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 Erwann Menthéour: ciclismo fra autoritarismo e doping
 


   Se qualcuno avesse ancora dubbi sul livello di «inquinamento» del ciclismo, potrà fugarne leggendo il libro-confessione dell'ex professionista francese Erwann Menthéour. Arrivato in fondo alle 126 pagine (Baldini&Castoldi, 16 mila lire), chiudi il libro e ti chiedi se valga ancora la pena di emozionarsi al sudore sulle fronti rosse al sole del Pordoi o dell'Alpe d'Huez. Anzi, ti passa proprio la voglia. E se hai pure un rapporto «sentimentale» con sellino, cambio a nove velocità e cardiofrequenzimetro, quasi quasi ti viene rabbia a vedere tristemente confermato il lucido sospetto che (anche) il ciclismo sia soprattutto showbusiness dove tutto è permesso nel nome dello spettacolo. Che deve andare avanti a ogni costo, agli incidenti di percorso si risponda pure con indignate quanto ipocrite alzate di scudi; poi via, avanti tutti a testa bassa alla ricerca di nuove frontiere, non tanto del corpo umano in natura ma della sua «integrazione chimica».

   «Il mio doping» è il titolo del libro di Menthéour, scritto con Christian Blanchard. Una confessione raggelante. Cose che da qualcuno magari si sono già sentite sottovoce, qualche promettente juniores che rinuncia al dilettantismo perché circolavano strani personaggi e «cure» poco rassicuranti. La ridda di voci che circonda l'ambiente è cosa non nuova; altro le dichiarazioni ufficiali e le misure sospensive prese per «tutelare la salute degli atleti». E di riguardarsi, Menthéour confessa di aver avuto grande bisogno, quando ingoiava «un po' di tutto», com'era d'uso, anfetamine e altri cocktail e metodi nella «raffinata» evoluzione del settore ciclistico della «ricarica muscolare». Cresciuto da piccolo all'ombra del fratello maggiore Pierre-Henry, professionista che non riuscì a svettare, Erwann aveva uno scopo solo nella vita: imitare quel suo idolo di famiglia. E il padre, alle spalle una brillante carriera in polizia, proiettava nei figli la sua voglia di emergere: prima Pierre-Henry, poi Erwann. L'importante era arrivare in alto. Non importava tanto come. 

   Nel suo diario, Menthéour descrive un ambiente superficiale al limite del cinismo, costruito sui valori dell'apparenza e della forza sui pedali nella sua percezione più cruda e lontana anni luce da ogni implicazione filosofica sull'uomo e la bicicletta. Altro che la poesia del ciclismo. Già ai tempi giovani delle corse di provincia in Francia, circuiti in qualche modo «aggiustati» dalle mafiette sportive locali (pratica che peraltro sembra sconfinare in territori ben più aristocratici), ragazzotti «schizzati» che amano la bella vita - donne e night club - e tuttavia si sottopongono ad allenamenti e a ritmi di gara sovrumani. E concorrono - giocoforza - anche sull'armamentario farmaceutico per recuperare e potenziare. «Il passaggio all'atto si fa poco a poco», spiega Erwann. Con l'intensificarsi dei carichi agonistici si passa via via, assistiti dai soliti figuri senza scrupoli, dagli integratori vitaminici e minerali ai corticoidi, alle anfetamine e tutto il resto. «Alcuni resistono più di altri, ma finiscono tutti per cedere. Per amore della bicicletta e per il gusto di vincere». E poi di festeggiare. 

  Ma Menthéour spiega che in gioventù si può essere anche «forzati» della bella vita: carichi di anfetamine, eccitati come semafori impazziti, non resta che scatenersi nella notte, con conseguenti carenza di sonno e aumento della dose di eccitanti per pedalare lo stesso... Poi, verrà anche l'epo, l'eritropoietina per accrescere il numero dei globuli rossi. Erwann, una volta fu «beccato» con l'ematocrito al 58% e sospeso. Poco dopo, grazie a una fiala miracolosa, il valore scese al 47,7%, sotto la soglia «di rischio» del 50% e lui mentì ai giornalisti: «Ero tra i favoriti, sono stato vittima di una forte diarrea che ha provocato una sostanziale disidratazione con conseguente emoconcentrazione. Mi hanno dato del dopato. È un grave torto morale e sportivo».

   Ma alla fine decide di uscire, dopo l'incontro con un collega malato di cancro probabilmente causato dalle sostanze assunte. Erwann si lascia alle spalle la desolazione di personaggi vittime di un sistema impazzito («Ma ho anche conosciuto ciclisti "puliti". Due extraterrestri!»). Menthéour lancia il suo J'accuse ma con pietà per chi sta sul palcoscenico costretti a tacere e ingoiare per far carriera. Ma tutti, sia chiaro, fisicamente superdotati a prescindere dal doping. «È un piccolo mondo che recita una commedia fatta di ricatti e ipocrisie. Vogliono tutti dei risultati. Vogliono che gli investimenti fruttino. Anche se fingono che non è così. Doping e corruzione, un'unica lotta». E a pagare, alla fine, sono loro, attori e «cavie» in bicicletta: «Ai corridori capita raramente di diventare nonni».


o   Vi ricordate una volta? Il ciclismo era un simbolo del rapporto del rapporto dell'essere umano con se stesso, con il suo corpo, con la fatica con lo spazio, i luoghi, la natura.
   C'era qualcosa di "puro" che avvolgeva l'immagine del ciclismo. Ora non c'è più. Ematocrito, epo, cocktail di droghe, lotte spietate, mercati sotterranei, connivenze nel grande carrozzone che trasforma tutto in spettacolo da dare in pasto a una platea instupidita o ritenuta (a torto) tale.
   La perdita di questa carica simbolica del ciclismo è deprimente ma ci consoleremo con tutti quelli che ancora fanno della bicicletta uno strumento di vita e di incontro, begli spostamenti quotidiani casa-lavoro-scuola o nelle escursioni domenicali La filosofia della bicicletta è libertà e lentezza, altra visione del mondo rispetto al movimento motorizzato, recupero o conservazione della salute. Spiace che il gap "concettuale" fra l'agonismo che è sempre meno divertimento e la pratica quotidiana sia diventato enorme nel grande turbinio del doping. Consoliamoci con la purezza dei ciclisti (e di tutti gli altri sportivi per sport, filosofia e salute...).
   Un giorno, forse, anche la sfida, la competizione fisica recupererà una dimensione un po' più umana e giocosa di quella descritta qui da Erwann Menthéour.


Un'intervista-verità con un ex ciclista professionista bolzanino presto
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