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La tortura in Turchia, un affare di stato denunciato in Parlamento
La commissione nazionale d'inchiesta conferma le violenze e accusa anche le alte gerarchie
 

di ANDREA NONU

   Si sono appena conclusi i lavori della "Assemblea Nazionale Turca per i Diritti Umani", commissione formata da deputati ed esperti che un anno fa ricevette l'incarico dal Parlamento Turco di indagare sulle "presunte" violenze  compiute sugli arrestati nelle prigioni e nelle stazioni di polizia. 
   Per la prima volta un organo del genere ha avuto la possibilità di indagare su questo lato oscuro di una nazione che si definisce una Libera Repubblica Democratica ma in cui i concetti di libertà e democrazia sono sottoposti in certi casi a strane limitazioni.

    Uno dei maggiori quotidiani, l'Hurriyet (il cui nome significa "Libertà" ma si riferisce ad una concezione nazionalistica di questa idea, come dichiarano esplicitamente il motto "la Turchia ai Turchi" e la faccia austera del pater patriae Ataturk, affiancati al titolo) riporta in data 4 maggio 2000, tra le pagine interne di cronaca, un breve articolo su questo argomento, lontano dunque dalle prime facciate (dedicate invece quasi del tutto all'imminente match calcistico del Galatasaray, finale di un torneo continentale) e completamente staccato dall'ambito politico.
   "Nella relazione finale della Commissione", dice l'articolo, "è dichiarato che la tortura tramite percosse, getti d'acqua a forte pressione ed elettricità è stata praticata ed è provata con un'ampia documentazione".
   L'indagine è stata svolta soprattutto sui posti di polizia, dove vengono portati coloro che vengono fermati per semplici accertamenti e dove invece pare i maggiori abusi abbiano luogo. Proprio riguardo a questi luoghi, nella città di Istanbul, ad insospettire è stata "la puntuale coincidenza tra ciò che era stato denunciato dalle vittime di questi soprusi ed i ritrovamenti in seguito alle ispezioni nelle stazioni di polizia". 

   Ispezioni che hanno permesso alla Commissione di concludere che "i maltrattamenti e/o le torture sono molto comuni ed alcuni degli arnesi usati per questi scopi sono stati trovati", grazie alle testimonianze di alcune persone che hanno denunciato di essere state incatenate, sottoposte a scariche elettriche, bastonate.

    Ma chi sono i veri colpevoli di tutto ciò?

    Il documento della Commissione  d'Inchiesta punta il dito molto in alto: "I veri responsabili non sono gli uomini della polizia che stanno nelle stazioni. Gli uomini più importanti, il vali (sindaco) di Istanbul e i pubblici ministeri che coprono da un punto di vista giudiziario questi crimini, sono i veri responsabili". 
   Dunque un atto di accusa non ad alcuni spregevoli individui ma ad un intero sistema gerarchico che ordina, accetta e pratica la violenza come strumento repressivo ed intimidatorio. Proprio il primo cittadino di Istanbul, in Marzo, aveva subito un attacco in Parlamento da parte di alcuni membri della Commissione che avevano portato in aula un bastone ritrovato in un posto di polizia della città, strumento evidentemente usato per atti di violenza nei confronti dei fermati. Di fronte a questa chiara prova, interrogato non ha saputo rispondere di meglio che: "Beh, è stato ritrovato un bastone. Ma non sappiamo che cosa sia".

   Ora la speranza è che questa relazione dia i suoi frutti e aiuti a far cambiare realmente le cose, non resti un semplice atto di denuncia ma dia inizio alla battaglia per i diritti umani e le libertà che si preannuncia ancora lunga in questo Paese. 
   Sullo stessa pagina dell'Hurryiet del 4 maggio appare infatti un trafiletto breve e freddo quanto inquietante: "Lo scrittore ed attore Yilmaz Erdogan è stato convocato dalla Commissione di Sicurezza di Stato per aver messo la sua firma nel libro/sottoscrizione <<Libertà per il Pensiero>>. Alla fine della sua deposizione, assediato dai giornalisti ha detto che gli è stato del tutto vietato di parlare riguardo a questo suo colloquio con i giudici."


o Il problema del rispetto dei diritti umano in Turchia assume a poco a poco un ruolo più significativo anche nel dibattito politico interno del Paese, corteggiato come vasto mercato e
comoda portaerei dall'Occidente che ne ha così a lungo tollerato senza grande scandalo
le gravi violazioni della dignità 
umana invece di accelerarne il processo di emancipazione.

(23 maggio 2000)
 
 

Testimonianza
dal festival
per l'obiezione
di coscienza
a Istanbul

Il caso Ocalan
e di altri
attivisti turchi

Una missione
italiana
per i diritti
umani
in Turchia

Una denuncia
dalla Svizzera
 
 
 
 

 

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