ii percorsi

Conflitti: la strada della nonviolenza emarginata dalle istituzioni
Kosovo e dintorni, costruire il dialogo è l'unica via per rompere il circolo vizioso della guerra
 

   In questo momento in Kosovo c'è della gente che vive barricata, o meglio, assediata nel proprio villaggio, sia esso serbo o albanese.
    Magari a pochi chilometri di distanza fra loro, convivono le paure e le incomprensioni che sfociano nella rabbia e nella violenza. Quelle case barricate sono oggi il simbolo insieme della tragedia etnocentrica (che non è solo balcanica ma si riproduce i altre parti del mondo e potenzialmente, con forme dive3rse un po' dappertutto) del fallimento dell'intervento di un anno fa con le bombe che hanno semplicemente fatto degenerare un conflitto oggi più incontrollabile di ieri.

    Inascoltati o dileggiati un anno fa, i nonviolenti continuano a sforzarsi nell'analisidelle situazioni e nella ricerca di vie di uscita che risparmino i fiumi di sangue e insieme possano servire a costruire, pietra dopo pietra, un futuro oltre gli isolamenti e le contrapposizioni etniche o di altra natura potenzialmente conflittuale e aggressiva.

   Un'esperienza interessante e ancora in corso, in proposito, è quella dell'associazione Giovanni XXIII, che sta sperimentando un progetto di costruzione di piccoli ponti del dialogo attraverso la condivisione della vita con e fra le due etnie da parte di un gruppo di volontari. Questi, abitando in Kosovo, nella zona di Pec-Peja, e muovendosi fra le due etnie, amici di entrambe, cercano di piantare un piccolo seme di comprensione e di essere testimoni viventi della possibilità dell'incontro e della reciproca comprensione come unica via di uscita dal circolo vizioso della contrapposizione etnica, religiosa e culturale che produce e catalizza soltanto la morte proiettandola in un futuro sempre più doloroso. Di questa esperienza riparlemo qui in nonluoghi con i protagonisti.

   Spezzare quel circolo vizioso si può, non con le bombe ma con un'azione nonviolenta della quale Mao Valpiana (direttore, appunto, di Azione Nonviolenta) indica in un articolo che ospitiamo (si veda il link qui accanto) lo stato dell'elaborazione e i ritardi nell'attenzione rivoltale dalle grandi agenzie internazionali.

(20 marzo 2000)

o  L’esperienza del Kosovo, dove la resistenza nonviolenta è durata circa dieci anni, dimostra l’enorme ricchezza di tale possibilità, ma anche la totale assenza di iniziativa sul piano internazionale (Onu, Ue, ecc.) e di interesse dei media per sostenere questa opzione che poteva evitare il conflitto, se aiutata e indirizzata verso uno sbocco politico con l’aiuto della diplomazia internazionale.
 
 
 
 
 
 
 

Leggi l'articolo
di Mao Valpiana
 
 

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