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Freschi di stampa: narratori e polemiche di primavera
Le scoperte Baresani, Santi e Ananìa. Il caso Veronesi. Le conferme Bugaro e Mazzucco
 

 di ROBERTO CARVELLI 
  Cita a ragione Karl Kraus, nel suo riuscito (a parte un’uscita troppo veloce, in conclusione) romanzo d’esordio "Il plagio. La volpe è un lupo che manda fiori" (Mondadori, lire 28.000) Camilla Baresani: «La critica sui giornali riesce sempre a esprimere in quali rapporti è col critico chi viene criticato». Chi scrive cerca con cautela di evitare di leggere altre critiche per vezzo di professionalità e perché si sa che il giudizio esterno diventa mediatore influente anche se laterale. Questo anche se si riconosce la gratuita accuratezza delle letture di Massimo Onofri su Diario o di Filippo La Porta altrove e di altri ancora. Ma è meglio leggerle dopo per assaporare un gusto personale salvo poi scoprire consensi. Eppure salta all’occhio, a lettura felicemente quasi ultimata di Sandro Veronesi "La forza del passato" (Bompiani, lire 27.000), la critica del Manifesto (a firma Enzo Di Mauro) che rimprovererebbe allo scrittore un ammiccante e pretenzioso spodestamento di miti (Pasolini, Moravia...) col solo esito di turbarne il silenzio - il loro sì fiero (sembrerebbe dire Di Mauro). Detto che Veronesi ha una grazia del particolare di lui tutta propria che emerge più saldamente dalle belle scritture giornalistiche di cui nel passato (ah, il passato!) ha beneficiato lo stesso quotidiano comunista, e che una misura breve permetterebbe di incastonare meglio (perché mai racconti, Veronesi?).

   Detto questo bisogna riconoscere che La forza del passato è il romanzo più riuscito dello scrittore di Prato che a dispetto della sua fama di (sempre)giovane scrittore ha dal suo esordio (Per dove parte questo treno allegro che ricorda molto quest’ultimo) un timbro molto adulto, ma anche vecchio se nessuno si offende. Qui c’è un gioco ben temperato di equilibri psicologici continuamente invertiti e di «tutto è il contrario di quel che pare» da sciogliere qualsiasi sospetto di maniera che ci faccia gridare alla faciloneria per la trama fantasmagorica e battuta dalle rotative (un autore di fiabe per bambini contattato da uno sgradevole ma bonario Bogliasco collega del papà scopre che il padre scomparso - pervicacemente anticomunista a sua memoria - era in realtà spia del KGB). Ammiccante? Al contrario: Veronesi giggioneggia col suo solito umor picaro e si prende tutto il tempo incastonando una magia di particolari. Postmoderno? Meno che mai. A ben vedere, le sentenze innappellabili sembrano inficiate da una presunta e non perdonata ascendenza (o discendenza) della/dalla new economy veltroniana da cui il dissotterramento dell’ascia di guerra.  «Veronesi somiglia molto al protagonista del suo romanzo...», è la frase della recensione che stroppia.

    Tormando alla Baresani e detto del frettoloso scioglimento della vicenda il suo romanzo solletica con maestria le corde del sarcasmo e dell’idiozia contemporanea tenendone insieme e avvolgendone i fili.
   La trama è da romanzo d’appendice: una delusa insegnante precaria rafforza l’attesa del nulla consumandosi tra un matrimonio borghese e casalingo (e così ricalca non volendolo le orme della madre) e l’ambizione di un esordio narrativo. A tempo debito dalla sua spedizione del dattiloscritto a case editrici scopre di essere stata plagiata da un anonimo Minghetti.
  Decide di pedinarlo e...il resto ve lo leggete.
Tutto è idiota: il marito, la moglie, lo scrittore imbarazzantemente fuori panni. Ecco la grande forza del tono narrativo della Baresani che quando è appena riuscita a depistare i lettori facendo credere la sua Clara mosca bianca della idiozia nera che la circonda, spodesta l’idea. Tutto sembra franare sotto i piedi conoscitivi su cui ci si era mossi sinora, con il prestito degli occhi della Clara-narratrice.

  Ecco che ogni cosa ci si rivela: aveva ragione Balzac citato «Non arriverà mai al delitto, non ne avrà la forza; però accetterebbe un delitto già compiuto, ne dividerebbe i profitti senza averne diviso i rischi». Uomini (e donne) senza qualità.

   Ma ora salviamo dall’anonimato la miracolosa forza della piccola editrice anconetana Pequod (una - ora scissa - delle triformi protuberanze del mito di Transeuropa, il Lavoro Editoriale di cui è bene fornire l’indirizzo: via Palestro 27) che ci consegna due nuove uscite. La prima di Flavio Santi "Diario di bordo della rosa" (lire 20.000) è un interessante romanzo di fantastica proliferazione linguistica non a caso garantito da Michele Mari. Ma qui ci fermiamo sulla seconda: "Il signor Ma" di Luigi Ananìa (lire 18.000). Stampa curata in ogni particolare, grafica ineccepibile tutte forme che hanno un loro contenuto. Sono racconti straordinari ma gli gioverebbe la vastità della categoria prose quasi una nobilitazione della narrativa verso la poesia. Si va dall’onirico Diritto al sale all’esistenzialista Tiziano. Straordinario il Canto del giovin beota in cui l’eros ha le immagini di un caleidoscopio che mette a fuoco un particolare e scontorna il resto. Il tono mitico, l’andatura inconcludente, evasiva, piena di scantonamenti, una sorta di manuale d’incontri amorosi tra reve e reverie. Di più, erotici.
Tutto concorre a farci pensare che spesso le cose belle sono lontane dalle tavole di tutti i commensali e di difficile reperimento. Vale anche per l’industria culturale un po’ troppo omologata e contenuta nell’esordio, salvo raddoppiarlo fingendo prima quella che è già terza battuta.

  Evocato lo spirito dell’anconetana concorrente Transeuropa evocato lo spirito di Pier Tondelli, come un tutt’uno. Della nidiata tondelliana faceva parte anche questo Romolo Bugaro che ne "Il venditore di libri usati di fantascienza" (Rizzoli, lire 26.000) ci presenta una prova interessante di narrativa psicologico-esistenziale per intenderci alla Claudio Piersanti, che infatti approva. A dispetto del precedente positivo ma smisurato La buona e brava gente della nazione Bugaro trova la misura esatta e il timbro giusto per raccontarci una tragedia familiare annunciata dal doloroso eclissarsi della madre. Il titolo bellissimo ma depistante è il nome del punto di vista esterno, il narratore della storia di Mario e Luca, padre e figlio.

  Concludiamo la nostra rassegna con la semplice verifica delle grandi capacità narrative e costruttive di Melania G. Mazzucco al suo terzo romanzo. "Lei così amata" è nella realtà la biografia quasi per intero vera della irregolare Annemarie Schwarzenbach, scrittrice, archeologa, fotografa e viaggiatrice vissuta in costante contraddizione nella prima metà del secolo XX.

    Per concludere: si potesse fare pubblicità come alle regioni, della letteratura italiana dovremmo dire che ce n’è per tutti... mare montagna... pace divertimento...


o Qualche sguardo sulla narrativa
italiana fresca 
di stampa

(11 maggio 2000)

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