ii percorsi

Kosovo, se vuoi la guerra, prepara la guerra...
Il tragico fallimento delle bombe umanitarie: la pulizia etnica ha solo cambiato segno
 


   Ricordate le alzate di scudi politicamente corrette della primavera scorsa? Gli editorialisti turbati dal dissenso dei pacifisti. Ricordate gli articoli in qualche caso offensivi nei riguardi di chi tentava di dire che la guerra umanitaria è una pia illusione, che le bombe seminano solo morte? Morte fisica e morte culturale. Che la guerra catalizzava le logiche violente e aberranti contro le quali - si diceva - veniva impiegata per porre fine alla crudele e criminale pulizia etnica attuata in Kosovo dal regime dispotico di Milosevic (che proprio durante i raid Nato ha riempito più che mai le fosse comuni).

   Il risultato oggi è abbastanza evidente: la guerra ha fallito, i pacifisti - purtroppo - avevano ragione e che cosa avranno da dire i grandi pensatori della geopolitica che anche su fogli di sinistra difendevano l'Europa del guerrafondaio atlantico Tony Blair e dei suoi discepoli della terza via socialdemocratica? (Altro il discorso dei non pochi che - con forte travaglio di coscienza e spaccando partiti e movimenti - hanno accettato, all'inizio, al grido "Mai più Auschwitz" l'idea di uno sbrigativo intervento armato davanti a violenze che evocavano tragicamente gli orrori del '900).
   Ma il tragico fallimento di una guerra che si è lasciata alle spalle un campo di battaglia di nuove violenze e persecuzioni (ai danni dei serbi, dei rom e di altre minoranze) in Kosovo e un paese in ginocchio ma con il suo grande capo ancora saldamente al comando in Serbia, è stato anche un'altra occasione persa dall'azione diplomatica nonviolenta. Se vuoi la pace, prepara la pace, diceva il buon padre Ernesto Balducci. Ecco, in Kosovo - come altrove - la situazione è stata lasciata degenerare per poi indicare all'opinione pubblica mondiale il vicolo cieco della guerra come unica via di uscita. Che via di uscita ovviamente non poteva essere. 
   Oggi, di fronte alle case in fiamme, ai serbi in fuga, ai rom che nessuno vuole accogliere e tutti vogliono cacciare, agli scontri di strada, alla nuova pulizia etnica di marchio - questa volta albanese, proprio come in molti temevamo la primavera scorsa - e all'impotenza della comunità internazionale, vogliamo gridare di nuovo che la guerra semina guerra, anche quando l'emergenza o la complessità della situazione sembra indicarla come unica "via di uscita" ragionevole. Ma vogliamo anche tornare a riflettere sull'alternativa nonviolenta. Quella che un anno fa si poteva, forse, ancora tentare, sia pure faticosamente perché poco si era fatto prima per rendere praticabile la via del dialogo. Se vuoi la pace, prepara la pace.
Ma farlo, evitando la facile retorica-boomerang di un pacifismo che non sia anche prassi possibile e costruttiva, non è né semplice né simpatico né indolore.

(z. s.)

o Molti di noi lo avevano detto schierandosi un anno fa contro la "guerra umanitaria" scatenata dalla Nato con il determinante contributo delle nuove sinistre europee folgorate sulla terza via dagli Usa muscolosi. 
Si temeva che la violenza, pur risolvendo un tragico problema contingente, avrebbe contribuito a innescare nuove dinamiche di crudeltà e incomprensione nel conflitto etnico. E così è stato.

Il dramma oggi: di Giulio Marcon (Ics)

Appello contro la pulizia etnica oggi

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Kosovo
24 marzo 2000

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