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Il “Cuore di tenebra” oggi
Congo, alle origini di una guerra che ha le radici nella crisi degli anni '90
 

di MARCO PONTONI

  "Stavano morendo adagio adagio, era chiarissimo. Non erano nemici, non erano criminali, non erano più niente di terrestre – soltanto ombre nere di malattia e di fame, che giacevano alla rinfusa in quella penombra verdastra. Importati da tutti i recessi della costa con tutta la legalità dei contratti a termine, sperduti in un ambiente estraneo, nutriti di cibi inconsueti, si ammalavano, diventavano inefficienti e venivano autorizzati a strisciare via e a riposare. Queste sagome moribonde erano libere come l’aria – e quasi altrettanto sottili”.

   Questa la descrizione fatta dallo scrittore anglo-polacco Joseph Conrad nel suo celebre Heart of Darkness (Cuore di Tenebra), pubblicato nel 1902, del trattamento riservato alla manodopera africana impegnata nella costruzione della ferrovia Matadi-Leopoldville, attraverso la grande foresta equatoriale del Congo. All’epoca di Conrad il paese era sottoposto all’arbitrio pressoché assoluto di uno dei più feroci tiranni che l’Africa abbia mai conosciuto: re Leopoldo II del Belgio, il quale, al Congresso di Berlino del 1885, fece di questo sterminato territorio (più di otto volte l’Italia) una sorta di possedimento personale, spremuto come un limone dalle compagne concessionarie. 

   Quale attualità conservano, oggi, a più di un secolo di distanza da quegli eventi scandalosi e scandalosamente dimenticati, le parole di Conrad? Un’attualità sconcertante. Perché quello che lo scrittore, e navigatore di lungo corso, voleva descrivere nel suo romanzo non era tanto – come si è preferito credere in seguito – il processo di progressivo imbarbarimento a cui sono soggetti gli europei nell’“Africa selvaggia”. Quanto piuttosto (lo ha fatto notare recentemente anche Mario Vargas Llosa) il naufragio delle pretese civilizzatrici dell’uomo bianco, messo di fronte alle incredibili ricchezze di un continente che era così facile depredare, con la violenza delle armi, e con quella più sofisticata ma non meno crudele del diritto. Tale infatti è Kurtz, l’agente della Compagnia che dimora nel cuore della tenebra; un uomo “civilizzato” che mette la sua intelligenza e il suo acume al servizio della più elementare delle passioni, la cupidigia. Quella stessa cupidigia che è uno dei moventi fondamentali del conflitto che si consuma oggi, e che ha causato già quasi due milioni di morti.

   La guerra attuale affonda le sue radici nella crisi apertasi nella regione dei Grandi Laghi nei primi anni ’90, con la progressiva “decomposizione” del regime di Mobutu Sese Seko, che reggeva il Congo_Zaire dal 1965 (una delle più longeve dittature dell’Africa post-coloniale, appoggiata fino al 1989 dagli USA in chiave anticomunista) ma anche con il precipitare dei conflitti a sfondo etnico (o meglio, manipolati in chiave etnica) in Rwanda e Burundi. Dopo il genocidio rwandese nella primavera-estate 1994 (800.000 persone sterminate dagli estremisti dello Hutu power ed in particolare dalle milizie Interahamwe) e la successiva presa del potere nel paese del Fronte di liberazione di Paul Kagame (a maggioranza tutsi, appoggiato dall’Uganda) un’inedita coalizione Uganda-Rwanda-Burundi penetra nel Congo arrivando fino alla capitale Kinshasa e provocando la caduta di Mobutu (17 maggio 1997), che morirà di lì a poco in esilio in Marocco, dopo una peregrinazione nelle varie capitali europee ed in particolare un lungo soggiorno in Svizzera. A prendere il posto di Mobutu è Laurent Désiré Kabila, un’ambigua figura di rivoluzionario conosciuto anche dal Che Guevara all’epoca della sua missione in Congo. Kabila non porta affatto la democrazia; il risultato più vistoso del suo governo (interrottosi lo scorso gennaio, con il suo assassinio) è la spaccatura ben presto consumatasi nei confronti degli ex-alleati, soprattutto Uganda e Rwanda, che nel frattempo si sono saldamente insediati in circa il 50% del paese (e che si sono combattuti aspramente per il controllo della città di Kishangani, l’ex- Stanleyville). Nella parte orientale del Congo, intanto si è formata una coalizione anti-Kabila (oggi schierata contro il figlio Joseph Kabila, che ha ereditato il potere del padre avviando, sembra, una prima fase di distensione con la mediazione di Washington). Questa coalizione di “ribelli” prende il nome di RCD (Rassemblement Congolais pour la Démocratie), e comprende tra l’altro alcuni ex sostenitori di Kabila senior, in particolare i Tutsi congolesi. I governi di Angola , Zimbabwe, Namibia e Ciad vengono invece in aiuto del governo centrale di Kinshasa, bloccando la marcia dei ribelli e impedendo loro di conquistare l’intero paese. 

   L’RDC presto sperimenta un processo di frantumazione interna. Ad esempio Jean-Pierre Bemba (il signore della guerra che ha partecipato al Simposio di Butembo si stacca dalle forze della ribellione per fondare il proprio Movimento per la Liberazione del Congo (MLC), recentemente ricongiuntosi ad un altro spezzone dell’RDC, quello di Wamba-dia-Wamba, dando vita all’FLC (Fronte di liberazione del Congo). L’FLC è attualmente appoggiato dall’Uganda, paese in forte crescita economica e allievo modello del Fondo monetario internazionale, che sembra ormai intenzionato a disimpegnarsi (sono in corso in questi giorni le elezioni presidenziali; nei manifesti elettorali del candidato favorito, il presidente uscente Museveni, che abbiamo visto un po’ dappertutto, la pace viene indicata come uno dei principali obiettivi da raggiungere).

   I gruppi armati che combattono contro l'FLC e contro l’ RCD ricadono principalmente in due categorie: i nazionalisti (o patrioti) Mayi-Mayi, un'ampia gamma di forze irregolari, spesso senza alcuna esperienza militare, e gli Interahamwe, milizia hutu rwandese che era a capo delle forze che condussero il genocidio in Ruanda nel 1994. In alcune zone del Sud Kivu, gruppi armati prevalentemente hutu collaborano anche con gruppi ribelli di burundesi, in particolare le Forces pour la Défense de la Démocratie (FDD).
Il governo di Kabila, i gruppi ribelli che ad esso si oppongono, e i governi stranieri alleati alle due parti in conflitto hanno firmato un accordo di pace a Lusaka a luglio-agosto 1999, ma non è stato messo in pratica. A metà aprile 2000 hanno poi firmato un nuovo accordo di cessate il fuoco. I Mayi-Mayi, i gruppi armati prevalentemente hutu, e l'FDD burundese non sono stati invitati a partecipare ai negoziati né del primo né del secondo accordo (ma i Mayi Mayi hanno fatto pervenire i loro messaggi al Simposio di Butembo, in particolare uno, proveniente dal gruppo in carcere a Bukavu, molto significativo sotto il profilo politico, in quanto contenente anche aperture nei confronti dei tutsi Banyamulenghe, privati della cittadinanza congolese da Mobutu e in seguito utilizzati dal Rwanda come pretesto per invadere il Kivu).

   Non è infine difficile, guardando questa guerra “in filigrana”, scorgere dietro ai vari eserciti e alle varie milizie, come pure dietro ai civili ingiustamente perseguitati, dietro ai campi profughi, dietro alle cosiddette “etnie” (parola che bisognerebbe utilizzare sempre con timore, poiché essere classificato come parte di un’etnia, in certi luoghi e in certi momenti storici, può equivalere ad una condanna a morte) anche ragioni più “familiari”. La ricchezza, innanzitutto, costituita dagli straordinari giacimenti minerari del paese, sfruttati tra l’altro dalle multinazionali americane, canadesi, britanniche e sudafricane. Ma anche gli interessi strategici delle grandi potenze del mondo post-comunista: gli USA, che in questo momento appoggiano sia l’Angola sia l’Uganda e il Rwanda (e che quindi, come ci ha spiegato l’ambasciatore italiano in Uganda Napolitano, di fatto hanno il controllo della situazione e potrebbero giocare un ruolo determinante nella transizione in corso in queste settimane); e poi l’ala “francofona”, ultimamente in ribasso, cioè Francia e Belgio (la Francia in particolare in passato si era molto esposta con il regime “genocidiario” di Habyarymana in Rwanda, e oggi fatica a ritrovare un proprio ruolo credibile).

  In questo quadro confuso e convulso spiccano alcune forze, che sono poi quelle da cui è partita l’idea del Simposio e della Marcia per la pace di Butembo (che originariamente doveva tenersi nella città di Bukavu, nel Sud-Kivu, le cui autorità hanno però negato le autorizzazioni): sono le diverse associazioni per la pace, i diritti umani e l’integrità territoriale del Congo, riunite sotto la sigla Societé Civile, presente a livello sia regionale che di singoli centri urbani; ed inoltre le diverse chiese, cattolica, evangelica, protestante, anglicana, kimbanguista, musulmana, che in varia misura hanno dato il loro contributo per la riuscita del SIPA (alcune in realtà negli ultimi anni hanno dato anche un contributo di sangue al difficile processo di pacificazione del paese).

   Queste forze, e la popolazione civile che le sostiene, sono state le vere protagonista del SIPA.
 



 
 
o La missione
di diplomazia
popolare
dei pacifisti
in Congo
Di Marco Pontoni
 

(15 marzo  2001)

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