ile interviste

Manguel: viaggiare nella lettura fra immaginario e computer
 

 
di FRANCA ELLER

    Il piacere di essere «viaggiatore». Di viaggiare con «suole di vento», di tracciare lunghe strade di polvere nelle mappe immaginarie dello spazio e del tempo. Di mutarne, a proprio piacimento, i labili confini e i relativi concetti: nell'eterna metafora del viaggio che accompagna le nostre letture.

  «Sant'Agostino sapeva che ogni lettore, quando legge, crea uno spazio immaginario, uno spazio costituito dalla persona che legge e dal regno delle parole lette; e lo colloca in un tempo immaginario, un presente/passato/futuro: è quello che Kant definitiva "il palazzo bordato di viola del dolce peccato". Questo spazio/tempo di lettura esiste sia nel mezzo stesso che lo rivela o lo contiene (nel libro o nel computer), sia nella sua essenza testuale e incorporea, ossia nelle parole conservate, nel corso del tempo, in un posto speciale nella mente del lettore. A seconda del fatto che si trovi all'inizio o alla fine di una certa civiltà, o che noi la consideriamo come il risultato di un processo creativo (come facevano i Greci) oppure come la sua fonte (come facevano gli Ebrei), la parola scritta diventa - o non diventa a seconda dei casi - la forza trainante di questa civiltà».

   Chi ci parla così è l'argentino Alberto Manguel, universalmente noto per la sua attività di romanziere e saggista, da noi scoperto grazie al suo «Manuale dei luoghi fantastici» (Rizzoli, '82) e alla recente uscita per Mondadori di una straordinaria «Storia della lettura». Incontrare Manguel è sempre un'occasione per approfondire la riflessione sugli scenari di un futuro immediato, in cui i contorni della cultura e della comunicazione vanno velocemente assumendo connotati nuovi e complessi.

   Alberto Manguel, a un convegno torinese in un intervento dal titolo «Il computer di Sant'Agostino», analizzava l'evoluzione storica del leggere, alla ricerca di affinità e differenze tra la mente umana e la mente elettronica.

   «Ad esempio - ci spiega - oggi non ci meraviglia la lettura silenziosa, mentre nel IV secolo leggere a voce alta era considerato non solo normale, ma indispensabile per la completa comprensione di un testo, in cui erano assenti spazi e punteggiatura». 

   Manguel, ci vuole spiegare la sua interpretazione del diverso concetto di «parola scritta» presso i Greci o presso gli Ebrei?

   «Per i Greci, che pure scrivevano assiduamente trattati filosofici, poemi, tragedie e transazioni commerciali, la parola scritta rappresentava solo un aiuto per la memoria, il libro era un'aggiunta alla vita civile, non il suo nucleo: per questo la rappresentazione materiale della civiltà greca è da ritrovare nello spazio, nelle pietre delle loro città. Per gli Ebrei invece, le cui transazioni erano orali, e per i quali la letteratura era quasi completamente destinata alla memoria, il libro - la Bibbia, la Parola di Dio rivelata agli uomini - diventò il nucleo della loro civiltà, e sopravvisse nel tempo, non nello spazio, attraverso le migrazioni di un popolo nomade. In un commento della Bibbia Agostino, attingendo direttamente dalla tradizione ebraica, notò che le parole tendevano ad avere le stesse qualità della musica, che trova la sua essenza nel tempo, e non ha nessuna particolare collocazione geografica».

   Dove collocare, allora, la lettura di un testo elettronico di oggi?

   «Il mio computer apparentemente non appartiene alla tradizione libro-centrica ebraica di Sant'Agostino, ma alla tradizione priva di libri dei Greci, che avevano bisogno di monumenti di pietra. Come il marmo per i Greci, le pietre di plastica del mio computer parlano (in realtà, grazie alle funzioni audio, esse parlano nel vero senso del termine!). E il rituale d'accesso al cyberspazio è, per certi versi, simile ai rituali di accesso ad un tempio o ad un palazzo, in uno spazio simbolico che richiede preparazione e convenzioni già studiate».

  Tutto questa significa che la nostra attività di lettura è declinata, ha perso le sue qualità più preziose, si è svalutata o impoverita?

   «Non direi. Sono tutte trasformazioni ovvie. L'ingiustificata paura della tecnologia, che ieri opponeva il volume al rotolo, oggi oppone il testo che scorre sullo schermo alla pagina multipla che sta in una mano del lettore umanista. Tra breve, un solo microcomputer da tenere in un palmo di mano permetterà di leggere un libro, ascoltare musica, giocare. D'altronde, credo che il libro, che ha saputo adattarsi assai bene a tutte le nostre necessità, rimarrà a grandi linee invariato, né perderà le sue funzioni aristocratiche. La maggior parte delle nostre società si sono costruite attorno ad un libro e per loro le biblioteche sono diventate un simbolo molto forte del potere. Possiamo dire che simbolicamente il mondo antico è finito con la distruzione della biblioteca di Alessandria; il ventesimo secolo finisce con la ricostruzione della biblioteca di Sarajevo».

  E' però legittimo chiedersi: saremo ancora in grado di leggere con spirito critico testi elettronici che noi stessi, i lettori, possiamo trasformare, rendere interattivi?

   «Ogni testo è, nel senso più profondo del termine, interattivo, poiché cambia in relazione ad un particolare lettore, in un particolare momento e luogo. Ogni singola lettura trascina il lettore nella spirale dell'interpretazione, come l'ha definita lo storico francese Jean Marie Pailler: ogni lettura aggiunge un giro alla sua vertiginosa ascesa. Non esiste l'archetipo platonico di alcuna lettura, come non esiste l'archetipo platonico di alcun libro».

   Un'ultima domanda: in questi nuovi spazi tecnologici, come riusciremo a continuare ad essere capaci di inventare, di ricordare, di imparare, di rifiutare, di esultare, di gioire? In che modo continueremo ad essere lettori attivi, invece di osservatori passivi?

   «Le cito Steiner, che citando un sonetto di Rilke diceva: una lettura seria e profonda cambia la mia vita; è un incontro con una apparizione imprevista, come un incontro all'angolo della strada con l'amante, con l'amico, con il nemico mortale. Non solo. Ogni lettore sa che ogni lettura è il prolungamento di un'altra, iniziata in un pomeriggio di migliaia di anni fa e della quale non sappiamo niente; ogni lettura proietta la sua ombra sulla pagina successiva, fornendole contenuto e contesto. In questo modo la storia cresce, strato dopo strato, come la pelle della società la cui storia è conservata dall'atto stesso di leggere. I testi raccontano storie in voci non ancora nate... e l'attesa continua: tutto questo non può renderci testimoni passivi».


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Non poteva mancare in uno spazio che vi propone "letture elettroniche" una riflessione sul tema 
del mezzo proiettato nel futuro del leggere e dei meccanismo del pensiero umano chiamato a interagire con la macchina "intelligente". L'autorevole intrlocutore è lo scrittore argentino
Alberto Manguel.
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