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Italia, nei brutti giornali cresce il fordismo
Giornalisti incollati alle scrivanie, direttori manager, editori inaffidabili, pubblicità dilagante
 

di RICCARDO ORIOLES

   Situazione della stampa italiana:
- il giornale ormai è quella cosa che vien data in omaggio con le videocassette;
- il giornalista è sempre più un deskista e sempre meno un cronista;
- il direttore è sempre più un manager e sempre meno un giornalista;
- l'editore è sempre più un imprenditore d'altro e sempre meno un editore;
- i contenuti pubblicitari (anche mascherati) prevalgono su tutto;
- le tecnologie vengono utilizzate non per allargare, ma per centralizzare e fordizzare il prodotto;
- l'editore chiede sempre meno giornalismo e sempre più marketing;
- il prodotto finale è quindi vecchio, grasso e ridondante;
- e alla fine, il giornale NUN SE VENDE e l'editore chiede aiuto ai politici.

* * *

   In questo quadro, noi giornalisti contiamo come il settebello a briscola. La crisi dei giornali italiani nasce esattamente dalla sempre minor presenza di cultura giornalistica nella gestione non dell'articolo o della pagina, ma del prodotto e, in definitiva, dell'azienda-giornale. O Pavarotti o Fantozzi: il ruolo del giornalista oggi, alla fine, non sfugge a una di queste due categorie. Entrambe sostanzialmente senza potere. Sì, è vero, Fantozzi ha la quattordicesima e Pavarotti dà del tu al ministro: ma sostanzialmente nessuno dei due conta niente.
   Eppure, il giornalista in quanto tale ha delle specificità culturali che nessun altro possiede. Il giornalista sa prendere appunti, il giornalista sa impaginare - ma sostanzialmente il giornalista, e solo il giornalista, sa ascoltare. Il medico non è semplicemente colui che esercita la medicina, né l'architetto colui che progetta; c'è sempre un imprinting - umanistico - in più. E così, il medico è la scienza chirurgica, più la pietà; l'architetto, la scienza delle costruzioni più l'armonia. E il giornalista? E' essenzialmente un essere umano curioso; a cui appropriate tecniche, che variano da una generazione all'altra, danno la possibilità di contare. Tutto il resto - e il giornale e il prodotto e l'azienda - debbono partire da qui; se no, nascono morti.

   Il nostro compito di «giornalisti», qui ed ora, è dunque semplicemente quello di riaffermare noi stessi nell'esercizio del nostro mestiere; di difenderlo contro noi stessi - contro i privilegi e i lustrini che possono farcelo dimenticare - e contro i poteri forti, che proprio in questi mesi si vanno ricreando. Nel mondo «nuovo», sempre più monolitico e sempre più «imprenditoriale» che s'avanza, non c'è posto per imprinting umanistici nelle professioni: il medico, l'architetto, il giornalista, la prostituta, il prete possono ambire al mero status di tecnici - del corpo, della casa, dell'anima, del sesso, dell'informazione - ma senza che la complessiva cultura dei poteri forti, il loro monopolio del consenso, ne sia minimamente disturbata. E questa è la situazione.
Abbiamo tuttavia, per uno strano gioco del caso, un'ultima occasione. Noi giornalisti siamo raggruppati in Italia in un libero Ordine professionale; accolta di vecchi tromboni forse, ma sicuramente onesti e dunque incontrollabili; e dunque pericolosi. Hanno provato a togliere di mezzo quest'Ordine, col referendum di Pannusconi (indirettamente sostenuto, non foss'altro che col silenzio, dai principali manager-direttori); ma non ci sono riusciti. E ora la mossa tocca a noi.

   E' l'ultima, dobbiamo saperlo; e quindi dev'essere fatta in fretta, e col massimo della determinazione. Per prima cosa, non dobbiamo difendere semplicemente, e principalmente, noi stessi; dobbiamo difendere il lettore. Il telespettatore, il target, la massa consumatrice, l'imbecille da fottere col gadget: questo essere che gli esperti del management hanno da tempo incasellato nelle loro categorie, per noi è ancora, del tutto fuori moda, il Signor Lettore. Come Ordine dei Giornalisti, dobbiamo proporre pubblicamente dei rigidi meccanismi di difesa, che lo proteggano - e dobbiamo essere noi a proteggerlo - dalle prepotenze e dagl'imbrogli. Senza di che, egli continuerà a leggere libri, ma non giornali.

   In secondo luogo, dobbiamo andare professionalmente avanti. Dobbiamo essere noi a contestare l'attuale obsoleto modello di giornale, noi a esplorare il nuovo. Se fossimo nell'Ottocento, direi che dovremmo essere noi a scoprire l'uso del telegrafo e a imporlo agli editori (creando così, fra l'altro, la figura dell'inviato speciale). Oggi noi dobbiamo imparare a gestire le tecnologie prima del padrone, meglio del padrone, alla faccia del padrone. Non ripetiamo l'errore dei tempi in cui arrivarono in redazione i primi computer, che noi non abbiamo visto e il padrone sì: perché è quello che paghiamo oggi.

* * *

   La battaglia per l'autonomia, dunque, comincia ora. Da un lato, gli editori cercheranno nei prossimi mesi di chiudere d'autorità la questione con una leggina. Dall'altro lato, noi possiamo prendere l'iniziativa con un pacchetto di proposte concrete che ora come non mai possono trovare udienza, rivolgendoci direttamente alle istituzioni politiche e, nello stesso momento, al lettore.
  L'Ordine dei Giornalisti potrà dunque chiedere di essere considerato per legge unico responsabile, direttamente e in prima persona, di due terreni fondamentali:
1) la deontologia professionale;
2) la formazione (scuole di giornalismo) e la determinazione dell'accesso alla professione.

* * *

1) La deontologia:

   Ogni giornalista, all'atto della consegna del tesserino, s'impegna solennemente con una specie di giuramento di Ippocrate a rispettare una serie di norme etiche e ad evitare una serie di comportamenti. Per tutta il resto della sua vita professionale dovrà attenersi ad esso. L'Ordine avrà poteri disciplinari e di arbitrato per tutto ciò che riguardi l'applicazione e le eventuali violazioni del giuramento.
   La Commissione deontologica dell'Ordine vigila su:
- la distinzione fra contenuti redazionali e pubblicità; in caso di violazione imporrà multe ai direttori;
- le balle in malafede (tipo la lebbra a Messina); in caso di violazione, sospenderà i direttori;
- la difesa dei soggetti deboli (bambini ecc.); in caso di violazione, sospenderà i direttori e li deferirà all'autorità giudiziaria nei casi previsti dalla legge;
   Ai giornali con tiratura superiore alle 5.000 copie, e alle emittenti di peso equivalente, viene assegnato dall'Ordine dei Giornalisti un Garante del Lettore. I lettori potranno rivolgersi al esso presso le sedi dell'Ordine. Il Garante svolgerà la sua attività, nell'esclusivo interesse del lettore, al di fuori delle redazioni.

2) Formazione e accesso:

   Debbono essere assunti come giornalisti professionisti solo i praticanti diplomati dalle scuole di giornalismo: 
prima diplomati, poi assunti. In ogni testata, il Comitato di Redazione dev'essere incaricato dall'Ordine di vigilare, sotto responsabilità personale, sull'osservanza di questa norma.
   Le aziende possono essere lasciate libere di accettare o meno questo vincolo. La non accettazione, che dev'essere resa pubblica, implica tuttavia l'esclusione dell'azienda da ogni e qualsiasi beneficio di legge.
   Le scuole di giornalismo debbono essere gestite direttamente ed esclusivamente dall'Ordine dei Giornalisti. Una o due scuole per Regione, possibilmente con sede fisica nelle Università. Le scuole debbono insegnare non solo gli elementi tradizionali della professione, ma anche e soprattutto le tecnologie: internet + gli scarponi;
Il praticantato dovrebbe durare due anni, così ripartiti:
sei mesi di insegnamento in Istituto, con particolare riguardo alle nuove tecnologie;
sei mesi di attività non retribuita presso testate no profit;
un anno di attività non retribuita presso le testate convenzionate (cioè tutte quelle che intendono godere in qualsiasi maniera di agevolazioni di legge);
alla fine del corso, esame di Stato, consegna del tesserino e giuramento.

* * *

    E questo è quanto. Se ci muoviamo in fretta, forse ce la facciamo. Diversamente, assisteremo in tempi rapidi alla scomparsa non solo dell'Ordine dei Giornalisti, ma della stessa professione giornalistica come esercizio indipendente di un servizio al cittadino. Il giornalismo libero, oggi - come il magistrato indipendente; ma questa è un'altra storia - non conviene a nessuno. Tranne che a noi cronistacci vecchia maniera, ai giovani maghetti di Internet, al ragazzo che rischia la pelle per mandare il pezzo sulla mafia del suo paesello, e ai lettori. Ma forse bastano questi.


o I giornali - pur senza aumentare le tirature - guadagnano sempre di più grazie a una costante crescita degli introiti pubblicitari. 
Nel frattempo accelerano l'introduzione delle nuove tecnologie che trasferiscono mansioni tecniche dalle tipografie
alle redazioni. 
Il risultato è tipografie sempre più magre - spesso grazie anche a prepensionamenti - e redazioni caricate di nuovi compiti che accentuano un processo di tipo "fordista". 
Questo trasforma 
sempre più i giornalisti in lavoratori della scrivania che del mondo hanno una percezione filtrata dallo schermo del computer al quale, tra l'altro, svolgono lunghe  operazioni di carattere strettamente tipografico, come creare (non più solo pensare) 
il layout delle pagine (quando questo non va scelto fra i modelli prestabiliti 
per una maggiore efficienza) o inserire le fotografie. 
Il risultato di tutto ciò è un'ulteriore sottrazione di tempo e di energie mentali che
si traduce tra l'altro nell'assenza
dei giornalisti
dal territorio. Paradossalmente, in molti casi i giornalisti più esperti, i redattori a tempo pieno, sono "incatenati" alle scrivanie mentre fra la gente, a caccia di notizie e di chiavi interpretative della realtà, ci sono giovani aspiranti giornalisti o altre persone che dedicano parte del tempo libero a scrivere articoli 
di giornale.
A parte gli effetti sulla qualità della vita dei giornalisti che derivano dalla tendenza fordista in atto ormai da anni, a parte che essa si associa al degrado generale del prodotto giornale (spesso visto dagli editori come un semplice  supporto per la vendita
di altro), va considerato che questo processo contribuisce ad allontanare rapidamente il cronista dalla società civile: che mondo racconterai se non vivi (non ti lasciano vivere) 
nel mondo?
(z. s.)


Una giorna
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La stampa 
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