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Internet e il rischio elitario: l'esclusione dei poveri e del Sud
Grande strumento di democrazia o intrinsecamente "esclusivo" nel mondo d'oggi?
 


Di MARTITA FARDIN

     È in corso una rivoluzione digitale che rischia di creare una nuova cerchia di esclusi. Chiamiamoli handicappati di internet, analfabeti del computer. La sostanza non cambia. Sono i disconnessi dalle reti, dalla comunicazione virtuale

       Questo significa essere tagliati fuori dal progresso e dalle innovazioni. Il mondo reale e virtuale si muove sempre più in fretta. Ecco che chi non partecipa alla rivoluzione multimediale sarà emarginato dallo sviluppo. Se ogni passaggio di millennio è stato caratterizzato da ansie collettive e paure – l’anno mille aveva portato con sé il flagello della peste -, gli ultimi decenni del novecento il virus dell’Aids, il duemila lancia un’altra ossessione: il terrore di essere travolti o esclusi dalla grande ondata del progresso tecnologico. La visione così presentata non è per niente rassicurante e viene lecita una domanda: “Saremo dominati da una internetcrazia?”.

   Se da una parte è vero che il numero dei collegamenti internettici sta aumentando in maniera esponenziale, è anche vero che essi sono una minoranza irrilevante rispetto al totale degli abitanti del pianeta. Nel globo un terzo della popolazione (2 miliardi) non ha mai neanche fatto una telefonata (fonte della società di ricerche Idc) e, i navigatori di Internet sono, cifre alla mano, tra i 100 e i 200 milioni. L’8% di loro sta in Africa, che ha soltanto 14 milioni di reti telefoniche, un intero continente isolato, se si calcola che Manhattan da sola supera il dato. In breve, una cortina digitale divide i paesi poveri del mondo da quelli ricchi. Sembrerebbe un discorso superficiale e sciocco se paragonato ai gravi problemi, fame, epidemie, carestie, genocidi, dittature violente, aids, baraccopoli, prostituzione minorile e non, che annichiliscono continenti o stati tagliati fuori dalle maglie del progresso da secoli, strangolati dal debito estero. Ma, oggi come oggi, chi può accedere ad internet e alle nuove tecnologie ha un enorme vantaggio sugli altri. Secondo alcuni pensatori, Internet creerebbe democrazia, sviluppo, progresso, secondo altri pensatori invece ciò non è vero: Alain  Finkielkraut, filosofo francese, Robert Reich, economista nordamericano, il presidente del Brasile Fernando Henrique Cardoso e il direttore dell’Unesco Koichiro Mat hanno affermato con allarme: “Il mondo rischia di spaccarsi in due, da una parte l’iperclasse, dall’altra il lumpenproletariat, il proletariato straccione di Marx”. 

   Ci sono altri studiosi che la pensano così, ad esempio il giornalista francese Ignacio Ramonet, direttore di Le Monde Diplomatique. Che nel suo libro “La tirannia della comunicazione” (Asterios editore, Trieste) invita a prendere atto di un acuirsi delle disuguaglianze sociali. Finkielkraut rincara la dose, sostenendo la comparsa di una nuova aristocrazia, una sorta di elite priva di radici, di eletti cosmopoliti, connessi fra di loro, ma sconnessi dal resto del mondo.
   La domanda di partenza era: saremo dominati da una internetcrazia? La risposta è affermativa, secondo i più pessimisti studiosi. Secondo loro, siamo sulla via di un nuovo apartheid: pochi superprivilegiati da un lato, tanti esclusi dall’altro. Ebbene la minaccia che si apra un fossato tra gruppi ricchi di dati e gruppi poveri di dati esiste davvero (vedi il libro "La comunicazione globale", Editori riuniti). 
   Le nuove tecnologie creano divario tra Nord e Sud del mondo, ma anche dentro gli stessi paesi industrializzati. In America un laureato ha 16 possibilità in più di navigare in rete rispetto ad uno con la sola istruzione elementare. Una famiglia asiatico-americana ricca ha 34 volte più possibilità di accedere alla rete che non una afroamericana povera.

   Ma lo scenario è poi così apocalittico come teorizza l’economista francese Alain Lieptiz che vede come risultato della rivoluzione globale la proletarizzazione generale della nostra civiltà, con la scomparsa del ceto medio partorito dalla rivoluzione industriale? 
   Lo scenario non è in realtà così cupo, o meglio Internet non è solo uno strumento negativo di dominio oligarchico. Internet ha anche un potenziale democratico. All’iperclasse un colpo di grazia è stato dato proprio da Internet, come ha dimostrato il fallimento della conferenza di Wto a Seattle, che con la liberalizzazione del commercio intendeva imporre il verbo dell’iperclasse. Gli accordi sono falliti perché una protesta organizzata e pianificata è stata realizzata proprio grazie a Internet, uno dei simboli più celebrati dalla mondializzazione.
   Come rendere veramente democratica la rete allora? Con la prospettiva che un collegamento a Internet sia possibile per ogni testa in futuro, vale a dire per ogni singolo individuo, bella sfida per il XXI sec.


o Internet è democrazia o esclusione?
Una riflessione sul rischio elitario della grande rete, che deve difendersi non solo dagli attacchi del business globale ma dal pericolo intrinseco di essere un medium per soli 
"abbienti".
(10 aprile 2000)
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