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Se i bambini zingari si pestano nello scuolabus...
La testimonianza di un giovane accompagnatore e il tentativo di avviare un dibattito
 

- LA LETTERA

   Anche per quest'anno riprendo il lavoro come accompagnatore sul bus scolastico per i bimbi  Romané e Sinti. In parte sono entusiasta. Non nascondo però le mie preoccupazioni come "gagè" ("straniero"). Generalmente i bimbi sono buoni e volenterosi. Hanno spiccate doti artistiche e ginniche. Sono molto intelligenti e vispi. Faticano ad accettare bimbi di altre razze. Un'integrazione difficile già per la compresenza di due realtà Rom e Sinti sulle stesso automezzo, viene accentuata coi bimbi di origine cinese o indiana.
   Il comune fa quello che può e spesso le falle che cerca di chiudere sono molto grandi e non sempre è sufficiente un piccolo tappo di sughero. I soldi da investire nel sociale sono esigui. Non è possibile pensare a due pulmini e a due autisti, quindi il risultato più logico è ammassarli insieme su un pulmino (e non sempre è facile trovare un autista che accompagni questi bimbi). Ogni tanto si scatenano delle piccole scaramucce perché i piccoli guardano i propri adulti e li copiano negli atteggiamenti bellici.
Ho ricevuto calci e pugni per difendere chi in quel momento era più debole. Non è stato facile per niente.

   È stata comunque un'esperienza positiva e conoscitiva di un mondo e una realtà sconosciuta. 
Non riesco a capire però questo odio viscerale che scatena poi queste scaramucce. Molte parolacce, insulti gratuiti, calci e pugni. Ho visto circolare anche qualche coltello (maneggiare certe cose mi spaventa per i danni che potrebbe causare a qualsiasi persona). 
   Sembrerebbe che io racconti  storie di adolescenti oppure di adulti, ma io sono un accompagnatore dei bimbi delle elementari. Molti avrebbero grosse possibilità scolastiche nel continuare i cicli. Cosa succede però? Entro qualche anno abbandoneranno le scuole per... non saprei. 
   Le bimbe contano molto poco. Tra i 14-17 anni diventano già madri. Devono stare sempre zitte e obbedire al maschio più "grande". 
Già nel ciclo delle medie non interessa più la scuola e nasce l'abbandono. 
Vorrei fare qualcosa di più, ma non so che cosa. Ogni tanto chiedo consiglio a una ragazza italiana che vive coi Rom. Lei fa parte dell'Associazione Papa Giovanni XXIII. Ogni tanto mi consiglia bene, ma non è sempre facile. Ci troviamo su un campo minato.
I Sinti hanno parenti in ogni parte d'Italia. Cambiano sovente "campo", nel giro di un anno può accadere due o tre volte. Ho avuto bimbi che hanno fatto 4-5 mesi di scuola qui e poi sono andati dai parenti (Pistoia, Prato, Bologna,...). Avranno continuato la scuola? Ho provato a domandare al distretto scolastico al quale appartenevano. Nessuna notizia positiva. Poi la loro settimana scolastica è breve: se il tempo è brutto si va a scuola. Invece se è bello e coincide col un giorno di mercato non si va a scuola. 
Se poi si comportano male a scuola i rispettivi padri li picchiano.
Ho fatto una velocissima carellata dell'esperienza dello scorso anno.
   Ciao,

Luca
- Risponde NANDO SIGONA (Nonluoghi)

  Conosco molte persone che hanno accompagnato i bambini rom a scuola, io
personalmente non l'ho mai fatto. Il mio rapporto con i bambini che vivono a
Scampia (Napoli) è legato alle attività di laboratorio che facciamo un paio
di volte a settimana con il Com.p.a.re. (comitato per l'assegnazione e la
realizzazione di soluzioni abitative non ghetto). Le auto a nostra
disposizione sono costantemente poche e così siamo costretti a stringerci. A
volte in una escort c'entrano anche 12 persone.
   Da qualche settimana abbiamo ripreso i nostri percorsi creativi e di
manualità anche se la penuria di auto si è ulteriormente accentuata ed ora
cerchiamo di raccogliere un po' di soldi per un furgoncino. Impresa
difficile.
   La scuola per i bambini rom di Scampia non è, invece, ancora iniziata.
Tranne pochi eletti, tutti gli altri aspettano gli scuolabus del comune di
Napoli che li vengano a prendere. L'Opera Nomadi, qualche mese fa, ha
stipulato un accordo con il comune impegnandosi a garantire il servizio di
accompagnamento. Gli accompagnatori, infatti, ci sono (tra questi anche un
paio di Rom) e la mattina vanno al campo ed in giro per le scuole. Quelli
che ancora restano ai container sono i bambini. Il comune di Napoli dice di non avere i soldi per comprare dei nuovi pulmini.

   Perché non si attivano i genitori? E' una domanda di non facile soluzione,
sempre che ce l'abbia. Richiederebbe capire prima cosa pensano i genitori della scuola italiana. Se essa significhi qualcosa oltre ad una possibilità in più di ottenere un permesso di soggiorno o un posto in un campo autorizzato.
  Il nuovo campo a Napoli, dove i Rom sono stati traslocati appena tre mesi fa,  si trova alle spalle di un carcere, alla periferia della periferia. Nessun collegamento con la città, né con il quartiere. Nessuna fermata dell'autobus. Una riserva indiana dove qualsiasi rapporto con l'esterno è mediato dai buoni di turno
Certo, ci sono le auto degli uomini, ma quelle servono per andare sui posti dove si fa l'elemosina.
   Andando in giro per i campi d'Italia, sentendo testimonianze e racconti, ci si rende conto che è una situazione che ha poco di eccezionale. E' questa l'ordinaria amministrazione del "problema zingari".

   Voglio dire che il problema non sono gli autobus carenti, o non solo questi.
Di più bisognerebbe interrogarsi sul rapporto che i bambini hanno con la
scuola, sull'attrazione che questa riesce ad esercitare, sulle prospettive
che offre, sulle sue reali capacità di accogliere. Un esempio. Un anno fa, di
questi tempi, ci fu lo scandalo delle docce a scuola. Una sommossa dei
genitori impose che settimanalmente i bambini rom si facessero la doccia nei
locali delle scuole prima di entrare in classe. Nella disorganizzazione
generale questo significava che i cinquanta bambini frequentanti passavano
le prime ore di lezione fuori delle classi a girovagare per i cessi delle
scuole con i loro accompagnatori. Poi rientravano per qualche ore in classe
lindi e lucidi, pronti ad essere discriminati.
   Nessuno che avesse pensato di far installare delle docce direttamente nel
campo dove non c'era acqua luce e gas. Forse perché è dato per scontato che
i Rom non si sappiano lavare. Uno psicologo al tempo disse che era un fatto
culturale. Mi domando perché non abbiano pensato di finanziare un apposito
corso di formazione regionale in teoria e tecnica del lavaggio e dell'igiene
intima.

   Ma le docce sono solo una piccola cosa. Se si legge qualche progetto comunale di intervento a favore dell'infanzia rom, ci si rende immediatamente conto che le spese maggiori finiscono per essere destinate a minibus, autisti e accompagnatori. Alla parte di intervento psicopedagogico finiscono i residui. Ma ciò nonostante i proclami altisonanti non mancano. Manca invece, oltre ai fondi, qualsiasi sforzo di ricerca e di intervento innovativo. Si distribuiscono i soldi ad associazioni e opere di carità seguendo criteri tutt'altro che meritocratici, prevalgono le logiche spartitorie e gli interessi politici più rozzi.

   La scuola, poi, non fa che arrancare dietro questi "bambini troppo vivaci",  come dicono le maestre più politically correct,  cercando con progettini su cultura e tradizioni degli zingari di rispondere ai bisogni di bambini spesso nati e cresciuti in Italia in baracche di lamiera, abituati a vivere le nostre città da prospettive che a molti di noi risultano ignote e che la scuola, proprio perché incapace di comprenderle, si sforza di etichettare e rinchiudere nel consolatorio e generico sott'insieme del disagio.
   E'  novembre. Qualche genitore al campo inizia a protestare perché i bambini non vanno a scuola. Perché non organizzare una manifestazione al Comune? Forse perché c'è paura di sollevare un polverone contro il comune e l'Opera nomadi, polverone che finirebbe per ritorcersi contro loro stessi che rischierebbero di finire ancora più isolati ed emarginati. Di perdere i lavori che gli sono stati promessi, quelli già svolti ma non pagati e di restare definitivamente soli dietro al carcere.
   E' novembre, ma quando inizia la scuola?

- L'intervento di Massimo Alberti che prosegue il dibattito

   Ho letto con interesse la lettera di Luca sulla sua esperienza di accompagnatore di bambini rom a scuola.
H  o 22 anni,vivo a Brescia e due anni fa sono stato obiettore di coscienza presso il Comune di Brescia  (fortuna...) ed ho scelto il medesimo servizio, in quello che poi è stato l'ultimo anno in cui è stato svolto da obiettori.
   Due parole su come era organizzato :
-A Brescia esistono almeno 4 campi rom, con presenze nell'ordine delle 2-300 persone per area.Il comune garantiva l'accompagnamento ed il ritorno da scuola con due autobus e tre scuolabus, questi ultimi gestiti direttamente dal comune, i primi dall'Azienda Servizi Municipalizzati di Bs,che assegnava anche gli autisti(sul cui comportamento dedicherò alcune considerazioni a parte). L'accompagnamento era affidato, appunto, agli o.d.c., due per ogni viaggio con gli autobus, uno per ogni scuolabus.
Sugli autobus (dove io ho svolto servizio) viaggiavano insieme bambini dall'asilo alla scuola media (la frequenza scolastica mi sembrava piuttosto alta).
Detto questo, veniamo ad alcune considerazioni:
I bimbi (perché di questo si tratta: bambini. Proiettati in una realtà fatta da povertà,vita in condizioni pessime,confronto quotidiano con l'emarginazione e i rapporti basati sulla violenza, sul "più forte" , che si vivono all'interno dei campi e nell'ambito familiare, costretti ad essere adulti già a nove anni. Ma comunque bambini, con i loro sogni, desideri, problemi, con la voglia di essere liberi e giocare che contraddistingue qualsiasi bambino) sono sicuramente svegli, estremanente vivaci- più dei loro coetanei italiani... - spesso violenti, credo anch'io per emulazione degli adulti; quanto alle parolacce ed ai riferimenti sessuali...
Anch'io ho vissuto questi "viaggi" sull'autobus con tanto di scaramucce, liti o meglio zuffe, botte, sputi eccetera..., sopraffazione del più debole (sul pullmann viaggiavano due bambini con problemi psichici), ma soprattutto tanta, tanta (troppa, direbbe qualcuno...) vivacità, tipica di chi si deve abituare fin da subito a cavarsela da solo. Devo dire che le bambine non si facevano affatto mettere i piedi in testa dagli altri, anzi!!! C'era un gruppetto di bambine ben affiatate, che sapevano farsi valere e rispettare(sarà mica un segnale...).
   Poco alla volta, vuoi per estrema tolleranza, un minimo di conoscenza con alcuni di loro, un approccio non basato sul pregiudizio, ero comunque riuscito a creare un rapporto non conflittuale, amichevole con loro: non venivo più visto (a volte...) come "guardiano", come controllore, ed anzichè reprimere determinati comportamenti (piccole scaramucce, il"giocare" sull'autobus), come tra l'altro quando ci hanno spiegato il servizio ci invitavano a fare, ho sempre cercato di mediare. Vuoi per cultura, per conoscenza, per idee politiche, ero però l'unico tra gli obiettori a non vivere più questi viaggi come un inferno che mandava in panico gli altri ragazzi ancora prima di salire sul pullmann. Anzi,in determinati casi sono riuscito non poco ad approfondire la conoscenza di questo<<mondo>> che c'è nelle nostre città.Era evidente che questo tipo di approccio, in parte ereditato grazie ad un obiettore che aveva terminato il sevizio poco dopo il mio inizio, funzionava, ed anche bene, almeno per la mia esperienza:non mettersi su un livello superiore rispetto a loro, quindi, ma porsi sullo stesso piano: <<Bene,siamo voi ed io sullo stesso autobus per due ore, vogliamo andare d'accordo?>>.
   In altrettanto poco tempo sono iniziati ad arrivare i problemi, per me: continui richiami proprio per il fatto di "non intervenire" in determinate situazioni, minacce di cambiarmi servizio, piccole angherie da parte degli autisti (sempre prodighi d atteggiamenti apertamente razzisti - tranne pochi casi - che non ho mai mancato di denunciare, tanto da far arrivare a scrivere loro una lettera di richiamo... sarà forse per questo che ce l'avevano con me?) come lasciarmi assai distante, alla fine del turno, da dove dovevo scendere e altri dispettucci infantili di questo tipo. Gli altri obiettori mi accusavano di non fare nulla (domanda: e che diamine dovevo "fare"?). Eppure la cosa, così gestita, ripeto, funzionava: spesso si riusciva addirittura(!) ad arrivare in fondo con l'autobus pulito perché uno dei patti impliciti era che se li lasciavo giocare, poi loro raccoglievano tutte le cartacce dal loro autobus (e rispetto alla media era già un piccolo risultato...) !!!. Addirittura mi ero preso una denuncia, poi ritirata, con l'accusa di avere "coperto" un bambino Rom che aveva rubato un videogioco (fatto poi risultato non vero).
   Non vi dico i problemi spesso piuttosto gravi che altri obiettori hanno avuto,anche con i genitori dei bambini, per gli atteggiamenti che tenevano sul pullmann (gli obiettori, non i bambini...) tanto che ad un certo punto era emersa una specie di "emergenza sicurezza" per gli obiettori, con richeste di non dover più entrare nei campi,di viaggiare separati dai bambini per paura...(ricorda niente, esteso più in grande?...)
   Ora: al di là di quest'esposizione di fatti, aggiungo altre considerazioni:
-<<attenti,è pericoloso, si picchiano,giocano,saltano sul bus, vi sputeranno, vi tireranno calci, impazzirete, non starete fermi un attimo>>. Che idea si può fare un obiettore, senza alcuna formazione specifica, quando un servizio di questo tipo viene loro presentato da persone che si vorrebbe adeguate al ruolo, preparate, e con una profonda conoscenza della realtà dei Rom, con le parole che prima ho riportato?
-Perché invece non ci è stato fatto capire con che realtà avevamo realmente a che fare, magari con momenti strettamente informativi sulla storia, la cultura, la vita le discriminazioni che i Rom subiscono in Italia? Come si può far svolgere a giovani, senza alcun tipo di esperienza ma con un ampio carico di pregiudizi, quello che di fatto è un delicato compito di mediazione sociale e culturale, non che di integrazione? Quest'ultima cosa da un punto di vista della conoscenza di una realtà nuova può essere utile ed interessante, ma con ben altra presentazione rispetto ai toni catastrofistici ed allarmistici che prima citavo.
-Quando ho iniziato, il servizio era gestito dall'assessorato ai servizi sociali, per cui una minima attenzione a problemi riguardanti la frequenza scolastica, il rapporto con gli altri bambini, c'era; successivamente, non so bene per quale perverso meccanismo e ragionamento,il tutto è stato affidato all'ass. ai trasporti. Anche questo minimo è così venuto meno: gli unici problemi erano rispetto degli orari, pulizia ed integrità dei mezzi,efficenza del servizio,con un rigore che gli amminstratori non pongono nemmeno per i normali autobus di linea.
Questo come conseguenza di una totale mancanza di competenza e sensibilità in materia dei nuovi responsabili del servizio (non per colpa loro, ovviamenete: è come se ad un capo treno venisse chiesto di risolvere la questione dei senzatetto che trovano riparo in stazione!!!) un errore palese e grossolano, che non ha fatto altro che esasperare i problemi già presenti, anche in termini di frequenza, se non altro perché i bambini non volevano più venire sull'autobus!!!
-Perché gli autisti dalle posizioni apertamente razziste venivano di fatto coperti (con bonarie giustificazioni del tipo <ma si, dai, è un po' ignorante...>) e non allontanati? Vi assicuro che anche questo era un fattore di tensione non da poco!!

Il discorso potrebbe allargarsi: sono rimasto volutamente schiacciato sull'esperienza diretta che ho vissuto, sperando che questa testimonianza possa aggiungere elementi al dibattito:quanto alle domande che poneva Nando Sigona: non ho particolare competenza per rispondere, anche perchè non voglio trascinare oltre il mio già lunghissimo intervento. Dopo gli obietori il servizio è stato affidato ad Opera Nomadi (in ottimi rapporti col comune,meno con i Rom: cosa dicevi, Nando, a proposito di logiche di spartizione?). Lo scorso anno l'accompagnamento sugli autobus lo facevano alcune compagne, persone sensibili, competenti, intelligenti, che conoscono i rom e i loro problemi: mi prendo l'impegno di convincerle ad esprimere presto anche il loro punto di vista....

Attendo presto una risposta... Nel frattempo grazie per l'attenzione, continuerò a seguire con interesse questo dibattito.

Massimo

 

LA SCUOLA NON COMINCIA MAI?
Storia di uno, nessuno, centomila progetti educativi 
con i Sinti italiani e modenesi - novembre 2000


Il Gruppo con i Sinti italiani: un po' di storia

Come avviene sovente, anche molti di noi hanno conosciuto i Sinti
italiani e modenesi in virtù di attività didattiche, educative,
d'animazione o sportive. I nostri primi tentativi di studio e
d'intervento, nel 1996, ci fecero capire che, nonostante i progressi
numerici nella scolarizzazione dei Sinti, i problemi erano molti. Il
trasporto era uno dei più gravi, per il pessimo atteggiamento tenuto da
certi ragazzini, genitori ed autisti. Gli autisti "volanti" delle
associazioni o del Comune arrivavano spesso al campo poveri di
sensibilità e ricchi di pregiudizi, che i piccoli Sinti facevano di
tutto per confermare. A scuola, poi, i piccoli Sinti non trovavano certo
un ambiente che faceva al caso loro. I plessi ai quali erano destinati
erano sempre gli stessi e certe diffidenze e incomprensioni hanno
macerato a lungo, per poi sfociare, talora, nell'insofferenza più
aperta. In questi anni, dovendo valutare i primi inserimenti alle scuole
superiori, ci si rende conto che il ragazzo e la ragazza sinta sono meno
preparati dei loro coetanei gagi, come se i maestri delle elementari e i
professori delle medie dessero per scontato che si tratta di allievi che
non continueranno il percorso scolastico. Inoltre, soprattutto con i
maschietti più vivaci, c'è la tendenza a "liberarsene" al più presto
senza chiedersi cos'anima l'irrequietezza dei piccoli Sinti.
 

Ma sarà proprio della pasta di sale che hanno bisogno?

Per un po', sino a metà del 1998, abbiamo preso parte e anche
organizzato seminari. Una volta abbiamo anche sentito una maestra,
tesoriera nazionale di un noto ente morale, vantare i dodici progetti
che era riuscita a far finanziare contemporaneamente nella stessa
scuola, la sua. Con il tempo, però, certe contraddizioni divenivano
intollerabili se vissute quotidianamente, passando ore con i ragazzini e
le loro famiglie al campo, nelle feste o in giro nelle visite ai
parenti. Noi andavamo da loro a proporre doposcuola, piscina e teatro
per ragazzi. I Sinti, anche i più giovani (insegnandoci così che
l'imitazione è la chiave di volta nell'istruzione di un sinto), ci
chiedevano rispetto, un posto di lavoro e una mano ad uscire dal campo.
Come temiamo avvenga tuttora in buona parte d'Italia, le famiglie
accettavano i progetti educativi perché sapevano che certe associazioni
ne avevano bisogno per mantenersi. Così facendo chiedevano una sorta di
contropartita, in un gioco al baratto che lasciava tutti con l'amaro in
bocca e oscurava completamente l'iniziale intento educativo, già
profondamente viziato dalla diffidenza dei Sinti, dalla nostra scarsa
preparazione e dall'approssimazione nella programmazione delle attività.
Infatti, l'idea accettata era che, trattandosi di zingari, qualsiasi
cosa avremmo fatto, anche stato il nulla più totale, sarebbe andata più
che bene. Anzi, l'idea era forse che meno facevamo, meglio era.
 

Finalmente, un giorno tutto impazzisce

Le cose sono completamente impazzite quando, a dispetto del formarsi
d'una coscienza comune e del desiderio di Sinti e gagi di cominciare a
battersi per una politica dei diritti, un frammento dell'associazione
cui allora facevamo riferimento (Arci - Arcisolidarietà) se n'è andato a
fondare per l'ennesima volta l'Opera Nomadi modenese, facendosi
finanziare trampoli, pantomime e giocoleria quando tutti chiedevano a
gran voce cessi, ghiaia, lavoro, incontri con le autorità per
ristabilire il rispetto dei diritti. Addirittura, nel settembre del 1998
le forze dell'ordine hanno effettuato un brutale raid al campo, proprio
la mattina del primo giorno di scuola, trascinando in questura molti
minori regolarmente iscritti e regolarmente innocenti. Nel silenzio
tombale delle associazioni che da anni ricevevano finanziamenti
ipocritamente destinati alla prevenzione del disagio, abbiamo detto e
scritto che non ci saremmo più prestati al gioco dell'Amministrazione.
Abbiamo detto che non avremmo avuto la funzione di cuscinetto sociale,
né davanti alle inadempienze del Comune, né davanti agli arbitrii di
carabinieri e questura. Abbiamo detto, riportando fedelmente la voce dei
Sinti, che la prevenzione del disagio non si faceva irrompendo in
carovana a volto coperto e con i mitra puntati e che non aveva senso
circondare di progetti e moine dei bamini destinati comunque a crescere
in quel luogo, o a far quasi di tutto per fuggirne. Abbiamo mostrato ai
Sinti, delibere alla mano, i nomi di chi aveva speculato sulle loro
angustie millenarie e l'entità dei buchi finanziari
dell'assistenzialismo. I responsabili di un noto ente morale e di
un'associazione cattolica sono usciti miracolosamente incolumi da un
paio di assemblee: confidiamo che, prima di dedicarsi a più docili e
remunerativi bimbi lavavetri e prostitute albanesi, si siano regalati un
momento di decorosa autocoscienza. 
E' stato, per il Gruppo con i Sinti italiani, un esilio lungo e
faticoso. Ha comportato enormi costi umani e materiali ma ne valeva la
pena. Anche per i Sinti è stata dura: per anni avevano avuto il bastone
e la carota, ora la carota non c'era più. Abbiamo però fatto vedere - e
soprattutto è stato importante farlo vedere ai Sinti - che noi del
Gruppo eravamo anche pronti a metterci in gioco per i loro diritti, sui
giornali e nelle assemblee, e non eravamo solo disposti ad elargire loro
uno svogliato doposcuola retribuito o l'ennesimo fantasioso, insulso
progetto sui mestieri tradizionali. Questo e soltanto questo poteva
farci conquistare la loro fiducia: in larga misura ce l'abbiamo fatta.
 

Un parziale bilancio di quattro anni d'attività: le ricadute in campo
educativo del volontariato sociale e delle mobilitazioni politiche

In poco più di quattro anni la nostra azione sociale, politica e
mediatica, di denuncia e messa in luce dei diritti violati dei Sinti e
dei Rom ha contribuito, insieme alla pazienza dei Sinti e a una rete di
contatti nazionali di qualità, a mutare di molto la reciproca percezione
tra i Sinti e "quelli delle case". Se questa crescita fatica a
manifestarsi apertamente (soprattutto a causa di quell'isteria
collettiva che i giornali chiamano "emergenza criminalità"), possiamo
vantare significativi successi nel campo dell'istruzione. Più
precisamente, possiamo dire d'aver contribuito a porre le basi
necessarie a lavorare in termini di progettazione e non di stretta
emergenza. 
Il Comune ha finalmente destinato una persona al coordinamento di tutti
gli interventi con i minori sinti, sollevando l'operatore "storico" dal
non semplice compito di doversi occupare di tutto. Ciò ha messo in luce
la mancanza di monitoraggio sulla dispersione e l'abbandono scolastico,
ora in fase di affinamento grazie al lavoro dei Servizi sociali, di noi
volontari e di un meccanismo d'imitazione tipico della socialità
artificiale di un campo-nomadi. L'autonomia scolastica ha spinto alcuni
istituti e insegnanti a "specializzarsi" nel difficile rapporto
quotidiano tra Sinti e scuola. Molti ragazzi e ragazze si sono spinti a
fare il salto nel buio delle scuole superiori, nella speranza
d'inventarsi, magari con il nostro aiuto, un mondo nuovo che non si
chiami "campo nomadi". Molti insegnanti hanno arricchito il proprio
patrimonio autonomamente e confrontando le reciproche esperienze. Ai
seminari non si parla più solo dei Sinti come di romantici zuzzurelloni
che non portano l'orologio ma come degli ultimi sopravviventi di una
cultura ormai sbriciolata nei rivoli disagiati della vita in favela.
Persino il trasporto non è più un problema così serio, da quando sono
gli stessi Sinti e Sinte ad assicurarlo. Funziona in modo largamente
autogestito, con un complesso ma efficiente sistema di rimborsi benzina. 
Riassumendo, c'è maggiore conoscenza e per certi versi anche maggior
rispetto. C'è stata anche, negli ultimi due anni, una bella scrematura:
osservare le cose dall'esterno ci ha permesso di capire chi era
realmente motivato, a far cosa e perché, mentre chi doveva cedere ha
ceduto.
 

La scuola viaggiante del duemila: siamo ancora in pista
Un progetto pilota d'istruzione semi-itinerante

Proprio in questi giorni gli attivisti del Gruppo con i Sinti italiani,
ora collegato al Comitato nazionale Rom e Sinti, tornano a vestire i
panni degli educatori o quasi. Infatti, una famiglia di giostrai Sinti
ci ha chiesto una mano per "sanare" la situazione scolastica dei due
figli minori. 
Il più piccolino, di sette anni, è stato iscritto alla prima elementare:
è un bimbo dolcissimo e intelligente che andrà però trattato con una
consapevolezza particolare, ad esempio nel momento in cui manifestasse
insofferenza rispetto alle lunghe giornate in classe. I suoi compagni
hanno fatto tutti la scuola materna, mentre lui no. La sua esperienza a
scuola è stata brevissima e traumatica. E' importante che le maestre e i
compagni non lo considerino troppo strano se ha voglia di fare una corsa
quando gli altri desiderano mangiare, o se si addormenta di colpo nel
mezzo d'una lezione. Lui imparerà che i gagi, a sette anni, non usano il
linguaggio degli adulti come invece fa lui: sarà bene che le maestre e i
compagni ricordino che lui considera normale usare delle parole che per
loro sono pesanti e offensive. E' importante che lo considerino uno di
loro anche se vive in carovana. E' fondamentale che la sua preparazione
non sia trascurata solo perché "è zingaro e tanto non continuerà" e sarà
bene ch'egli non si metta in testa di avere privilegi. Questo e altro
significa la diversità: non dimentichiamo che la diversità è una di
quelle cose che può rendere interessante persino l'andare a scuola. Pian
piano, con l'aiuto di tutti e dando qualcosa a tutti, anche il piccolo
Enea cercherà di scegliersi un equilibrio tra la vita che ha fatto
sinora, tutta segnata dai ritmi di lavoro della famiglia e dai giochi
d'un fratello molto più grande, e quella dei gagi, di cui a scuola avrà
più che un assaggio.
Il maggiore ha tredici anni e non ha ancora conseguito la licenza
elementare. L'abbiamo conosciuto da bimbo e sta diventando uomo. In
questo percorso la scuola è stata solo un breve, noioso contrattempo.
Ora si sta rendendo conto che tutti i suoi coetanei, anche i Sinti come
lui, hanno qualche titolo di studio. Sa anche che i titoli e un po'
d'istruzione gli serviranno per prendere la patente, rilevare l'attività
del padre, viaggiare, non farsi fregare dai gagi delle associazioni e
dai politici. Ha solo posto come condizione che fossimo noi a prepararlo
e per noi sarà un piacere. Sa già fare molte cose ma si dovrà iniziare
dalla licenza elementare. Cominceremo con il verificarci su strumenti di
base quali la scrittura, la lettura, il far di conto, l'osservare la
natura e i comportamenti umani, cercando così di capire quali singole
tematiche lo appassionano di più. Lavoreremo molto fuori dell'aula,
sulle strade d'asfalto e sulle highways virtuali della rete telematica.
Dovremo essere bravi e non dimenticare che un ragazzo sinto di
quell'età, se con un occhio e un orecchio può essere attento alla
lezione, per l'altra metà è un giovane che deve presto divenire adulto,
imparando i rapporti sociali dagli uomini della propria famiglia
allargata. Lui dovrà capire che con noi non c'è niente di garantito,
anche se ha la fortuna di poter mettere in gioco ciò che già sa. Noi,
d'altronde, dovremo ascoltare ciò che lui ha da insegnare a noi. Sarà
importante che si metta seriamente alla prova lontano dall'ambito
familiare, il quale è piuttosto chiuso ma ricchissimo di affetti forti,
per imparare a gestire le proprie emozioni nel mondo dei gagi, che non è
solo quello dei gagi che vanno alle giostre e nelle sale giochi. Saremo
vicini a Elix in un'età cruciale, quella del passaggio alla vita adulta:
crediamo che questa vicinanza possa costituire una grande opportunità,
in questo mondo che cambia sempre più rapidamente, lasciandosi dietro
sempre più giostre in disuso.
I ragazzi viaggiano parecchio perché, per fortuna, la stagione di lavoro
è lunga, al punto che la famiglia è una di quelle che sostiene che il
mestiere non scomparirà mai. Essendo gli itinerari noti e consolidati,
li seguiremo per cercare di assicurare una buona frequenza del piccolo e
per continuare il lavoro con il grande, sino alla licenza elementare e
oltre. Stiamo cercando, all'uopo, un pulmino a sei o nove posti da
attrezzare con computer, cancelleria, biblioteca di base: un veicolo
povero ma funzionale che rappresenti il luogo fisico dell'istruzione
scolastica e parascolastica. Appena il progetto è iniziato, ci sono
state molte altre richieste ma considerate le risorse (un operatore
retribuito dal Comune e una volontaria, senza alcun rimborso benzina) e
memori dei pessimi risultati di troppe grossolane carovane educative,
siamo rimasti fedeli al progetto iniziale, ovvero tentare di soddisfare
le esigenze delle famiglia che ha proposto il progetto stesso. Se
funzionerà, potremo utilizzare l'esperienza fatta, le eventuali
strutture e veicoli di cui riusciremo a munirci, nonché la testarda
coerenza di sempre, per ampliare il progetto secondo le richieste e
sempre in accordo con i settori Istruzione e Servizi sociali del Comune
di Modena.
 

Un finale, come sempre molto aperto

Crediamo che l'abbandono scolastico e l'educazione dei minori di
famiglie viaggianti siano due nodi cruciali, se si vuole operare sul
presente degli alunni sinti pensando al loro futuro di persone e non ai
numeri dei rapporti ufficiali sulla scolarità. E' importantissimo che le
famiglie che ancora riescono a vivere dello spettacolo viaggiante
possano continuare a farlo, senza ostacoli nella scolarizzazione dei
figli. Sappiamo che a dispetto di tanti progetti, è difficilissimo
assicurare continuità a questi interventi, dal momento che di solito
sono portati avanti da persone e organizzazioni che mollano la presa
appena finiscono i soldi, se non prima. Crediamo pure che il numero di
abbandoni, ancora relativamente alto, sia recuperabile in termini
qualitativi e non solo quantitativi. Sappiamo bene che andare a scuola
non ha necessariamente un'influenza positiva nella vita dei Sinti. Siamo
però convinti, come ormai tutti i genitori, dell'effetto negativo
dell'abbandono: ce lo raccontano i giovani padri e madri sinti quando ci
chiedono di aiutarli nella tardiva rincorsa d'un diploma. 
Crediamo soprattutto, sempre e comunque, che il rapporto di fiducia
necessario al rapporto educativo si animi e si armi della solidarietà
che si dimostra nella vita di tutti i giorni, nella volontarietà, nella
reciprocità, nella convivialità e nella capacità di ascoltare, ridere,
arrabbiarsi e lottare insieme. Siamo orgogliosi d'aver contribuito, in
pochi anni, a fecondare gli embrioni d'un approccio empatico e umano
all'istruzione dei minori di una comunità, quella sinta, divisa
all'interno e talora assediata da troppi progetti troppo insulsi.
E' vero, per certi bimbi e bimbe sinte e romanè la scuola non comincia
mai. Per noi, però, essa è appena iniziata e il desiderio di essere al
fianco dei giovani sinti e sinte, alla pari e con il vizio di dire
sempre la verità, non fa che aumentare. Essi lo sanno e ciò,
compatibilmente con la nevrosi cronica tipica di chi vive o lavora in un
campo-nomadi, li diverte e li eccita. Chissà, forse tutti quanti abbiamo
iniziato uno degli esami più difficili della nostra vita e non lo
sappiamo ancora. 
Come dice qualcuno al campo, speriamo di non essere  "sbocciati"!
 

Davide Ravera
gruppo con i Sinti italiani

Comitato nazionale Rom e Sinti
tel.  059 212228 - e-mail


 


o La lettera
di Luca

La risposta
di nando Sigona

L'intervento
di Massimo
Alberti
(8 novembre)

L'intervento
di Davide Ravera
del Gruppo con i Sinti italiani
di Modena
(nuovo: 20 novembre 2000)
 

Riceviamo e pubblichiamo la testimonianza 
di un giovane accompagnatore
di bambini zingari  a scuola.
Si tratta di un racconto che dà la misura della fatica di socializzare per chi è cresciuto e vive in un campo.
Sul tema risponde, portando la sua testimonianza
sulla situazione napoletana,
Nando Sigona, componente della redazione di Nonluoghi.
Speriamo che anche su questo tema sia possibile avviare un dibattito che ospiteremo volentieri 
nel nostro sito.



- Altri articoli

Il dossier
Zingari
di Nonluoghi

Nomadi
e criminalità
domanda
e risposta...
 

(2 novembre 2000)

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