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Romania, Ungheria: liberismo, protezionismo e battaglia dei salumi
Fibrillazioni all'ombra delle manovre economiche con lo sguardo sul lido dell'Unione europea
 

di NANDO SIGONA

   "Il pericolo viene sempre da ovest!”, con questa battuta il primo ministro romeno Mugur Isarescu ha replicato recentemente al premier ungherese, Viktor Orban. Anche gli ungheresi, aveva detto Orban, si lamentano, così come fanno i romeni,  della concorrenza sleale dei paesi vicini.
Questo scambio di battute è solo l'ultima manifestazione di una battaglia in atto ormai da tre anni tra i produttori di carne e salumi romeni e quelli ungheresi, accusati di voler colonizzare il mercato romeno con i loro prodotti sovvenzionati dallo stato.

   Il 21 dicembre del 1992 si è costituita, attraverso la firma dell'Accordo Centro Europeo di Libero Commercio (CEFTA), una zona di libero scambio a cui partecipano: Ungheria, Slovenia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Polonia, Estonia e Bulgaria. La Romania è diventata membro del CEFTA il 12 aprile del 1997. L'accordo riguarda, in particolare, il libero commercio di prodotti industriali e di un largo numero di prodotti agricoli e prevede una graduale cancellazione delle tasse d'importazione tra i paesi firmatari. L'area di libero scambio, a partire dal 2002, si allargherà ai paesi dell'Unione Europea, costituendo inoltre un volano verso il raggiungimento dei criteri di ammissione all'UE per i paesi che ne fanno parte.
Al momento dell'adesione romena all'accordo, forti perplessità sono state sollevate da coloro i quali, evidenziando i bassi standard qualitativi previsti dalle norme romene per i prodotti alimentari, profetizzavano la trasformazione della Romania nel "bidone d'immondizia d'Europa". Il mercato romeno rischiava, infatti, di essere invaso da salumi ed altri generi alimentari che nei paesi d'origine non potevano essere commercializzati. Prodotti scaduti o fabbricati appositamente per il mercato del sud-est europeo, ricchi di additivi e con percentuali molto basse di carne. Prodotti che, d'altra parte, per i prezzi ridotti e per l'imballaggio spesso seducente, avrebbero fatto breccia tra i consumatori romeni. 

   Sebbene nel primo anno di adesione le esportazioni della Romania nei confronti dei paesi CEFTA siano aumentate del 16% (rispetto ad un incremento totale del 4%) ciò nonostante il volume degli scambi è ancora molto inferiore a quello di altri paesi, come l'Ungheria, e pari a quello della Slovenia, che conta però solo 3 milioni di abitanti.

   Un'indicazione interessante di come si stiano sviluppando le relazione tra i paesi membri può essere presa guardando i dati sulle società a capitale misto costituitesi negli ultimi anni. In Romania all'inizio del '99 si contavano oltre 3000 società a capitale ungherese, contro la quasi assenza di società romene in Ungheria, in repubblica Ceca la situazione è identica, mentre in Romania ci sono oltre duecento società miste con capitale ceco.

   Il settore agricolo-alimentare è quello che sta subendo maggiormente il peso della concorrenza dei paesi CEFTA. Il paese verso il quale si dirigono la maggior parte delle critiche e delle preoccupazioni dei produttori romeni è l'Ungheria, colpevole, a loro dire, di una concorrenza sleale dovuta alle ricche sovvenzioni governative ai prodotti di esportazione magiare.
Il rischio del tracollo del settore ha spinto il governo romeno a far ricorso nel giugno 1999 ad una clausola del trattato (clausola di salvaguardia ex art.14 dell'accordo CEFTA) che prevede la possibilità di tutelare la produzione nazionale in casi particolarmente gravi attraverso un innalzamento dei tassi doganali. Tale provvedimento, però, ha carattere temporaneo (un anno) e può estendersi solo ad alcuni prodotti.

   La concorrenza sleale dell'Ungheria, a cui si richiamano produttori e amministratori romeni non è certo l'unico motivo di debolezza del settore. Si tratta molto spesso di industrie dotate di tecnologie vecchie ed obsolete, dove la presenza dello stato continua ad essere forte e condizionante e il rapporto qualità-prezzo dei prodotti molto distante dagli standard a cui siamo abituati.
Il governo romeno, nonostante le proteste delle autorità di Budapest, ha adottato il provvedimento, aumentando fino al 45% le tasse di importazione sulla carne di maiale e derivati e sulla carne di pollo provenienti dall'Ungheria. I provvedimenti sono stati ritenuti necessari dal governo visto il vertiginoso calo della produzione interna nel settore, che ha registrato nel 1998 per la carne di maiale un calo del 60% e per il pollo del 26%.
La misura, però, non ha contribuito alla crescita reale del settore zootecnico autoctono anche perché non è stata accompagnata da un programma di sostegno allo sviluppo del settore. Ha reso, invece, molto più tese le relazioni tra i due paesi confinanti.

   Alla fine del giugno 2000 il governo romeno avrebbe dovuto abbassare al 25% le tasse d'importazione, ma le proteste dei produttori, che chiedevano anzi l'estensione delle misure a tutti i paesi CEFTA e UE, e la persistente minaccia di tracollo del settore, lo ha indotto a prorogare il provvedimento. Anche se la prossima presidenza romena, a partire dal 1 gennaio 2001, del comitato a cui partecipano i rappresentati degli stati membri del CEFTA fa intravedere la possibilità di un'abolizione entro la fine dell'anno dei provvedimenti eccezionali. 
A ciò bisogna aggiungere gli impegni che il governo di Bucarest ha preso con la Banca Mondiale in riferimento al Programma di Aggiustamenti Strutturali all'Agricoltura (ASAL)  che non permette tassi d'importazione troppo elevati e che quindi rende sempre più necessari interventi supplementari di sostegno alla produzione interna. Tra queste si invoca da più parti la detassazione delle materie prime destinate al foraggio e degli equipaggiamenti tecnologici per l'allevamento e l'agricoltura. 

   I ventilati (dal Governo) effetti taumaturgici, derivanti dall'adesione al CEFTA, all'intera industria romena, si sono rivelati molto più circoscritti, e limitati per lo più alle poche industrie di esportazione. La zona di libero scambio è risultata invece letale per la produzione interna schiacciata dalla concorrenza dei paesi limitrofi, soprattutto l'Ungheria, e dall'assenza di un politica infrastrutturale del Governo rivolta all'innalzamento dei tassi di produttività e della qualità dei prodotti locali.
 


o Il reportage:
Romania,
liberismo con
carro e cavalli 
 

(22 gennaio  2001)

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