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Balcani, i giochi sporchi internazionali sulla pelle delle popolazioni
Parla Michelangelo Severgnini, autore del volume "Good morning Pristina!"
 

   Il tuo libro è un percorso parallelo: insieme diario di viaggio e raccolta
di interviste giornalistiche. Per te scriverlo è stato un po' come cercare di riordinare le idee sulla situazione balcanica? E che cosa te ne rimane, ora che lo vedi stampato?

   "E' stato davvero un lavoro di riordino di tutto ciò che ho raccolto ed incontrato “lungo la strada”. Paradossalmente è un libro che andrebbe ascoltato più che letto. Infatti, per me che sono anche musicista di contrabbasso di ethno-jazz, è stato anche uno straordinario percorso in un universo di culture ancora ancestrali, ancora pure e straordinarie. Ricorderai come i Romani sentenziavano che Roma conquistò la Grecia militarmente, ma di fatti poi fu la Grecia ad aver conquistato culturalmente Roma. Credo si possa applicare lo stesso schema anche tra Occidente e Balcani. In fondo solo attraverso questi cruenti fatti di cronaca e dopo aver invaso con i nostri sudici eserciti quelle terre ci siamo accorti di avere a poche centinaia di chilometri da casa nostra una cultura misteriosa ed affascinante di cui nemmeno sospettavamo l’esistenza, dalla musica, all’arte, al cinema, ecc… In ogni caso di questi viaggi rimangono i suoni e le voci, gli sguardi intensi e spauriti, centinaia di volti incontrati ed il loro coraggio e fatalismo indispensabili per continuare a vivere in certe situazioni. 

Rimangono grandi insegnamenti di vita, la fortuna di aver conosciuto persone
straordinarie, di grande umanità e generosità. L'estrema esperienza di aver
visto con i miei occhi la tenacia e l'immensa forza di individui costretti
nell'angustia cieca di chi è costretto a subire la violenza senza capire.
Oppure di chi si è gettato con lucido furore nella spirale di odio, convinto
di porre rimedio al proprio senso di offesa e negazione. Rimane la
convinzione che i popoli possono solo incorrere in indicibili tragedie
quando smettono di decidere la propria vita per delegarla nelle mani dei
politici di professione. E soltanto l'ignoranza del popolo ed il cinismo di
sovrani sanguinari può portare a simili tragedie. Che i politici ed i
potenti siano l'incarnazione del cinismo è vero per definizione, ed è per
questo che la gente deve saper difendersi e far prevalere i propri diritti,
sempre. Io non credo nella democrazia per come oggi si esprime, le vicende
balcaniche di questi ultimi 10 anni hanno dimostrato che è solo un paravento
dietro il quale i potenti e farabutti continuano a gestire il potere e a
perpetrare i propri interessi sulla pelle della gente come sempre hanno
fatto nella storia (e se il 13 maggio in Italia vincerà le elezioni Berlusconi, sarà davvero una prova di quanto sto dicendo)".

- Qual è, se esiste, secondo te, il filo conduttore, inteso come sintesi
storica e sociopolitica, che unisce in un processo causale i destini dei
Balcani?

   "E’ indubbio che esistano alcune caratteristiche comuni presenti nelle diverse vicende belliche balcaniche di questi ultimi 10 anni. Innanzi tutto un vertiginoso abbassamento della soglia della cosiddetta “protezione sociale”, che qui intendo come diritto alla salute, al lavoro, all’istruzione, ma chiaramente anche alla propria incolumità di tutti i cittadini di quelle terre. Non scorderò mai quel giorno in cui una dottoressa di statistica di Belgrado mi confessò che insieme ad un’equipe verso la metà degli anni ’80 trovò che circa 2 milioni di persone nella allora Jugoslavia vivevano “fuori posto”. L’affermazione  suscitò in me sconcerto, ma in realtà la pulizia etnica è stata davvero qualcosa di pianificato a tavolino e tutt’altro che un odio incontrollato tra barbari. La necessità di ricollocare la forza lavoro secondo un disegno economico per “aree di influenza” era tanto urgente e necessario quanto il distruggere i mezzi di produzione, dalle fabbriche agli istituti, ormai superati in quanto a tecnologia e troppo dispendiosi da mantenere in quanto a manutenzione. E questo crollo della “protezione sociale” e della dignità del singolo individuo fu il prodotto di una serie di politiche assassine imposte dal Fondo Monetario Internazionale sui deficitari conti economici della Jugoslavia alla fine degli anni ’80 che trasformarono in pochissimo tempo il senso sociale di un individuo, da membro di una società “socialista” ad un mera risorsa economica e forza lavoro “non al passo con i tempi”. Per questo per rendere più competitivo il mercato jugoslavo si è spinta una società oltre lo stremo delle proprie forze fino a che è implosa, ed in questa atmosfera di affarismo selvaggio hanno trovato spazio politico per agire ed imporsi figure losche, risolute, ciniche e spietate. Veri lupi mannari che non hanno esitato a schiantare migliaia di persone pur di riciclare il patrimonio “comune” dello Stato jugoslavo, l’ultima ricchezza rimasta nel Paese. Ed è ciò che hanno fatto Tudjman e Milosevic: privatizzare la proprietà statale per perpetrare il proprio dominio, mantenendo populisticamente il consenso della gente agitando lo spettro del nemico esterno, che fosse il vicino di etnia diversa oppure l’occidente assalitore".

- In questo quadro, come interpreti i fatti della Macedonia, il persistente
nazionalismo albanese? Si può dire che quanto accade ora è un'altra
conseguenza della politica delle bombe occidentali?

   "Continuo a proporti questa chiave di lettura anche per questa risposta: quante persone sono fuori posto ora in Macedonia? Non tanto perché sia la convivenza a non essere possibile, tutt’altro. Sono gli interessi internazionali legati al traffico di contrabbando che attualmente attraversano quelle zone che sono raccolti e gestiti da bande etnicamente pure che reclutano “forza lavoro” su base etnica, perché è il collante più efficace per convincere attraverso la propaganda e la demagogia il più gran numero di persone a compiere un’azione secondo uno scopo condiviso. In altre parole: “Albanesi di Macedonia liberi!”. “Nuovo stato degli albanesi di Macedonia!”. Slogan di questo tipo sono un espediente efficace per unificare tante menti e tante energie secondo un obiettivo fatto proprio da più persone senza che siano consapevoli dei veri obiettivi di chi ha coniato tali slogan e di chi li ha lanciati (ogni riferimento a fatti di casa nostra è esplicitamente voluto). Lo scopo poi non è altro che quello di “gestire in proprio” affari sporchi che non potrebbero essere condivisi all’interno di un quadro politico più complesso che vedrebbe partecipe per esempio il governo macedone, le diverse correnti culturali, etniche ed economiche che lo compongono, per non parlare della cosiddetta comunità internazionale che vive in pianta stabile in Macedonia dagli inizi degli anni ’90. Per quanto riguarda la seconda parte della domanda la risposta è: certamente. Ricordo il dicembre del 1998, mi trovavo a Pristina. Su una pagina di un quotidiano albanese locale lessi questa dichiarazione di Adem Demaqi, leader storico dell’irredentismo albanese kosovaro, prima “pacifista” (o meglio attendista) e poi militarista (o meglio risolutista): “L’UCK ormai è diventato un fattore chiave e tutti ne devono tener conto se vogliono trattare le sorti del Kosovo”. Questo vuol dire pretendere (ed in seguito ottenere) lo sdoganamento della figura del militare come risolutrice dei problemi sociali. E questo è un paradosso! Un militare per definizione uccide, non migliora le condizioni di vita. Anche il subcomandante Marcos in questi giorni dopo la marcia zapatista a Città del Messico ha dichiarato: “Sarebbe un grave errore se confidassimo nell’opzione militare per portare un vento di cambiamento nella società messicana”. E questo è giusto. Passata la fase di “difesa popolare”, la guerriglia va abbandonata e va cercata una soluzione diplomatica. L’UCK si è invece trasformato almeno dall’autunno 1998 in uno strumento in mano alla mafia albanese per conquistare “manu militari” porzioni di traffico di contrabbando. E la NATO ha assistito impassibile e connivente a questa trasformazione. Per vivere in pace gli albanesi del Kosovo e della Macedonia non hanno bisogno di uno stato indipendente, ma di politici lungimiranti e onesti. Certo, la stessa “buona disposizione” dovrebbe provenire anche dall’altra sponda, ma le condizioni, dopo la caduta di Milosevic, sono senz’altro molto migliorate". 

- C'è chi sostiene che anche in Macedonia era possibile, come comunità
internazionale, intervenire prima per tutelare i diritti della grande
minoranza albanese in modo che quest'ultima non diventasse facile preda
dell'estremismo secessionista guidato dall'Uck. Che idea ti sei fatto in
proposito frequentando il Kosovo e i suoi dintorni?

   "Nella tua domanda vi sono due cose che non mi convincono: la prima è l’atteggiamento per cui debba essere la cosiddetta “comunità internazionale” a risolvere i problemi di quelle terre. Nel mio libro ho cercato in tutti i modi di testimoniare e far conoscere che vere e proprie avanguardie di pacifismo, interetnicità e dialogo sono state da sempre presenti ed attive nella società jugoslava. Tanti movimenti di attivisti locali sono stati ignorati per tutti questi anni a cominciare dalle ONG occidentali che si sono atteggiate troppo spesso a scuole di pensiero giunte ad impartire lezioni sul come si dovesse rispondere all’odio etnico. Ma io sono convinto di questa tesi: non sono i popoli slavi o balcanici ad essere particolarmente sanguinari, sono le circostanze politiche determinate in larga parte anche dal comportamento irresponsabile dell’Occidente ad aver creato le condizioni perché questa efferatezza si potesse imporre. Pensiamo solo a cosa accadrebbe se qui in Italia alcune forze politiche protette da leggi create su misura cominciassero a pagare 5-6 milioni al mese a testa gli ultras che ogni domenica inscenano guerriglie urbane fuori e dentro gli stadi per ripulire “etnicamente” le città italiane dagli immigrati….. Accadrebbero le stesse cose anche qui in Italia (come del resto sono già successo durante il fascismo). La cosa non mi prenderebbe alla sprovvista, perché ho visto troppi cittadini balcanici pacifici, pacifisti e colti dover soccombere e cedere il passo di fronte all’ignoranza e alla barbarie dei propri stessi “fratelli di razza”. E questo solo perché qualcuno “esternamente” aveva permesso questa ingiustizia, ossia che i criminali prevalessero sugli onesti, per cui Arkan faceva soldi ed era presidente di una squadra di calcio e Slatko Curuvija veniva assassinato sotto i bombardamenti dai sicari di Milosevic perché possedeva dei documenti che dimostravano i patteggiamenti segreti del dittatore con l’Occidente. 
La seconda cosa che non mi convince nella tua domanda è la supposizione secondo cui gli albanesi non avessero spazio all’interno del governo macedone. La cosa non mi risulta del tutto, io stesso ho conosciuto personalmente la ministro per l’istruzione nell’estate 1999, si trattava di una professoressa albanese. Questo non vuol dire che gestire un mosaico così complesso ed intricato come quello macedone sia semplice, ma l’opzione diplomatica ed il dialogo non vanno mai abbandonati. E poi dietro l’UCK non c’è proprio nessun obiettivo di “difesa di diritti” di chicchessia". 

- Credi che la spirale di violenza in Macedonia influenzerà l'atteggiamento
della comunità internazionale nella definizione del percorso che dovrà
portare al nuovo assetto del Kosovo?

  "Senza dubbio, ma credo che nemmeno la comunità internazionale abbia le idee tanto chiare su quali soluzioni adottare e credo che al contrario si stiano agitando non poco di fronte agli scenari possibili e ad una situazione che gli potrebbe sfuggire di mano da un momento all’altro. E credo che questo l’UCK l’abbia avvertito benissimo, tanto che nonostante i suoi capi militari siano stati sonoramente sconfitti alle elezioni amministrative in Kosovo lo scorso ottobre, stanno cercando ora di aprire quanti più fronti possibili, dalla valle di Presevo alla Macedonia proprio per “capire” fino a che punto l’Occidente è disposto a coinvolgersi e a rischiare militarmente per difendere quello che viene chiamato “diritto internazionale”, ma che l’Occidente per primo ha palesemente violato con i bombardamenti nella primavera 1999".

- Come giudichi, nel suo insieme, l'attuale scenario della ex Jugoslavia?

   "Credo che sia nonostante tutto il miglior scenario da dieci anni a questa parte. E’ triste dover sperare in processi storici e politici che poi io qui in Italia combatto e avverso, ma l’unica via rapida per riportare la pace nei Balcani è ripristinare la legalità ed il diritto, tutelando i cittadini, croati, bosniaci, serbi, kosovari, macedoni. E questo lo si può ottenere soltanto accelerando il processo di integrazione dei Balcani nell’Unione europea. Credo che qui si giochi la grande sfida dei prossimi 50-100 anni, perché l’Europa deve porsi la sfida di “conquistare” il possesso sulla penisola balcanica e non lasciarla nelle mani delle bande di mafiosi e corrotti affaristi. L’Europa ha dimostrato timore di fronte a questa sfida per tutti gli anni ’90, preferendo talvolta scendere a patti con questi mercati illeciti, come ha dimostrato l’affare Telekom tra l’Italia ed il regime di Milosevic. Ma è una sfida ineludibile, per la stabilità di quell’area ma anche per la stabilità e per la prosperità dell’intera Europa. Non dimentichiamoci che prima che salissero al potere figure come Tudjman e Milosevic, alla fine degli anni ’80 l’ultimo governo della Jugoslavia unita di Ante Markovic avviò politiche di avvicinamento all’Europa e il treno fu perso per un niente, visto che l’Europa unita nacque proprio nel ’92. Questo fu l’inizio della tragedia. Detto questo, sono ben consapevole che è davvero triste confidare nel successo di un’entità comunque imperialista come l’Europa unita, ma il primo obiettivo da raggiungere è preservare l’incolumità delle popolazioni balcaniche da ulteriori guerre e disgrazie e questa, ripeto, è l’unica via rapida che vedo (il summit del 24 novembre scorso a Zagabria l’ha dimostrato). Soltanto in seguito potremo porre questioni sul merito della natura di democrazia ed equità sociale che l’Europa unita esprime...". 

- La Serbia ti sembra capace di svincolarsi definitivamente dalle tentazioni
nazionaliste?

   "A dicembre sono stato oltre 2 settimane a Belgrado per girare un video-documentario che uscirà a breve col titolo di “Da Slobo al Globo”. L’impressione che ne ho ricavato è stata molto positiva. Ci sono ancora un sacco di loschi personaggi nel governo di Zoran Djindjic (attuale primo ministro serbo), capitalisti ed economisti dell’ultima generazione. Però una cosa mi conforta: ora le forze democratiche, antimilitariste e antagoniste hanno ottenuto spazio politico per agire e costruire ed io confido che siano loro a dare quell’impulso democratico che è mancato al paese in questi ultimi 10 anni. Ci sono ONG locali femministe ed antimilitariste che stanno portando avanti delle campagne straordinarie per un paese ex-socialista attraversato da 10 anni di guerre. Un esempio: una raccolta di 30mila firme giunta quasi a buon fine per ottenere la riduzione a 5 mesi del servizio militare, l’introduzione dell’obiezione di coscienza, l’amnistia per gli oltre 200mila casi di diserzione avvenuti in questo decennio e la scarcerazione immediata dei detenuti politici. Insomma, sono iniziative che infondono fiducia e speranza per il futuro…".

- Che impressione ti fanno le nuove pressioni etnocentriche di marca croata
in Bosnia?

   "Sono portato a credere (e lo voglio sinceramente sperare) che si tratti di un colpo di coda di ambienti che ormai si trovano con l’acqua alla gola. Si tratta di centinaia, forse migliaia di individui che fino ad un paio di anni fa occupavano posizioni di potere ed ora si potrebbero ritrovare con condanne dai 20 anni fino all’ergastolo da un momento all’altro. Per questo stanno cercando di mobilitare quanta più gente possibile per destabilizzare la situazione, spaventare i governi democratici croato di Stipe Mesic e quello bosniaco, indurli ad un atteggiamento più tollerante ed allontanare se non evitare per sempre la resa dei conti, che per loro sarebbe triste. La cosa più inquietante è aver constatato come questi partiti nazionalisti croati di Bosnia siano stati sostenuti dalla chiesa croata di Bosnia, che affiggeva i manifesti elettorali di questi partiti dentro gli oratori a fianco alla normale campagna pastorale e gli stessi parroci durante le omelie tenevano veri e propri comizi, agitando il falso spettro dell’estinzione del cristianesimo dalla Bosnia. In realtà la chiesa cattolica di Bosnia è coinvolta fino al collo nelle nefandezze della sporca guerra fratricida avvenuta in Bosnia e qualora si alzasse il coperchio potrebbero trovarsi a dover rispondere di cose indicibili…". 

- Ritieni si corra davvero il rischio di un nuovo conflitto armato di vaste
proporzioni nei Balcani?

  "Ho sempre ritenuto i Balcani un terreno di scontro, un campo di battaglia più che un posto abitato da genti intrinsecamente se non geneticamente (!?!?) feroci. Per questo credo che per rispondere a queste domande non si debbano cercare le risposte entro i confini balcanici ma al di fuori. Lo stesso UCK potrebbe essere smantellato in poco tempo solo che davvero lo si volesse. Ma non è tanto militare la questione, quanto di rapporti di equilibrio tra aree di influenza economica che in questo momento stanno solo affilando le armi per cercare di capire quali carte possiedono i rispettivi rivali. Tra queste aree di influenza metto gli USA, l’UE, la Russia/Cina, il mondo arabo, e tutto l’universo più o meno compatto di mafie locali. Di una cosa sono certo: se si scoprissero dei giacimenti illimitati di petrolio e rifornimenti energetici e materie prime al Polo Sud, i Balcani diventerebbero il posto più tranquillo del pianeta. In compenso dovremmo assistere all’estinzione dei pinguini...".
 



 
 
o Abbiamo intervistato Michelangelo Severgnini, autore del volume "Good morning Pristina. Diario di un giornalista tra Kosovo e Serbia", edito da Prospettiva edizioni, 25 mila lire. L'autore è redattore di Radio Onda d'urto di Milano dove cura la trasmissione settimanale Ostavka! dedicata ai Balcani.

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(2 aprile 2001)

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