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Alpenvorland. Belluno, Trento, Bolzano: dopo il 1943 destini uniti ma divisi...
La spaccatura sulle Dolomiti: intervista con lo storico Ferruccio Vendramini
 


 
   Che cos’è stata la Resistenza nell’Alpenvorland, la zona di occupazione tedesca sulle Dolomiti (Trento, Belluno, Bolzano)? Ne parliamo con Ferruccio Vendramini, direttore dell’Istituto storico della Resistenzadi Belluno e presidente dell’Associazione veneta di storia locale.

   Vendramini,  anche richiamandosi alle ricerche dello storico Claudio Pavone,lei  ha definito la Resistenza una commistione di fenomeni: «Tre guerre in una: di liberazione dall’occupante tedesco, civile tra partigiani e fascisti, di classe per trasformare le strutture sociali e i rapporti di forza tra i ceti».
Come s’inserisce in questo ambito l’Alpenvorland?

   I casi di Trento e Belluno  sono interessanti. L‘area, insieme con la provincia di Bolzano, era di fatto annessa al Terzo Reich. A Belluno la Resistenza fu evento di grande spessore, come si evince dai sacrifici sofferti dalla popolazione e menzionati nella motivazione della medaglia d’oro assegnata al capoluogo: 86 impiccati (quattro sui lampioni della piazza cittadina, per terrorizzare la gente), 227 fucilati, sette arsi vivi, undici morti per sevizie (tra i quali un ‘anziana rea di aver dato ospitalità e collaborazione ai partigiani), 564 caduti in combattimento, 301 feriti, 1667 deportati nei lager (molti non ne fecero ritorno), settemila militari deportati in Germania dopo l’8 settembre ‘43. Cifre tanto più significative se si tiene presente che l’intera provincia contava poco più di 200 mila abitanti.

   Tra i partigiani caduti a Belluno c’era Mario Pasi, medico ravennate che lavorava a Trento e finì impiccato al Bosco delle Castagne. La sua scelta di raggiungere la provincia vicina, dove occuperà un ruolo primario, è un po’ il simbolo delle difficoltà del movimento di liberazione in Trentino…

   In Trentino la Resistenza fu ben presto decapitata dei suoi comandi, non ebbe la continuità e lo sviluppo registrati nel Bellunese. A Trento, con l’elezione a commissario prefettizio dell’avvocato Adolfo de Bertolini si giocò la carta di un collaborazionismo, non entusiasta, ma utile, da un lato, a facilitare il distacco dal precedente periodo fascista, dall’altro, a evitare l’espandersi di un’organizzazione armata che avrebbe ovviamente provocato la reazione degli occupatori. Il commissario prefettizio, però, non riuscì a evitare la costituzione del Corpo di sicurezza trentino, una sorta di polizia locale, composta da autoctono in divisa nazista e comandati dai tedeschi. Questo corpo, in violazione delle garanzie date in precedenza, fu impiegato dalla Gestapo in operazioni antipartigiane anche fuori provincia (così scrive Maria Garbari, in un recente volume dedicato alle condizioni dei carabinieri trentini nel periodo 1943-45). A Belluno l’organizzazione di un corpo analogo fallì.

   Quali spiegazioni si possono dare ai comportamenti divergenti nelle due province dolomitiche?

  La prima considerazione riguarda il sentimento patriottico e un’esperienza dolorosa fatta a Belluno ma non a Trento. Mi riferisco al ricordo dell’occupazione austriaca dopo Caporetto: era il 1918, che fu definito dai bellunesi “l’an de la fam” (l’anno della fame). Molti dovettero abbandonare la terra e la casa davanti all’avanzata dell’occupato re austriaco. Tristi ricordi che furono tramandati di padre in figlio e che pochi decenni dopo, di fronte all’invasione nazista, contribuirono a rinforzare la resistenza, nel quadro di una tradizione antiaustriaca e antitedesca (che invece in Trentino, per secoli dominio asburgico, non aveva radici). Un attivismo che coinvolse anche i parroci e perfino il vescovo di Belluno che, sfidando i nazisti, si fece portare una scala e andò a benedire e baciare i quattro partigiani impiccati nella piazza principale della città. Un contributo venne anche dai numerosi ufficiali alpini che organizzarono i militari sbandati dopo l’8 settembre e poi si unirono alle formazioni garibaldine. In fine, a Belluno, si registrò il contributo esterno di centinaia di antifascisti emiliani, saliti verso le montagne i quali funsero in un certo modo da catalizzatore e avviarono subito una guerriglia che ritenevano più difficile e meno efficace nella pianura padana. In questo quadro, si scatenò, una dura resistenza ai tedeschi, sia pure con un ridimensionamento nell’autunno-inverno 1944, dopo i grandi rastrellamenti nazisti e la conseguente chiusura delle comunità locali e della Chiesa, per timore di ritorsioni, ai propositi bellicosi delle punte estreme della Resistenza. I tedeschi, infatti, rispondevano brutalmente alla lotta di liberazione. Non solo le uccisioni, ma l’incendio e la distruzione di interi paesi.

   Dunque, il terrore, i massacri si verificarono anche a Belluno, cioè all’interno dell’Alpenvorland, non di rado mediante l’impiego di truppe rastrellanti provenienti dalle altre province della stessa area amministrativa. Non si trattava, in questo caso, di annientare gli ebrei ma di impedire la guerriglia partigiana. Di punire chi osava ribellarsi ai nazisti.


o Abbiamo parlato con Ferruccio Vendramini per cercare di capire meglio le differenze nello sviluppo della resistenza all'occupazione nazista all'interno delle tre province dell'Alpenvorland dopo l'8 settembre '43. Se a Bolzano, per ragioni molteplici, era difficile immaginare una forte diffusione del movimento partigiano, restano da analizzare le cause che videro il Trentino defilarsi in parte dalla lotta di resistenza, eccezion fatta per un'attività concentrata siprattutto nella parte meridionale della provincia dove si sono registrati anche episodi drammatici.

Pubblichiamo l'intervista in occasione del 55. anniversario dell'impiccagione dei dieci partigiani al Bosco delle Castagne, sopra Belluno, avvenuta il 10 marzo 1945. Fra le vittime dei nazisti, quel giorno, anche Mario Pasi, il comandante Montagna, medico ravennate, comunista, che aveva lavorato all'ospedale Santa Chiara di Trento prima di spostarsi nel Bellunese per unirsi alle formazioni partigiane operanti 
in quella zona.
A Mario Pasi è dedicata una piazzetta in centro storico a Trento a due passi da piazza Duomo.

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