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La storia attraverso la memoria dei vinti
Ragon e gli sconfitti, dagli anarchici ai menscevichi...
 


di EUGEN GALASSO

  Michel Ragon propone, in forma di biografia di Alfred Barthélemy, libertario francese, testimone oculare della Rivoluzione d'ottobre e della Guerra civile spagnola, uno spaccato anti-conformista della storia degli eventi «di rottura» del secolo, cercando di argomentare a partire dai vinti (anarchici, menscevichi, socialisti rivoluzionari in Urss, socialisti, democratici, varie frazioni anarchiche in Spagna, sinistra non statalista nell'Europa pre-fascista e nazista).

  Ovviamente non tutto è completo né vuole e potrebbe esserlo: il romanzo si costruisce inizialmente come «calco» di quello che forse rimane il più grande romanzo storico dell'800 francese e non solo, «Les miserables» di Victor Hugo, ma Ragon non si lascia imbrigliare da quella che rischierebbe di essere una griglia ben pesante, quella del raffronto Fred bambino-Gavroche (il mendicante rivoltoso del romanzo di Hugo). La narrazione si amplia come una sinfonia storica basata sulle grandi «rotture» del «secolo breve». Infine, l'epilogo, non mette più in scena Fred Barthélemy ma ne relativizza la figura, narrando invece il rapporto tra l'autore e il personaggio; è da dire che Ragon l'ha conosciuto molto bene, ma ancor meglio ha conosciuto Flora, il suo primo amore e il figlio del loro «amour fou», dall'emblematico nome di Germinal.

  Un libro deve indurre alla lettura di altri libri, nella fattispecie un romanzo storico indurre a approfondire periodi e figure storiche (meglio se «durate» in un'ottica nuova di microstoria e di lunga durata à la Braudel, mentre le figure si collocano in un'ottica più idealistica e tradizionale) e in questo Ragon riesce sicuramente e quindi il suo testo è da leggere e da studiare. Ma poi altro è opinabile, «discutibile», molto rimane da approfondire per chi abbia il tempo e la voglia di farlo. Penso alla questione (che Ragon lascia aperta) se Volin, «controstorico della Rivoluzione bolscevica abbia realmente falsato» le memorie di Nestor Makhno, il discusso ribelle anarchico ucraino, di cui lo stesso Volin era stato il braccio destro; o se realmente, cacciato Trotsky, Makhno abbia scritto una lettera a Stalin per proporsi come generale dell'Armata rossa.

   Ancora, Lenin viene presentato come cordiale solo in apparenza, in realtà ambiguo, Trotsky come un capetto narcisista: giudizi forse un po' semplicistici, anche se sanamente provocatori, cioè da approfondire-completare, ovviamente con altre fonti, da parte del lettore. La storia non si fa con i se, si dice, ma se così volessimo farla per un attimo (e anche storici importanti oggi si pongono la questione, seriamente) verrebbe da chiedere a Ragon: cos'avrebbero fatto i partiti nonbolscevichi (anzi le forze «altre») se avessero preso il potere. Se è vero (lo attestano anche storici acutissimi come Edward Carr) che dal 1918 in poi i bolscevichi tendono al partito unico, che de facto si afferma però solo quattro anni dopo, come si sarebbero comportati gli altri, stante una condizione socio-economica e politica catastrofica come quella resa tragicamente attuale dopo il boicottaggio da parte del resto del mondo? 

   Qualche neo del libro nella ricostruzione della Francia di Vichy e molta enfasi retorica parlando della Catalogna rivoluzionaria, come ci sembra francamente superficiale la liquidazione sommaria della critica (1968) di Cohn- Bendit alla querelle ideologica Marx-Bakunin. Ma il libro è da leggere, ripetiamo, anche fermandosi alla fascinazione dell'eros (Fred-Flora, con il richiamo alla tragica figura di Baskine, artista suicida per amore di Flora, Fred-Galina eccetera) o al tratteggio di figure, come la "pazza" (alla lettera) Spiridinova, leader dei socialisti rivoluzionari di sinistra (agrari di provenienza nichilista) o Alexandra Kollontaj, bolscevica libertaria, teorica del libero amore. 
   Ciò vuol dire godere il piacere del testo. E non è poco.


 

o Il romanzo storico non ha, oggi, grande risonanza: sembra un genere superato, pochi scrittori si esercitano, se mai qualche storico, come il grande Franco Cardini, ci prova con le Crociate e forse domani con altri temi, mentre un semiologo come Eco ha scritto romanzi d'ambientazione storica, ma volti più che altro a dimostrare una tesi o alcune tesi), mentre imperversano romanzi pseudo-archeologici sull'antico Egitto, opere di fiction spesso corriva ecetera.
Un vero romanzo storico l'ha invece scritto, con grande coraggio, Michel Ragon, storico dell'architettura molto importante e «provocatorio» ma anche scrittore: questo suo «La memoria dei vinti», edito in italiano da Nuove Edizioni Internazionali (distribuzione Jaka Book), propone, in forma di biografia di Alfred Barthélemy, libertario francese, testimone oculare della Rivoluzione d'ottobre e della Guerra civile spagnola, uno spaccato anti-conformista della storia degli eventi «di rottura» del secolo, cercando di argomentare a partire, appunto, dai vinti (anarchici, menscevichi, socialisti rivoluzionari in Urss, socialisti, democratici, varie frazioni anarchiche in Spagna, sinistra non statalista nell'Europa pre-fascista e nazista).
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