenitori della trionfante dottrina capitalistica subito diedero inizio ad una triste litania. I nuovi mercati, la concorrenza, una nuova società che avrebbe stimolato lo sviluppo sotto l'insegna di due semplici concetti: liberismo e democrazia.
   Ma oggi a dieci anni di distanza che cos'è successo? Di fatto la gente continua a vivere come prima se non peggio. Ora i supermercati sono colmi di prodotti, spesso occidentali, che la gente fa fatica a comperare per via dei bassissimi stipendi e la stessa cosa vale per i negozi sorti come funghi, nei centri delle città che propongono le griffe della moda mondiale che si possono permettere solo i nuovi russi, quelli che, sulle spalle della povera gente, si sono saputi arricchire nella 
baruffa generale. I media sono in mano a tre o quattro grandi gruppi aziendali che di fatto  controllano il popolo decidendo quali notizie far passare e quali censurare, quali pubblicità, e quindi quali prodotti commerciare, quali fiction sono più adatte per addormentare la coscienza ed il senso critico delle persone. 
   Durante l'era sovietica il quaranta per cento del prodotto interno lordo dell'URSS proveniva dalla vendita di prodotti petroliferi. Oggi tutto è stato privatizzato grazie 
ai famigerati piani di aggiustamento strutturale imposti dal fondo monetario internazionale che, in cambio di prestiti che sarebbero dovuti servire per risolvere le crisi del rublo e quindi dell'economia russa e per favorire la transizione economica dell'ex URSS verso l'economia di mercato, hanno sancito l'inviolabile principio che vuole l'abbattimento di ogni tipo di protezionismo per favorire speculazioni e profitto di imprese. Sono in molti oggi che si sentono traditi dalla dirigenza politica e lo scandalo dei fondi del FMI trovati su conti correnti bancari esteri intestati alla famiglia di Eltsin certo non aiuta la gente ad avere più fiducia in chi la governa. 
   Tutto è allo sbando. L'industria non è competitiva sul mercato internazionale e le 
esportazioni sono minime. L'unica fonte di guadagno sicura per lo Stato è quella del commercio delle materie prime svendute a prezzi irrisori ai Paesi esteri; questo purtroppo non favorisce lo sviluppo ed aumenta il divario tra l'est e l'ovest. La mafia è penetrata con i suoi tentacoli in tutte le attività della vita ed oggi le mazzette sono una realtà con la quale tutti i cittadini presto o tardi debbono confrontarsi. La classe media non esiste.
   Questo è il Paese delle contraddizioni. Ci sono i Ricchi, quelli che girano in città con le BMW, e ci sono tutti gli altri, quelli che girano col tram o con la 
macchina che perde i pezzi, quelli che sopravvivono e fanno fatica ad 
arrivare alla fine del mese pur vivendo di stenti, rabbia e rinunce. In 
Russia non ci sono le vie di mezzo; o è bianco o è nero. O sei ricco o 
sei povero.
   Io ho vissuto a Volgograd, la città che un tempo fu Stalingrado, la città degli eroi, dove l'armata rossa stroncò l'avanzata dell'esercito nazista. Ci sono rimasto per due mesi e mezzo. Ho vissuto con persone che non accettano di stare a guardare ed hanno scelto di opporsi al sistema non dall'alto dei palazzi, ma dal basso dove vive la gente che soffre, con la gente che soffre. Con loro andavo spesso dai senzatetto 
che oggi sono moltissimi e sopravvivono in condizioni disumane, al limite della tollerabilità, tra l'indifferenza della gente che li vede. La prima volta che andai da questa gente fu alla fine di gennaio. La prima tappa fu la chiesa ortodossa, una stupenda costruzione in mattoni rossi, che sono un simbolo del potere, nel cui ventre i nuovi ricchi si rivolgono a Dio pregando per il moltiplicarsi dei loro conti in banca. 
   Fuori da queste mura un pugno di persone che non ce la fanno e no ce l'hanno fatta. Persone che incarnano l'accumulo dei pochi sulle spalle dei molti in un sistema che non ha tempo di tendere la mano a chi resta indietro e che preferisce guardare solo avanti per non correre il rischio che qualcuno approfitti per sorpassare. Chi si ferma è perduto e chi rallenta rischia il collasso. Tanti, troppi sono quelli che vogliono la dignità che spetta a ciascun uomo e che non ce l'hanno. Mi sforzo di non scordare quei volti. Sguardi di uomini, pensieri ed azioni coperti di panni sporchi ma che non possono e non debbono coprire la dignità.
   Quando arriviamo tutti corrono verso la nostra macchina. Per tutti c'è un pezzo di pane con della salsiccia ed un the caldo. Per i più bisognosi una giacca a vento e due parole. Provo a pensare alle loro storie ma mi è difficile immaginare. 
Ci avviamo verso un altro posto dove spesso si radunano i barboni, in un sottopassaggio che porta alla metropolitana. Siamo rimasti fermi non più di un quarto d'ora con la temperatura che era molto prossima agli zero gradi e quando io sono risalito in macchina avevo i piedi congelati. Quelle persone in strada ci vivono e con temperature che raramente sono clementi durante l'inverno e possono raggiungere i meno trenta. Anche al sottopassaggio ci sono molti volti, nascosti tra 
l'indifferenza e la fretta della gente. Anche per loro un po' di cibo e di conforto; anche qui un grande freddo. Voglio imprimermi indelebilmente il volto di quel vecchio che levandosi il colbacco ci ha mostrato una ferita sl capo, croste coagulate tra terra e capelli, piaghe, piattole e pidocchi che scorrazzavano sulla nuca di un uomo. 
   La  voce di quella nonna cieca che cantava per farsi lasciare qualche spicciolo, gli occhiali di quella donna che dicono essere speciale e che stava li a fare l'elemosina perché la pensione non gli bastava per vivere. Una lezione per non arrendersi da una donna che deve camminare con le stampelle perché ha le gambe in cancrena. E poi tanti tanti altri che un tempo ebbero una vita normale, che magari lavorarono sodo 
in una fabbrica e che ora debbono chiedere l'elemosina perché la pensione non gli basta per vivere. 
   Nel '97 la Russia venne investita da una grave crisi. I dipendenti statali non ricevettero lo stipendio per diversi mesi e la situazione si risolse con i prestiti del FMI. Questi fondi però oggi stanno per finire e quando non ci saranno più concessori di nuovi prestiti come farà a sopravvivere la nuova Russia privatizzata?

Racconti di un poliziotto

E' durante uno dei lunghi pomeriggi russi che incontriamo un poliziotto che per diversi mesi ha lavorato in Cecenia. Fece subito girare delle foto dove si vedeva Grozny fumante e rasa al suolo sulle cui macerie passavano lui e i suoi compagni con i Kalashnikov imbracciati. Macerie e carri armati, soldati e bombe. L'essenza stessa della guerra. La materializzazione della distruzione fine a se stessa. 
Ivan è un esperto nell'identificazione delle persone. In Cecenia non è arrivato per scelta propria ma per il bizzarro volere di un sorteggio effettuato nella sua compagnia. Ci dice che aveva il compito di controllare i documenti delle persone ed il denaro e che se si fosse rifiutato di partire, qualcun altro della sua compagnia lo avrebbe dovuto fare al suo posto; è in questi casi che nella società russa 
entrano in ballo l'onore ed il senso del dovere. La paura della morte è spesso troppo leggera quando sull'altro piatto della bilancia giace la possibilità di macchiare questi due valori considerati sacri e inviolabili.

   In questa guerra c'è anche chi purtroppo sceglie di andarci come volontario perché due mesi di stipendio permettono già di accumulare il denaro per comperare un appartamento. 
   Ivan è convinto che la pace sia un'utopia visto e considerato che la regione è in continuo conflitto da circa duecento anni. Lui pensa che l'unico periodo di relativa calma sia quello tristemente ricordato per le folli deportazioni staliniane. Sembra una persona ragionevole e obiettiva anche se i suoi pensieri sono pienamente inscrittibili nello standard dei russi che pecca forse di un livello piuttosto alto di 
presenza di pregiudizi; considera i ceceni tutti banditi. Ci dice che la sua compagnia ha scoperto una fabbrica illegale di dollari falsi durante una perlustrazione, che ci sono diverse raffinerie di eroina, e che la gente, soprattutto quella di montagna, usa le persone straniere che vengono rapite come schiave; che nei sotterranei delle case ci sono delle catene per legare i rapiti nell'attesa che venga pagato un riscatto. Oggetto dei rapimenti sono soprattutto gli stranieri e 
l'ospitalità della gente locale spesso maschera questo fine.
   L'opinione pubblica russa è divisa tra gli arrabbiati perché hanno perso nel conflitto persone care, e gli orgogliosi di vedere l'esercito, che un tempo era il più efficiente del mondo, impegnato nel rendere onore alla Grande Russia. Più, sento parlare di questo assurdo conflitto e più mi fa paura ma credo che questo sia un sentimento condiviso da tutte le persone che hanno a che fare con questa guerra; 
lo dico perché l'ho vista impressa negli uomini delle foto di Ivan e perché l'ho sentita vibrare nella sua voce. 

   Ci ha detto che le armate ribelli si sono preparate a combattere per tre anni e che hanno costruito gallerie sotto la città profondi anche trenta metri. Pensa che il giro di denaro che finanzia e motiva le operazioni dei ceceni debba essere enorme. I Paesi Islamici, gli interessi legati al petrolio, l'industria bellica, le speculazioni 
dell'esercito, i rapimenti. Se a Grozny si fa un buco nel terreno alla sera, il mattino seguente lo si trova già colmo di greggio e questo di per sè sarebbe sufficiente per spiegare i perché di questa guerra. I riscatti per il rilascio degli stranieri vengono pagati sempre ed una vita non vale più di qualche migliaio di dollari. 
   Oltre al fondamentalismo religioso i ribelli hanno anche a disposizione parecchi fondi gentilmente elargiti dai Paesi islamici che permettono di pagare cospicue ricompense a chi si impegna militarmente in azioni considerate altamente rischiose: piazzare ad esempio una mina anticarro, può fruttare fino a mille dollari se l'operazione è conclusa con successo. E da parte loro i soldati russi speculano nel conflitto denunciando, ad esempio, l'utilizzo e l'invio di cinquanta carri armati 
quando in realtà sul campo ne arrivano solamente dieci. I restanti quaranta , dichiarati distrutti in battaglia, finiscono per essere venduti al mercato nero. 
   Un altro businnes infame è quello degli aiuti umanitari che troppo 
spesso non arrivano mai ad aiutare nessuno. Chi ne ha bisogno non ne vede neppure l'ombra e l'ingente mobilitazione di denaro finisce sempre per appesantire le tasche degli esperti burocrati mafiosi. Ivan sostiene che lo stato russo, dopo la prima guerra, ha destinato un sacco di soldi alla ricostruzione che non sono mai giunti a destinazione.
  Se si fosse voluto, la guerra sarebbe già finita da un pezzo o, chi lo sa, magari neppure mai cominciata, ma il vero ed inconfessabile problema e che la fanno girare troppi interessi che pesano come macigni sulle spalle della povera gente. 
   Mentre parlo con questo poliziotto non riesco a convincermi di quanto siano legali e pulite le azioni della polizia. Gli chiedo come facessero a distinguere tra guerriglieri e civili durante le azioni militari. Mi sento rispondere che è impossibile. Secondo lui la gente di giorno vive normalmente ma quando cala la notte tutti diventano combattenti. Gli chiedo che cosa aspettasse a chi, una volta catturato, 
venisse considerato un guerrigliero. Mi dice che alcuni vengono giudicati ed incarcerati in Cecenia sotto l'autorità russa, altri, sotto la giurisdizione della procura generale giudicati ed incarcerati a Mosca. 
   Voglio sapere dell'esistenza dei famigerati campi di filtraggio ma Ivan sostiene che questi posti servono solo per controllare gli sfollati che passando da uno stato all'altro godranno dello status di profughi e quindi tutelati dal diritto internazionale. 
Lo scopo di questi campi è ufficialmente quello di controllare il non transito di armi e l'identità delle persone, almeno questo è quanto sostiene Ivan, ma la gente che è scappata da questi posti non la pensa proprio così. Gli sfollati che possiedono i documenti d'identità possono richiedere all'ufficio immigrazione di Mosca lo status di profughi e quindi ricevere una minima forma di assistenza da parte dello stato. Il 
problema sorge per chi non possiede i documenti ed in questa categoria si possono includere la stragrande maggioranza delle persone che scappano dai conflitti caucasici, non solo dalla Cecenia. Qui entrano in gioco i  servizi segreti che hanno il compito di indagare e verificare l'identità tramite gli uffici anagrafici della città di 
provenienza dichiarata. 

   Queste parole mi lasciano senza fiato e mi fanno sorgere delle domande. Grozny è una città rasa al suolo così come lo sono tante altre città di provincia della regione. Dove si possono trovare i documenti anagrafici di una persona scappata da una città che non esiste più? E se non si trovano i documenti? Non si può essere dichiarati profughi perché la burocrazia non guarda in faccia nessuno. E cosa si è considerati? Nemici? Niente documenti, niente assistenza. Ivan non tornerà in 
Cecenia perché la situazione è troppo pericolosa. L'artiglieria russa ha anche usato proiettili al gas per vincere la guerra ma sicuramente gli scontri, a parer suo, non finiranno entro breve.
 

I profughi di Piatigorsk
 

  Non è certo facile riuscire ad ottenere il permesso d'ingresso per un campo profughi; per fortuna riusciamo a farci aiutare dalla responsabile di una associazione che lavora nella zona e che ci fornisce tutta la consulenza necessaria. 
Piatigorsk è una piccola città che dista più o meno un migliaio di chilometri da Volgograd, la vecchia Stalingrado dove noi abbiamo vissuto per due mesi e mezzo. Si trova nella regione di Stavropol, naturale crocevia tra il Caucaso e la Federazione Russa, passaggio obbligato per tutti i disperati che fuggono la catastrofica situazione caucasica. Ed è proprio da qui che noi tentiamo di sviluppare il nostro 
progetto.
   Al campo dove vivono i profughi ci arriviamo dopo dieci minuti di macchina partendo dalla stazione dei treni. La città è una delle più belle. Il centro storico è ben tenuto così come le strade e gli spazi verdi. Arriviamo in periferia quasi subito, la zona non è molto grande e dove scendiamo non c'è nessuno che ci aspetta. Il primo giorno siamo accompagnati da una ragazza che fa la traduttrice dal russo
all'inglese, lingua che purtroppo è conosciuta solo da uno di noi. Ci incamminiamo verso una costruzione che misurerà si o no dieci metri per venti, prefabbricata per metà di cemento armato e per metà di legno, un edificio che non si colloca in maniera armoniosa nel bel paesaggio circostante. Tutt'intorno sorgono le casette di campagna dei nuovi borghesi che per fortuna spezzano il paesaggio triste e monotono caratteristico delle città sorte e cresciute durante il periodo 
sovietico ed ora soffocate dal grigiore del cemento decrepito. In questo casolare vivono una quarantina di persone che sono messe molto male. Entriamo nell'edificio, percorrendo un lungo e buio corridoio calpestando pannelli che scricchiolano con lo sguardo fisso per terra. Ci sediamo in una stanza fredda e mi guardo in giro; passano dei fili per stendere i panni ed in un angolo giacciono un vecchio forno a gas ed un tavolo traballante.
   Strana atmosfera. Arrivano delle persone che si siedono su delle panche e cominciano a raccontarci le loro storie. Sono tutte di nazionalità russa ma vivevano a Grozny prima dell'inizio degli scontri. Sembra che ci tengano a farcelo sapere. 
Raccontano di essersene andati già da quasi dieci anni dal loro Paese, tutti partiti perché assunti come lavoratori da una ditta di costruzioni. Il prefabbricato nel quale vivono lo hanno costruito loro ma doveva esser solo una sistemazione provvisoria perché il datore di lavoro aveva promesso di assegnar loro un appartamento a testa. Questa gente lavorando ha costruito molti edifici ma il titolare della ditta un bel giorno ha dichiarato il fallimento dell'azienda scappando a Mosca con i ricavi della vendita delle costruzioni già esistenti. La gente che mi trovo qui di fronte ora s'è invece ritrovata senza lavoro, senza dignità, senza poter ritornare in Patria per via della guerra scoppiata nel frattempo. Hanno vissuto per dieci anni in quaranta in 
una baracca, spartendosi una stanza a famiglia, col pericolo giornaliero che il tetto gli crolli sulla testa e col timore che usando la corrente per accendere una stufetta, un surriscaldamento dei cavi possa creare un corto circuito che bruci tutto. Ma non basta: oltre al danno, anche la beffa di poter essere sfrattati da un momento all'altro dato che la costruzione è ufficialmente proprietà del governo che non accetta di aiutarli in nessun modo. Queste persone non sono considerate dei profughi perché sono tutte partite prima della guerra. Queste persone non sono considerate delle persone. 

   Solo una donna riceve un sussidio governativo in quanto scappata dagli ultimi bombardamenti. Ci racconta di suo fratello e di sua madre. Lui morì mentre ritornava a Grozny a prendere delle cose lasciate in casa durante la fuga per scappare dai primi scontri, ucciso da una bottiglia incendiaria lanciata nella sua macchina e lei si suicidò per la disperazione ed i sensi di colpa per averlo convinto a ritornare in città. 
  Questa gente vive così da dieci anni, senza gas ne acqua ma con ancora tanta voglia di sopravvivere. Nelle tre visite che abbiamo fatto loro non hanno mai indugiato un attimo ad offrirci di sederci ad una tavola imbandita per farci sentire accolti calorosamente ed a nostro agio. 
  Nessuno di loro accetta di arrendersi e tutti sopravvivono lavorando qua e la, dove è possibile; coltivando l'orto quando fa caldo o allevando galline e conigli. Ora per fortuna si sta avvicinando la bella stagione e questo farà tirare un sospiro di sollievo a questa gente che ha avuto la forza, per quest'anno, di sopravvivere ad un altro inverno.
 



LINK: Il diario russo di Fabrizio Bettini, un altro volontario italiano.
 
o Pubblichiamo un diario di viaggio dalla Russia scritto da Alex Faggioni, giovane volontario dell'operazione Colomba dell'associazione Givanni XXIII di Rimini, che ha seguito da vicino
il conflitto in Cecenia.
Ecco come l'autore presenta la sua testimonianza.

"L'idea era quella di vivere in Russia per avvicinarci piano piano alla 
lingua ed alle usanze di un popolo così diverso da quello occidentale 
con lo scopo di aprire in futuro una presenza in Caucaso. 
Così io ed 
altri due ragazzi siamo rimasti a Volgograd per due mesi e mezzo, 
compiendo dei viaggi sporadici verso sud, in Caucaso, per capire meglio 
quale sia la situazione dei profughi che fuggono dalle
varie guerre, 
specialmente da quella cecena. 
Per questo ci siamo spinti fino alla regione di Stavropol, ultima roccaforte russa prima di varcare la 
soglia caucasica. La regione che, poche settimane fa, è stata sconvolta 
da attentati folli che hanno ucciso una ventina di persone ferendone 
più del doppio. In questo periodo abbiamo incontrato molte persone che 
ci hanno raccontato la loro vita, fornito le proprie testimonianze, 
raccontato fatti che, a volte, hanno cambiato il corso della storia ed 
aneddoti della vita russa. Non voglio avere l'arroganza di affermare 
d'aver compreso la cultura ed i problemi di questo popolo ma senza 
dubbio delle cose ora mi sono un po' più chiare. Queste sono riflessioni spontanee che non servono ad altro se non a cercare di 
provocare, in
chi le legge, gli stessi interrogativi e le stesse 
preoccupazioni che sono sorti in me durante gli ultimi due mesi 
e mezzo".

- Altri articoli

Il diario russo
di Fabrizio Bettini
un altro volontario

Interviste sul conflitto ceceno

Italia, un prete
scrive al governo

Amnesty
International
 
 
 

(17 aprile  2001)

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