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Camus: mi rivolto, dunque sono...
 


   Chi volesse scoprire o ritrovare la straordinaria onestà intellettuale di Albert Camus (1913 - 1960) e il suo rifiuto di ogni dogma che ingessa la persona e la società, non dovrebbe perdere la raccolta di scritti «La rivolta libertaria» (a cura di Alessandro Bresolin, Elèuthera, 216 pagine, 26 mila lire). 
   Un percorso sotto il segno della libertà, con sguardi profondi e sofferenti alla Spagna della guerra civile e all'Algeria della lotta per l'indipendenza. Proprio l'analisi delle vicende del travagliato paese nordafricano mostra la lucidità di Camus nel rifiutare schieramenti esclusivi, come se il grande scrittore francese (che in Algeria era nato) avesse la chiara consapevolezza dei rischi proiettati nel futuro di un'indipendenza costruita su categorie etniche e religiose ai limiti del fanatismo. Oggi, forse, osservando il bagno di sangue che si va perpetuando in Algeria, è più facile comprendere quell'angoscia e quell'impegno al fianco delle forze del dialogo, oltre le barriere della rigida appartenenza (e in questo ambito il pensiero va naturalmente a un altro pensatore che ha fatto della fiducia nell'incontro fra diversi e nei «saltatori di muri» il catalizzatore della sua azione: Alex Langer).
   «La eccezionale lucidità degli interventi politici di Camus è il risultato di un'ostinata presenza al proprio tempo e di un'esigenza radicale di verità. Gli intellettuali barano, Camus rifiutava di barare», scrive Goffredo Fofi nella sua bella prefazione al volume. «Ma non barare (non mentire a se stessi e agli altri) - aggiunge - è difficile, è una fatica, è la rischiosa opzione che può mettere contro di noi il gruppo, il clan, il partito; è la capacità di resistere alle idee dominanti nel proprio tempo, concedere alle quali porta mille vantaggi; è il camminare senza farsi trascinare, e magari esaltare, dall'onda; è avere una propria morale e filosofia, un proprio modo di intendere il rapporto tra quotidianità e progetto». 
   Il filo conduttore, si diceva, è l'idea della libertà come valore supremo e irrinunciabile. La libertà dell'individuo che finisce dove comincia quella di chi gli sta accanto. Non il pane né promesse di giustizia futura potranno essere barattabili con quell'idea di libertà. Chi ti dà pane in cambio di libertà, come se il primo non dipendesse anche dalla seconda (nei rapporti di produzione e non solo), ti raggira e ti domina fino alla fame. E chi ti dà giustizia in cambio di libertà ti imbroglia egualmente, perché le due cose non sono separabili, come le stesse esperienze totalitarie dell'Est europeo hanno ampiamente dimostrato (resta memorabile la polemica fra Camus e i marxisti ortodossi, quelli che in Francia erano chiamati «cesarei», Sartre prima di tutti...).  La sofferenza costruttiva di Camus è questa: è il cammino faticoso dell'onestà sul sentiero di un'utopia socialista «altra», figlia soprattutto del pensiero anarchico, che guarda agli oppressi come «protettori naturali» della libertà. Questo è ciò che mostra la storia, dai liberi comuni contro il feudalesimo al movimento operaio contro lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. E adesso? Sentiamo l'attualissimo Camus del 1953: «Se oggi, in gran parte del mondo, (la libertà) arretra, è certo perché le imprese specializzate in asservimento non sono mai state più ciniche e meglio armate, ma anche perché i suoi veri difensori, per stanchezza, per disperazione o per un'idea sbagliata di strategia e di efficacia, se ne sono allontanati. Sì, il grande evento del nostro secolo è stato l'abbandono dei valori di libertà da parte del movimento rivoluzionario, la progressiva ritirata del socialismo della libertà davanti al socialismo cesareo o militare. Da quel momento ogni speranza è sparita dal mondo, ed è iniziata la solitudine per ogni uomo libero».
   Da questa analisi cruda, l'invito a «restaurare, fin da sùbito, dentro di noi e intorno a noi, il valore della libertà». Come? Negando gli schemi precostituiti, le gabbie degli stereotipi sociali, economici e culturali, facendo tesoro delle «poche libertà democratiche di cui ancora godiamo». Libertà, dunque, da costruire con il sudore dell'onestà intellettuale, della ricerca contro i dogmi, per tendere a un mondo migliore («non è un dono che si riceve da uno stato o da un leader, è un bene che si conquista ogni giorno grazie agli sforzi di ognuno e all'unione di tutti»). Questa è la forza della testimonianza di Camus, la fiducia nell'essenza dell'idea di libertà che porta con sé pane e giustizia («La ruota gira, la storia cambia, si avvicina il momento, ne sono certo, in cui non saremo più soli»). È alla vita di ognuno che Camus si rivolge. È nella vita di ognuno e di tutti in cui crede fermamente. Il suo è, in fondo, amore e fiducia nell'amore degli opressi che un giorno vivranno una liberazione fatta di tante libertà da conquistare a una a una. «Mi rivolto, dunque siamo»... * Albert Camus, "La rivolta libertaria",
a cura di Alessandro Bresolin,
Elèuthera, pagine 216, lire 26 mila,


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ALBERT CAMUS
nacque nel 1913 in Algeria. La sua era una famiglia povera,
ciò nonostante il giovane Albert, ragazzo brillante, va al liceo e poi all'università ad Algeri (sarà la tubercolosi a interrompere il suo percorso accademico). Come altri autori di estrazione proletaria - pensiamo per tutti allo svedese Stig Dagerman - Camus vive con sofferenza intellettuale i temi della povertà e della condizione umana. Nel suo percorso lo scrittore - che nel frattempo si trasferirà in Francia - sviluppa l'idea della ribellione contro un sistema di convivenza assurdo e crudele. La ribellione come assunzione di responsabilità del singolo e dei gruppi per riaffermare la dignità di ognuno in una prospettiva di giustizia e di libertà (Camus è vicino al pensiero anarchico e alle organizzazioni che ne sono espressione in Francia). In questo quadro si inserisce anche la polemica con i marxisti e con l'idea di accettazione di un male come la privazione della libertà nel nome di un grande ideale superiore verso il quale tendere: se una transizione fa più morti del passato che ha cancellato non può portare a nulla di buono... 
Per un bibliografia completa vi rimandiamo al sito del catalogo unico
ma vi ricordiamo il capolavoro "Lo straniero" (1942), "La peste" (1947), "L'uomo in rivolta" 1951), "La caduta" (1956), "Caligola" (1945) e "I giusti" (1950).
Albert Camus perse la vita nel 1960 in un incidente stradale: nell'auto c'era il manoscritto dell'incompiuto "Il primo figlio" (pubblicato recentemente da Bompiani).
Una biografia: Olivier Todd, "Albert Camus, una vita" (Bompiani).
Un sito in inglese su Camus
e uno in francese

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