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pensieri

Sinistra: ricominciare dalla strada, non dal Palazzo
Il nuovo governo e il fallimento di una politica ostaggio del sistema economico
 


   Governo nuovo, ministri vecchi. D'Alema se n'è andato. Ci piacerebbe poter dire che l'evento stimola riflessioni e dibattiti. Invece, a fatica tiriamo fuori qualche parola, a parte osservazioni piuttosto ovvie. Tipo che in fondo non si capisce perché D'Alema si sia dimesso dopo un semplice voto amministrativo (come non si era capito perché fosse stato silurato Prodi); o meglio, perché D'Alema abbia accettato di rivestire "all'italiana" le urne regionali di significati impropri senza che poi, tra l'altro, la sua coalizione abbia voluto trarne le conseguenze logiche ed estreme (elezioni anticipate o governo di destra...) ma le abbia usate a uso e consumo proprio come sondaggio di mercato. Tipo che gli acrobatici equilibrismi dei Verdi sono penosi e che tra un po', a forza di accettare le logiche più deteriori della partitocrazia e della ragione politica omologante, il Sole che ride (qualcuno si ricorda lo storico dibattito sul tema movimento o partito?) dovrà far ricorso all'algebra per misurare i suoi voti in caduta libera. Questo dopo raffiche di passi falsi, dai tragici e malcelati tentennamenti durante la guerra del Kosovo alla recente messa a tacere dei sussulti di dignità per favorire una caccia alle poltrone non si sa perché ma si intuisce per chi. Tipo che senza scandalo e con singolare tempismo dopo le esequie di Bettino Craxi son tornati i socialisti, proprio gli stessi del Psi "prima Repubblica": il fido consigliere Giuliano Amato, il braccio destro Ugo Intini, il compagno Ottaviano Del Turco.Tipo che l'Italia, come dice Bobbio descrivendo l'evidenza, guarda a destra; ma questa, tuttavia, non pare una ragione per indurre la sinistra a fare lo stesso (a meno che - cosa ormai probabile - anche alla politica non si applichino le regole del mercato). Tipo che invece la sinistra fa proprio così: in mancanza di ogni altra elaborazione ideale nella crisi buia e scontata del suo retroterra più o meno marxista, si tuffa nel mercato, abbraccia l'ineluttabile capitalismo (versione postmoderna della folle idea di fine della storia: inquietanti le analogie con il determinismo marxiano...) e si accontenta di offrirne un modello - si presume - dal volto umano, che significa - qua e là - differenziarsi in qualche dettaglio dalle ricette della destra.
   Fin qui il più o meno ovvio. Se vogliamo spingere un po' oltre l'analisi, vediamo anche che crescono la sensazione di disarmo e quasi di indifferenza ai giochi del Palazzo e l'impressione di una distanza che si accentua fra chi dovrebbe detenere la sovranità politica (il popolo o la "società")  e i sorrisini compiaciuti di destra di centro e di sinistra nelle schermaglie oratorie sul nulla e dintorni. Come se, settimana dopo settimana, si inverasse in un tragico crescendo la teoria analitica di Chomsky sulla società dell'esclusione, sulla disinformazione di regime, sulla volontà del Potere di rimescolare di continuo le carte per rendere complicate e farraginose agli occhi del popolo - con la complicità di mass media poco onesti - tutte le cose, piuttosto semplici e afferrabili dai più, attorno alle quali ruotano le scelte di governo. 
   L'impressione è che anche questa patetica crisi di governo abbia dato la misura di una paralisi profonda della politica. Dell'improprietà dei suoi strumenti a rispondere ai bisogni reali delle persone a livello locale e globale. Di una politica che si ostina a inseguire i bisogni virtuali, a governarli - bene o male - e così alimentare il circolo vizioso in cui ci ha ingabbiati il sistema dei consumi e delle leggi economiche trasformate in modello di organizzazione sociale (Emma Bonino docet). Ma si può pensare di calare le leggi dell'economia sulla testa delle persone per risolvere i problemi dei rapporti di convivenza? Secondo questa politica, sì. E più lo fai e più bravo sei. E più cedi ai ricatti globali e più presentabile sei alle passarelle in doppiopetto che decidono il destino della gente di questo pianeta. E più cedi ai ricatti locali (tipo sgombrare un campo nomadi o segare le panchine agli immigrati) e più ti votano per continuare ad alimentare il circolo vizioso che non distingue fra destra e sinistra. 
  La sensazione è che sia necessario veramente ricominciare, rimettere in discussione tutto: il paradigma di questa società e dunque di questa politica.   Allora, forse, avrà un senso parlare di destra e sinistra. Possibile che tante baggianate liberiste occupino lo spazio pubblico fino a diventare elementi acquisiti per forza d'inerzia? E questo mentre svaniscono nel vuoto le elaborazioni teoriche proiettate oltre il dominio dell'economico, oltre la centralità del lavoro (sublimato tanto dal capitalismo quanto dal postmarxismo nelle sue varie rappresentazioni di governo e di opposizione), oltre i limiti di una democrazia malintesa e sempre più escludente?
  Da dove partire? Certamente non da questa politica.
  Dalla società. Porta a porta. A scuola, in piazza, nelle case. Inventando percorsi. Si può agire dal basso scoprendosi mediatori fra le contraddizioni, le guerre tra poveri, le ansie da immigrazione o da centro acquisti. Trasformandosi in guastatori nonviolenti delle feste di potere che sulla pelle della gente che soffre veramente invertono le priorità per ragioni di calcolo elettorale a breve termine, ricatti "internazionali" o localistici, "servizi" alle imprese, semplice inconsistenza intellettuale. Cercando i linguaggi di una comunicazione nuova, che sappia mettere il peso del disagio di ogni natura anche sulle spalle di chi, oggi, al massimo ne è spaventato - insieme vittima e carburante del circolo vizioso che ha ucciso la politica. 
   E' immaginabile un percorso teorico e pratico, tutto orizzontale, che possa affiancare all'impegno diretto sui numerosi temi dell'ingiustizia globale e locale il tentativo di rafforzare via via i contorni di una politica "vera". Servono coraggio, consapevolezze e progetti nuovi mediante i quali - eventualmente - tentare poi anche una contaminazione dal basso della politica istituzionale per verificare una possibile pratica democratica altra, allargata, partecipativa, che dal locale si allarghi al globale. Faticoso, certo. Ma forse qualche utile punto di riferimento può servire a diradare la nebbia fitta che sembra avvolgere ogni cammino fuori da una omologazione percepita come ineluttabile. Oggi il cammino antagonista sembra visto dai più, se va bene, come ammirevole ma vano impegno altruista; se va male, come velleitario e un po' narcisistico ribellismo individuale e autocompiaciuto. E allora ecco che, archiviato l'antagonismo, ci si accontenta del "meno peggio": di governi che ci assicurino almeno contro le nefandezze peggiori di un sistema che ci appare invincibile. Ma in realtà proprio quel "meno peggio" rischia di diventare la migliore garanzia di conservazione dei principi che generano queste folli regole del gioco liberista. Lo diciamo pur avendo presente l'orrore rappresentato, nel caso italiano per esempio, dall'ascesa al governo dei figuri che agitano la destra affaristico-postfascista-etnoavventuristica che forse avrebbero, tuttavia, il "pregio" involontario di fungere da catalizzatori del risveglio sociale e quindi del cammino antagonista.
   Qualche punto di riferimento, si diceva.
 Oggi, per esempio, ci si ammala e si muore - nel Sud povero ma anche nel Nord ricco del mondo - soprattutto in seguito al modello di organizzazione sociale, economica, produttiva. Si muore qui e ora (non in un futuro indeterminato cui troppo spesso fanno riferimento molti ecologisti distratti) di inquinamento, di alienazione da lavoro, di disoccupazione, di povertà (cioè di diseguaglianza sociale), di infelicità, di inibizione della fantasia, di frustrazione nei momenti di lucidità che sfuggono all'occupazione delle mente a opera del supermercato globale. Scriveva Fromm: "Il nostro sistema economico deve creare individui adeguati alle sue necessità, che vogliano consumare sempre di più. Ha  bisogno di individui che credano di essere liberi e indipendenti ma che, ciò  nonostante, si comportino così come ci si aspetta da loro, uomini che si inseriscano senza attriti nella macchina sociale, che possano essere guidati senza ricorso alla  forza”. 
  Ecco: la politica, la sinistra, oggi, è  in grado di indicare percorsi di liberazione individuale/collettiva fuori da questa forma di oppressione? No, appare piuttosto incatenata ai suoi ritardi, ai vuoti di elaborazione teorica, ai fallimenti del marxismo messo in pratica (e tuttavia, se i più si sono convertiti acriticamente al libero mercato, c'è ancora chi si illude che il totalitarismo dell'Est sia stato solo un errore del cantiere e non del "progettista"...), allo stato confusionale di uno smarrimento epocale, senza grandi idee né coraggio di interrogarsi fino in fondo. Allora, se bisogna ricominciare, lo si dovrebbe fare proprio dal coraggio di riaprire la riflessione su concetti nobili  (sia pure deturpati dalla loro storica applicazione in chiave marxista) come socialismo e comunismo oppure, forse meglio, comunitarismo, intesi come nuove ricerche della dinamica di libertà e giustizia nel rapporto fra individuo e collettività e natura (facendo ricorso, per esempio, anche a una rilettura dei numerosi pensatori di ambito socialista anarchico e libertario che - spesso derisi o zittiti - hanno denunciato guasti e tragiche analogie fra capitalismo e marxismo). Recupero della responsabilità individuale, coraggio e onestà intellettuale sono gli elementi essenziali di un percorso "post-politico" inteso anche come rottura con la perniciosa eredità machiavellica per superare il dualismo etica/politica. Perché etica e politica sono inscindibili così come lo sono etica e libertà, giustizia e libertà, etica e giustizia... 
   Ci aiuterà, per riordinare le idee, un vecchio motto socialista. Quello della prima internazionale: "Niente diritti senza doveri, niente doveri senza diritti".
  Ecco, la sinistra oggi sembra aver dimenticato i suoi doveri originari. Di giustizia e di libertà. Bisogna andare oltre. Cominciando per strada, non nel Palazzo.
o Piccoli pensieri dopo il ricambio 
a Palazzo Chigi.
Fra politica
e società...

(2 maggio 2000)

Il dominio
dell'economico
come nel
capitalismo
così nel marxismo:
Cornelius
Castoriadis
 

 

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