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JACOPO FO: "A GENOVA QUALCOSA DI MOSTRUOSO"
"Avevamo cercato di convincere il movimento a cambiare programma"
by FreeFind
___________di Jacopo Fo___________________________________

E'stato sparso sangue e dolore a piene mani.
           Ancora una volta le forze dell'ordine hanno ucciso un ragazzo, ancora una volta ci troviamo a dover seguire un funerale. Il dolore che sentiamo dentro ci porta a guardare i fatti per cercare di capire. Perché noi non vogliamo che in futuro altri ragazzi muoiano. E questo ci costringe a riflessioni dure su questo momento. A chiederci: che cosa è successo? 
           Così ci sentiamo in dovere di fare la storia di questa tragiche
           manifestazioni di Genova. Per mesi c'è stato un grande dibattito nel movimento su come organizzare la contestazione al G8. Molti compagni proposero di seguire la via di Porto Alegre, cioè di non andare a Genova, come si decise di non andare a Davos, e di organizzare altrove una grande manifestazione pacifica che ci permettesse di comunicare con la  parola e la festa le ragioni del nostro dissenso. 
           Questa posizione parve ad un certo punto maggioritaria ma alla fine la rete di Lilliput ha deciso di andare a Genova. Fino all'ultimo abbiamo cercato di opporci a questa scelta. Siamo intervenuti più volte nel forum di www.tutebianche.org pregando di rinunciare a uno scontro che appariva certo. Scrivemmo a chiare lettere che a Genova si rischiava il morto e che questo era il progetto dei potenti della terra: radicalizzare in senso violento il Movimento costringendolo su un terreno militare. 
           Visto che ormai i più erano convinti di dover andare a Genova a tutti i costi abbiamo proposto di andare ai cortei nudi, con le mani alzate, e di non tentare assolutamente di entrare nella Zona Rossa. Questa posizione, a metà giugno, sembrava maggioritaria all'interno della Rete di Lilliput. Poi le Tute Bianche intensificarono le dichiarazioni sulla loro intenzione di violare la Zona Rossa e il Genoa Global Forum decise di accodarsi a questa scelta. 
           Il 7 luglio diffondemmo un comunicato nel quale dichiaravamo che il Partito dei Claun e Alcatraz avrebbero disertato Genova. Nessun giornale ripubblicò questo comunicato (vedi qui). L'unica voce in questo senso che arrivò sui giornali fu quella degli "anarco-ciclisti", il loro comunicato, che  annunciava una festa a Varazze, fu pubblicato da "Diario", all'inizio di luglio. 
           Ormai dopo il ragazzo ucciso in Svezia, le lettere esplosive e la pioggia di falsi allarmi per le bombe era chiaro che anche a Genova le probabilità  della morte viaggiavano alte. L'ultima settimana è stata per noi un bagno di angoscia, insieme a Dario Fo e Franca Rame e a tanti altri compagni, abbiamo cercato di convincere le Tute Bianche e il Genoa Social Forum a cambiare il programma, a spostare all'ultimo momento il raduno in un'altra località, a lasciare potenti e provocatori da soli con le loro armi. O, almeno, a rinunciare di avvicinarsi alla Zona Rossa. Agnoletto ci rispose che aveva portato questa proposta al coordinamento ma che era stata bocciata. 

           E arriviamo alla giornata tragica di ieri. Viene recitato un copione già scritto e rappresentato decine di volte negli anni '70. Piccoli gruppi di disperati e di provocatori scatenano gli incidenti. Le forze dell'ordine agiscono con  ferocia disumana, spingendo i gruppi violenti addosso ai gruppi pacifici e picchiando senza pietà. Certo condanniamo senza mezzi termini questo comportamento barbaro. Ma non possiamo non sapere che provocazione e crudeltà sono una prerogativa ovvia delle forze militari dei potenti della  terra. 
          Si tratta di reazioni meccaniche degli ingranaggi della repressione. Reazioni certe e prevedibili come quelle di una ghigliottina che ti uccide se infili la testa sotto la lama che sta calando. Un movimento che pretende di salvare il mondo dalla disperazione e dal sopruso non può far finta di non sapere che se infili la testa sotto una ghigliottina finisci decapitato. La nostra domanda è: come è stato possibile che la Rete di Lilliput, che professa con coraggio il pacifismo, abbia deciso di accettare lo scontro?

           Molti si stanno esercitando nei distinguo: i militanti di Lilliput erano per i fatti loro, inermi, in una piazza dove discutevano pacificamente e facevano musica. La polizia ha spinto alcune centinaia di violenti in quella piazza per avere la scusa di attaccare il corteo pacifico. Ma, cari amici, care amiche, la polizia fa così da sempre. Potevate credere che a Genova succedesse qualche cosa di diverso? Perché? Crediamo che un movimento che vuole cambiare il mondo debba prendersi le proprie responsabilità. Si è regalata la piazza alla violenza tradendo sostanzialmente l'idea di lottare senza dare        spazio agli scontri. E anche le Tute Bianche non sono riuscite, come era ovvio, a mantenere le loro promesse di limitarsi ad azioni difensive.
           Appena la polizia ha caricato a freddo il loro pezzo di corteo si è passati dalla semplice difesa all'attacco. Ed era ovvio che succedesse. La radiocronaca degli scontri fatta da Radio Popolare (e confermata dal Manifesto) ci ha raccontato di un cellulare dei carabinieri che, nelle prime ore del pomeriggio, è stato bloccato con alcuni cassonetti dell'immondizia e circondato. I carabinieri sono scappati, tutti eccetto uno che è restato bloccato dentro il mezzo, bersagliato da pietre, con alcuni giovani che saltavano dentro per colpirlo ulteriormente. 
           Il cronista di Radio Popolare urlava: "Lo massacrano!". Poi per fortuna la  folla ha iniziato a urlare:"Basta! Basta!!" e il linciaggio è stato interrotto anche grazie al sopraggiungere di un altro mezzo dei carabinieri. E' così che succede: quando si dà spazio alla violenza non si riesce a limitarla. 
           Un episodio analogo, un'ora dopo porterà alla morte di Carlo Giuliani: un poliziotto bloccato e ferito in un gippone perde la testa e uccide. E' chiaro come il sole che il comando militare dei potenti ha cercato il morto, che non si è limitato a difendere la Zona Rossa, resa invalicabile dalle reti di acciaio. Ed è veramente strano che gli agenti siano stati mandati al massacro a bordo di cellulari e gipponi che mancavano totalmente delle reti di protezione ai vetri, elementare garanzia di sicurezza in questi casi. Se ne sono dimenticati? 
           Negli anni '70 non c'era un solo mezzo che non fosse protetto con reti di acciaio dal lancio dei sassi. E' palese che in mezzo ai "Gruppi Anarchici" c'erano provocatori di professione e agenti speciali provenienti da mezzo mondo. E' indiscutibile che questo macello sia stato preparato scientemente da Bush e dai sui subordinati per spostare l'attenzione dalle  rivendicazioni del Movimento al disgusto per la violenza "dei soliti estremisti". E ci sono riusciti perfettamente. 

           Chi voleva fare dell'appuntamento di Genova uno strumento di comunicazione esce completamente sconfitto. Ha vinto la strategia fascista della tensione e della provocazione. E hanno vinto anche i gruppi  terroristici che potranno reclutare centinaia di giovani sconvolti dalla violenza del potere e desiderosi di vendetta. 
           Ha vinto la logica dei film western dove trionfa sempre chi è più bravo a fare violenza. E completamente fuori dal mondo ci è apparso il comunicato fatto davanti alle telecamere dal portavoce del Genoa Global Forum dopo la morte di Carlo Giuliani: si chiedeva di sospendere il G8, si lamentava che le forze dell'ordine non fossero disarmate come era stato chiesto, si  protestava perché i cortei pacifici sono stati aggrediti e si chiedeva come mai 400 casseurs, ben conosciuti dalle polizie di tutta Europa, avessero potuto entrare a Genova indisturbati. Il portavoce conosceva benissimo la risposta, ovviamente, si trattava solo di "domande retoriche". Si sa che il potere dei signori del mondo è un potere totalmente criminale che uccide ogni anno decine di milioni di persone per stupidità e per interesse. Il portavoce del Genoa Social Forum  avrebbe piuttosto dovuto chiedersi perché siamo stati così coglioni da regalare al mostro della violenza un altro lago di sangue. La Rete di Lilliput voleva questo? E' questo il risultato per il quale lavoriamo da anni costruendo concreti momenti di vita ed economia alternativa, etica e solidale? Se non era questo che si voleva, dobbiamo esercitarci in una pesante autocritica che coinvolge anche noi, disperate Cassandre, perché non siamo stati capaci di comunicare una filosofia diversa e un'iniziativa politica veramente altra rispetto a quella del potere. 
           O forse qualcuno pensa che versando sangue nelle strade d'Europa si  possa muovere la coscienza di milioni di cittadini ricchi del primo mondo e convincerli a ribellarsi? Non contateci. L'opinione pubblica oggi è schierata più di ieri a fianco dei potenti. Noi, ancora una volta, siamo stati accomunati ai teppisti. Se l'obiettivo era pagare col sangue la visibilità sui  media delle nostre denunce contro chi sta distruggendo il pianeta il flop è stato clamoroso. 
           O forse si pensa che chiedendo cose impossibili da ottenere risulteremo buoni agli occhi dell'opinione pubblica? 
           Noi crediamo che un movimento come il nostro debba chiedere solo quello che sa di poter ottenere e avanzare a piccoli passi convincendo e dando fiducia alla gente attraverso la solidità di risultati concreti. La demagogia non serve a sfamare i popoli. E oltretutto non educa a un'azione costruttiva e vincente. 
           Oggi faceva male agli occhi vedere la nostra pubblicità scanzonata sulla  prima pagina di Repubblica, sotto la foto del ragazzo ucciso. In un quadratino di pochi centimetri si leggeva: "Le persone serie stanno minacciando la sopravvivenza del pianeta. La situazione è seria, facciamola ridere! Iscriviti a un corso di Yoga Demenziale con Jacopo Fo."
           E' una pubblicità che è risultata oscena. Ma non possiamo dire che non ci siamo posti il problema di come sarebbe apparso il nostro messaggio se a Genova, come paventavamo, ci fosse stato il morto. Quando, una settimana fa, l'ufficio pubblicità di Repubblica ci ha detto che l'unico giorno  disponibile per l'uscita dell'inserzione era sabato 21 ci siamo chiesti se accettarlo o no. Decidere di far uscire quella pubblicità è stato doloroso. Forse è stato un eccesso di rabbia e impotenza. Ci assumiamo tutta la responsabilità di questo gesto drammatico.  Oggi niente appare più duro che continuare a costruire e propagandare la filosofia del ridere. Per noi ridere non è un condimento da usare per  insaporire i cibi nei giorni di festa. Ridere è la forma più alta ed efficace di opposizione al culto del dolore e del sacrificio. Alla liturgia dei funerali dove si piange e si celebra la fine della vita invece di festeggiare il fatto che prima della morte è esistita la vita. Ridere è lo strumento della nostra opposizione contro la miseria del mondo. Noi siamo quel popolo che va a ridere negli ospedali con i malati terminali, nelle periferie disastrate con i       ragazzi di strada, negli accampamenti dei profughi dietro i campi di   battaglia. 
           Il nostro cuore sanguina per i dolore di queste morti, di questa disperazione portata dalle armi. E mai come oggi è difficile trovare qualche cosa che faccia ridere. Ma il fatto che in questo articolo non si sia trovato lo spazio neppure per una battuta umoristica non è dovuto al nostro rispetto per la tragicità del momento ma alla nostra debolezza. E per questo ci impegneremo con più forza, nel cambiare ancor di più la nostra stessa cultura. Per liberare la nostra mente dai condizionamenti dell'ideologia del dolore. 
           Trovare sempre dove la follia distruttrice fa ridere è l'unica speranza. Solo una risata seppellirà la sofferenza di questo mondo. 

Questo intervento di commento ai fatti tragici di Genova e alla strategia del movimento NoGlobal è tratto dal sito Cacaonline.it.


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