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Mobbing, come ti anniento una persona...
La dinamica psicosociale e i danni sulla salute umana causati da un fenomeno in crescita
 

 Il ‘mobbing’ sta assumendo proporzioni preoccupanti in Italia, tanto da indurre un gruppo di parlamentari a presentare un progetto di legge affinché sia riconosciuto come malattia professionale (in Scandinavia è addirittura un reato).

Per superare calunnie e maldicenze, bisogna attrezzarsi, dimostrare di essere più forti della cattiveria e della meschinità Spesso, coloro che vengono ‘mobbizzati’ sono individui molto creativi e che amano profondamente il loro lavoro.

La nozione di mobbing

La parola è mutuata dall'inglese "to mob" utilizzato in etologia per descrivere il comportamento aggressivo di alcuni uccelli nei confronti dei loro contendenti per difendere il nido.Applicato al mondo del lavoro, si qualificano come mobbing tutti quegli atti e quei comportamenti posti in essere da datori di lavoro, capi intermedi o dagli stessi colleghi che traducendosi in atteggiamenti persecutori attuati in forma palese, con particolare determinazione e con carattere di continuità possono arrecare danni alla condizione psico-fisica del lavoratore.Fondamentale perchè si possa parlare di mobbing è il requisito temporale: le violenze psicologiche devono essere regolari, sistematiche e durare nel tempo. Non si può parlare di mobbing se la persona non è perseguitata almeno per sei mesi. 

Il primo a studiare il mobbing come violenza psicologica nel luogo di lavoro è stato lo psicologo tedesco Heinz Leymann. quello di bullying: "comportamento assolutamente distruttivi messo in atto da un piccolo gruppo di bambini contro un altro bambino".

Solo nel 1984 compare la prima pubblicazione scientifica, con la quale si formalizza l’uso specifico del termine per indicare la particolare forma di vessazione esercitata nel contesto lavorativo, il cui fine consiste nell’estromissione reale o virtuale della vittima dal mondo del lavoro. In questa occasione Leymann decide deliberatamente di utilizzare esclusivamente la terminologia mobbing per indicare quella forma di "comunicazione ostile ed immorale diretta in maniera sistematica da uno o più individui (mobber e gruppo di mobber) verso un altro individuo (mobbizzato) che si viene a trovare in una posizione di mancata difesa", così da eliminare quanto possibile la confusione tra mobbing e bullying.

Nell’ambito del lavoro il mobbing può essere definito più precisamente come un processo di comunicazioni ed azioni conflittuali tra colleghi, o tra superiori e collaboratori, in cui la persona attaccata è messa in una posizione di debolezza e di mancanza di difese, e aggredita, direttamente o indirettamente, da una o più persone, con attacchi sistematici, frequenti e protratti nel tempo, il cui fine consiste nell’estromissione, reale o virtuale, della vittima dal luogo di lavoro. Il cosiddetto mobbizzato si viene così a trovare in una condizione di isolamento sociale, di sotto-utilizzazione, di emarginazione dall’ambiente lavorativo, condizione che ha forti ripercussioni sulla sua salute psicologica e psicofisica.

In letteratura possono è possibile trovare svariate espressioni usate come sinonimi di mobbing: bullying at work, work harassment psychological terror, work abuse, victimization at work, , usati prevalente nei paesi anglosassoni. Nella letteratura francese, maggiormente centrata sul problema della violenza sessuale, il mobbing viene definito come harcèlment au travail, harcèlment dans l’entreprise. Difficilmente ci accadrà di incontrare espressioni quali pesten, usata in Olanda, ijiame, per i Giapponesi.

In Italia la tendenza all’anglismo è molto forte, ciò nonostante è possibile ricorrere ad espressioni quali molestie morali sul posto di lavoro, terrorismo psicologico in ufficio, vittimizzazione psicosociale sul lavoro.

Negli Stati Uniti, un americano su cinque dichiara di essere stato vittima di bullying sul posto di lavoro. In Sud Africa, il 77% dei lavoratori dichiara di essere stato vittima di "ostilità lavorative". Secondo il Rapporto ILO 1998, in Europa il numero dei mobbizzati è di 12 milioni. 

E' la Svezia il paese più all'avanguardia nell'affrontare questo fenomeno: fin dal 1977 è stata messa a punto un'ordinanza sull'Ambiente del lavoro che precisa misure da adottare contro forme di violenza psicologica, entrata in vigore però solo nel '94. Un'attenzione motivata anche da un'indagine statistica che ha dimostrato che il 10-20% del totale dei suicidi in un anno hanno avuto come causa scatenante proprio il mobbing. Sempre in Svezia, e pure in Germania, dove il fenomeno è da tempo sotto osservazione, centinaia di migliaia di vittime di mobbing sono finite in pre-pensionamento o addirittura in clinica psichiatrica con costi pesanti anche per la società. E sempre in Germania, in una grande azienda come la Volkswagen, nel contratto integrativo sono previste norme severe, fino al licenziamento, contro i persecutori, i mobber. È fondamentale riconoscere in tempo l'azione aggressiva e non accettarla passivamente perchè sei mesi di mobbing continuato sono sufficienti, secondo gli standard svedesi, per generare danni all'organismo. Dalla Svezia ci arriva un chiaro monito: il mobbing, spia di un malessere sociale, richiede dunque risposte rapide anche in Italia. 

I danni sulle persone

Sul piano fisico, è tutto l'organismo che viene coinvolto dal momento che i distubi possono riguardare: il cervello, la pelle, gli occhi, il collo, le spalle e gli arti, il cuore, l'apparato digerente e quello respiratorio, il sistema immunitario. Sul piano della sfera emotiva, il mobbing detemina nel soggetto colpito crisi esistenziale, crisi relazionale e crisi economica.

Effetti sulle aziende e sullo stato

E' stato ormai provato che un lavoratore vittima del mobbing ha un rendimento inferiore del 60% in termini di produttività ed efficienza rispetto agli altri lavoratori ed il so costo per il datore di lavoro è del 180% in più. Anche lo Stato è chiamato a fare i conti con il mobbing dal momento che il fenomeno nuoce all'equilibrio sociale e fa aumentare in misura notevole la spesa sanitaria e quella assistenziale. 

Lo scenario italiano

Dal Rapporto ILO 1998 sembra che l'Italia non sia interessata al fenomeno collocandosi agli ultimi posti della classifica con il 4,2% di casi. Il realtà il dato non rappresenta adeguatamente la realtà in quanto molto spesso non vi è consapevolezza da parte delle vittime. Verosimilmente in Italia sono vittime del mobbing 1,5 milioni di persone. Cifra che sale a 4/5 milioni se si tiene conto anche degli altri soggetti coinvolti (familiari, ecc.) 

I riferimenti normativi e la giurisprudenza

Molto sono le norme che possono essere utilizzate per difendersi dal mobbing: artt. 32 e 41 della Costituzione; art. 590 del Codice Penale; artt. 2043, 2049 e 2087 del Codice Civile, Legge 300/1970, Decreto Legislativo 626/94 (rivoluzionario sotto due aspetti: il primo è il passaggio dalla tutela dell'integrità fisica del lavoratore alla tutela dell'integrità psico-fisica del lavoratore. Il secondo aspetto è il passaggio dalla tutela della salute intesa come assenza di malattia, alla tutela della salute come benessere, come assenza di disagio).

In Italia, la prima sentenza sul mobbing è stata emessa dal Tribunale di Torino il 16 novembre 1999; condanna della Ergom Materie Plastiche SPA di Borgaro. 

Le prospettive legislative

Nella XIII Legislatura sono state presentate al momento, nei due rami del Parlamento, sei proposte di legge: 

Camera: Proposta di Legge n. 1813, 9 luglio 1996 

Camera: Proposta di Legge n. 6410, 30 settembre 1999

Camera: Proposta di Legge n. 6667, 5 gennaio 2000 

Senato: Disegno di Legge n. 4265, 13 ottobre 1999

Senato: Disegno di Legge n. 4313, 2 novembre 1999 

Senato: Disegno di Legge n. 4512, 2 marzo 2000

Il vocabolario del mobbing.

I termini che seguono sono quelli generalmente utilizzati per descrivere il fenomeno delle violenze psicologiche in ambito lavorativo. Pur essendo spesso utilizzati in riferimento allo stesso fenomeno e sovrapposti, sono termini che hanno aspetti peculiari e risentono evidentemente delle differenze culturali dei paesi in cui sono introdotti.

Bossing (spadroneggiare, comandare): indica un solo tipo di mobbing, quello compiuto dall'azienda stessa o dalla direzione del personale.

Bullying (tiranneggiare): termine molto diffuso i Inghilterra, si riferisce prevalentemente alle situazioni di lavoro. E' in ogni caso più restrittivo rispetto a mobbing in quanto ne indica solo un tipo, quello compiuto da un capo verso un suo sottoposto.Danno biologico: qualunque danno alla salute comporta anche un danno in termini di ostacoli alla normale vita di relazione che, in conseguenza, viene menomata.

Harassement (molestia): utilizzato prevalentemente negli Stati Uniti, è termine sostanzialmente sovrapponibile al precedente, ma, a differenza del primo, si riferisce, oltre che al mondo del lavoro, anche ad altri contesti.

Mobbing (assalire con violenza): derivato dall'etologia ed usato soprattutto nei paesi dell'area scandinava. L'attenzione è focalizzata nell'ambiente di lavoro e sul comportamento del gruppo.

Molestie sessuali: non volute, intrusive, verbalmente offensive, anche fisicamente aggressive.

Terrorismo fisico: violenza non necessariamente agita, ma usata come minaccia per mantenere il controllo sulla vittima e rinforzata periodicamente.

Terrorismo psicologico: focalizza soprattutto l'atmosfera generale (uso del termine per soggiogare ed intimidire).

Violenza fisica: forza fisica usata aggressivamente nei confronti della vittima. 

Nel 1972 in Svezia il termine viene introdotto nell’ambito della ricerca sull’aggressività con significato del tutto analogo a 

Il mobbing in azione

Il mobbing consiste in un lungo, constante, incessante e duraturo processo di azioni vessatorie intenzionali di fronte alle quali la persona vessata non ha alcun potere di difesa.

Riassumendo, le caratteristiche essenziali per poter identificare un’azione come azione mobbizzante sono:

La frequenza 
La durata 
L’intenzione negativa 
L’impossibilità di difendersi 

Il mobbing consiste in una routine del conflitto, ovvero, che questo si verifichi con una certa frequenza (almeno una volta a settimana), che sia sistematico e prolungato nel tempo (almeno sei mesi).

Il mobbing dunque deve essere considerato il frutto dell’escalation incontrollata della situazione conflittuale, una situazione di crisi che, invece di fungere da stimolo per i membri del gruppo di lavoro a tirare fuori il meglio di sé, favorisce ed esaspera l’emersione degli aspetti più negativi.

Le "azioni mobbizzanti" descritte da Leymann sono riassumibili in cinque categorie:

Attacchi ai contatti umani: si agisce sulla possibilità di comunicare, impedendo al lavoratore di esprimersi, di parlare con i colleghi e/o incontrarsi con loro; 
Isolamento sistematico: fisico e/o psicologico; 
Cambiamento delle mansioni: dequalificazione, esautoramento, sottoutilizzo o sovraccarico; 
Attacchi alla reputazione professionale e privata: il lavoratore viene stigmatizzato in un ruolo sociale negativo, screditato; 
Attacchi alla salute: assegnazione di incarichi pericolosi, minacce, violenza fisica. 
La letteratura individua con il termine "mobbizzato" il lavoratore-oggetto delle azioni mobbizzanti, colui che subisce le persecuzioni vessatorie, mentre con il termine "mobber" ci si riferisce invece all’agente attivo di queste azioni, tendenzialmente identificato in un singolo attore.

Il mobbing è, dunque, un processo che si evolve nel tempo, secondo un’escalation:

Conflitto latente: si esprime attraverso piccoli contrasti quotidiani fini a se stessi, che, se non risolti, possono costituire un trampolino di lancio per il mobbing, in questa fase non ancora riconoscibile; 

Conflitto mirato: inizia la routine del conflitto, non più tra attori occasionali, ma tra due specifiche persone (il mobber ed il mobbizzato), e compaiono i primi sintomi da malattia psicosomatica; 

Conflitto pubblico: la situazione conflittuale adesso è visibile a tutti, si ha un aggravamento delle condizioni di salute psicologiche e psicofisiche del soggetto, le cui conseguenze si traducono spesso in assenze prolungate per malattia e abbassamento della qualità di prestazione; 

Espulsione anticipata dal mondo del lavoro: per malattia, trasferimento, liquidazione, prepensionamento, auto-licenziamento, licenziamento. 

La spirale della vittima

Anche la reazione della vittima di fronte alla sua persecuzione si evolve secondo un processo scandito da precise fasi, un processo parallelo e contemporaneo a quello dell’escalation del conflitto. 

L’inizio: nelle prime fasi del processo di mobbing abbiamo visto come sia presente solo una normale situazione conflittuale. La frequenza delle azioni negative non è ancora in atto, siamo agli albori del mobbing. Inizialmente dunque la persona si trova oggetto di episodi apparentemente insignificanti e prende "alla leggera frecciate e scherzi di cattivo gusto" (Hirigoyen, 2000). 

L’autocolpevolizzazione: la persona è adesso soggetta ad attacchi sempre più insistenti e frequenti. La sua reazione è di stupore e incredulità di fronte a ciò che le sta accadendo e cerca disperatamente di risolvere il conflitto. Nella frenetica ricerca di quale sia la ragione, la causa dell’ostilità, della prevaricazione cui è sottoposta, l’unica spiegazione che riesce a trovare è se stessa, ignorando completamente altre possibili cause o concause di tipo situazionale. "La vittima si chiede in che cosa, quando e dove ha sbagliato nell’attività professionale o nei rapporti con i colleghi" (Gilioli, 2000); 

La solitudine: la persona viene sopraffatta da un sentimento di solitudine di fronte alla terribile realtà che la circonda, di fronte al vuoto sociale in cui è stata spinta. Il gruppo sembra non voler avere contatti con lei, né personali né professionali, nessuno sembra allo stesso tempo accorgersi di e ammettere questo isolamento, nessuno sembra volerle fornire alcun supporto. Il sentimento di solitudine si estende anche al vissuto di unicità della propria esperienza, la vittima crede, infatti, che a nessun altro sia capitato o stia capitando la stessa cosa, crede di essere la sola persona al mondo ad esserne vittima (Bassino, 1999). 

L’anestesia reattiva: la vittima è ormai oggetto di una vera e propria persecuzione; il mobbing è in atto, e si trova inerme, senza più forze; l’asimmetria, la disparità delle risorse, del potere è ormai evidente. Non ha armi per combattere, non ha né un testimone né alcuna prova tangibile a dimostrazione di ciò che sta vivendo (Niedl, 1996). Il prossimo passo è la depersonalizzazione, "non si muore direttamente per tutte queste aggressioni, ma si perde una parte di sé" (Hirigoyen, 2000). 

Conseguenze del mobbing

Le conseguenze del mobbing possono essere individuate a tre livelli: la persona, il gruppo di lavoro e l'organizzazione. 

Il mobbing si ripercuote sulla salute psicofisica delle persone coinvolte: sulla vittima, come facilmente intuibile, ma anche sull'aggressore. I disturbi psicofisici più frequentemente riportati - secondo le indagini svolte dalla Clinica del Lavoro "Luigi Devoto" di Milano - sono: 

ansia: ansia generalizzata; con attacchi di panico; con sintomi ossessivo-compulsivi; con sintomi fobici; ansia somatoforme; ansia di conversione somatica (cefalea, astalgia); 

PTSD: disturbo post traumatico da stress, disturbi molto intensi, cumulativi, con ricorrente ideazione intrusiva; 

disturbo di adattamento: disturbi di tipo clinico meno intrusivi, conseguenti a stressors meno intensi; 

alterazione dell'equilibrio socio-emotivo: ansia, depressione, isolamento, panico, abbassamento del livello di autostima; 

alterazione dell'equilibrio psicofisiologico: vertigini, senso di oppressione, disturbo del sonno e della sessualità; 

disturbi del comportamento: cattiva alimentazione, alcolismo, tabagismo, uso improprio di farmaci, aggressività rivolta verso se stessi e/o verso gli altri, incapacità di adattamento sociale. 

Le conseguenze a livello del gruppo di lavoro consistono principalmente nel deterioramento del clima lavorativo e della qualità del lavoro svolto.

Anche l'organizzazione subisce le conseguenze negative del mobbing in termini di: 

calo e/o deterioramento del livello di produzione; 
costi sostenuti per malattia dei dipendenti; 
ripercussione sull'immagine esterna. 
Il mobbing è a tutti gli effetti una vera e propria malattia professionale, allo stesso tempo deve essere considerato anche una malattia sociale, nel momento in cui i suoi effetti negativi si ripercuotono su tutta la società. L'estromissione di una persona dal mondo del lavoro la rende improduttiva, aumenta il tasso di disoccupazione ed i costi passivi che tutta la comunità deve sostenere. 

Le aziende come reagiscono al mobbing?

Per ora non mostrano grande disponibilità, salvo alcune lodevoli eccezioni. Certamente servirebbe la spinta di una legge, anche se c'è chi ha già dato segni di buona volontà. E' il caso del Comune di Torino (14 mila dipendenti) che ha approvato l'8 marzo 2000, prima amministrazione italiana, una delibera anti-mobbing che parla di "atti vessatori e persecutori mirati all'offesa della dignità, alla delegittimazione dell'immagine, screditare..". Si aggiunge al "Codice di comportamento per la tutela della dignità delle lavoratrici e lavoratori" (il Comune garantisce il patrocinio legale e viene istituita la consulente di fiducia). E sempre a Torino nascerà il primo osservatorio antimobbing di un Comune. All'ASL 1 di Napoli (2 mila dipendenti), la direzione sanitaria, dopo aver avuto segnalazioni di mobbing, ha deciso di passare a un monitoraggio più obiettivo. Poichè tutti i dipendenti delle Asl devono essere sottoposti a controlli annuali, visite periodiche (in base alla legge 626: esami laboratorio, radiografie) si è deciso di chiedere ai medici di sottoporre loro 15 domande. Sono tornati indietro 1500 questionari, da cui emerge che circa il 10-12% soffre di disagio psicologico. La ricerca si chiuderà a settembre con un'analisi da parte di un gruppo di lavoro anche con medici e psicologi. Una iniziativa motivata anche sotto il profilo economico spiegano all'Asl citando un dato OMS: un dipendente mobbizzato costa il 190% in più rispetto a uno che non lo è . Alle associazioni di mobbizzati arrivano i casi conclamati, la ricerca della Asl1 di Napoli va invece a indagare su tutti per far affiorare il sommerso. Chi rivelerà un disagio sarà sottoposto a ulteriori controlli. E la stessa direzione sanitaria sta pensando a colloqui, corsi di informazione per prevenzione, "anche trasferimenti, se è indispensabile". 

Mobbing come malattia professionale?

Il mobbing non è una malattia, è un rischio, una causa possibile di malattia e può portare a comportamenti patologici. All'Inail spiegano che se una malattia non è tabellata scatta il periodo di osservazione: è il caso del mobbing, sotto osservazione da parte della dottrina giuridica e dalla scienza medica. Probabilmente già nel prossimo autunno, nel convegno medici dell'Inail, saranno resi noti i protocolli diagnostici per individuare il mobbing come malattia professionale e il relativo danno biologico, novità introdotta con la riforma sull'assicurazione infortuni, prima indennità per ridotte capacità di lavoro. La depressione che colpisce il lavoratore che si sente ingiustamente trattato ha trovato un primo riconoscimento nella sentenza del tribunale di Torino del 16 novembre 1999 a seguito della quale il datore di lavoro è stato obbligato al risarcimento del danno biologico subito dal lavoratore (la responsabilità del datore di lavoro, derivante dall'art. 2087 del codice civile consiste nell'adottare le misure necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro). Nel danno biologico rientrerebbe anche il danno alla vita di relazione, una lesione all'integrità psicofisica. mobbing inteso come malattia professionale. 
 
 



 
o (11 giugno  20001)

Questo articolo è tratto da 
Lotta di Classe  - 
Stampa sindacalista libertaria, 
organo mensile dell'Unione Sindacale Italiana sezione dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori.
Ringraziamo
la redazione
per la gentile concessione.

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